Per Coloro Che Verranno

Capitolo terzo
LO SGUARDO PIÙ PURO

"Questa notte la costellazione dei Gemelli entrerà in Luna, Mu…"
"Lo so. Vi rimarrà per trenta giorni. Se vuoi sapere se sono d'accordo, la mia risposta è no".
"Mu… per un solo mese ogni anno mi fu concesso da te di essere libera dalla tua tutela, di privarmi di questa intollerabile maschera, di sciogliere i miei capelli.. e ora vorresti che rinunciassi anche a questo? Che restassi in eterno un mucchio di ossa senza volto, senza nome? Non ricordo più nemmeno il mio viso! Mi dispiace. Non obbedirò. Non questa volta".
"Vuoi forse dire che dovrò costringerti con la forza?"
"Non lo farai. Tu per primo hai troppo timore che il mio cosmo diventi percettibile e manifesto. Non provocarmi, Mu. Il rischio non vale la pena. Soprattutto per te."
"Maledetta! -grida Mu tradendo la sua solita imperturbabilità- Ti ho concesso di venire qui, ad Atene, di vivere tra i saints a condizione che tu fossi solo un'ombra! Hai già parlato con Shiryu, una volta. Lo so. Sei tu il motivo per cui il saint di Dragon ha ceduto ai sentimenti! E ora… ora vuoi far rischiare la vita a entrambi?".
Il cosmo del saint dell'Ariete brucia ora con una violenza inaspettata, ma la donna sembra non curarsene e leggera si dirige verso l'uscita della Prima Casa: "Ti prometto che disattenderò al tuo volere, Mu. Ma lo farò solo nel buio della notte".
E con queste parole esce dal tempio e si dirige verso i monti selvosi dell'Attica.

Il mito dice che su questi monti, così come in Beozia, regni Artemide, dea dall'eterna purezza, patrona delle nascite, dedita alla caccia rituale: assai di rado i saints di Atena si recano in questi luoghi, la loro stessa dea li ha dichiarati impuri e ne ha vietato l'accesso a chiunque indossi un cloth.

Ora la donna calpesta queste selve con i suoi piedi, nudi, candidi appena visibili sotto l'impalpabile mantello.
Giunta in una radura a picco sul piccolo fiume che scorre a valle, la ragazza si ferma: sedutasi a terra abbraccia le sue stesse gambe e attende la notte. Non un movimento fino al momento in cui il Sole cede il posto alla Luna e gli astri timidamente iniziano ad apparire nell'oscurità del cielo.
La donna alza lo sguardo alla costellazione dei gemelli: le stelle che commemorano l'antico amore fraterno tra Castore e Polideuce paiono offuscate, come se l'assenza decennale di colui che su di esse regna ne abbia snervato il vigore e la brillantezza. Eppure non accenna a distogliere lo sguardo e forse per questo non si cura di ciò che accade intorno a lei.

Un uomo sta camminando per il bosco proibito: è Shun di Andromeda. Tra le sue mani le catene del cloth: "Non ci riesco… non tollero più la vista di questi oggetti di morte… quanto male hanno portato le mie mani!".
Shun si avvicina sempre più alla radura dove la donna ha ancora lo sguardo verso il cielo imperscrutabile: "Che sensazione disgraziata da questo universo… perché mi dà terrore la Luna, questa notte? Presagio sciagurato: la dea non è più in pace! Non è possibile… non voglio…".

Improvvisamente, le catene si lanciano verso un punto davanti a lui. Il ragazzo inizia a correre e non appena comprende che l'arma sta dirigendosi proprio verso la figura seduta sull'erba, le mani si coprono di sangue nel tentativo di fermare la corsa delle catene e grida: "No!".
La donna, come svegliandosi da un torpore insano, si volta e vede il triangolo d'attacco puntare a lei: "Non posso fermarle! Sarebbe un istante, mi sarebbe sufficiente bruciare per un istante il mio cosmo, ma… non posso".
Le catene la colpiscono con violenza e ne stringono il corpo in una morsa soffocante.
Shun rimane per un momento immobile, attonito, ma i rivoli rossi che vede macchiare le bende e le vesti della donna lo scuotono: "Si lancia verso la figura in cui le catene hanno visto il nemico.
"Sono il vostro signore, catene… -dice con voce spezzata- dovete obbedirmi…".
Shun è in ginocchio accanto alla donna, ma le catene non accennano ad allentarsi.
"E va bene… avevo giurato a me stesso di non usare mai più il mio cosmo, ma questo è il solo modo perché le catene ascoltino i miei ordini…".
Shun fa espandere debolmente il suo cosmo, il minimo necessario affinché gli anelli si allentino: svelto allontana le catene ora inerti e si china sul corpo ferito della ragazza. Senza pensare allenta i lacci del mantello scostandolo: che spettacolo disgraziato! Non solo il capo della donna è cinto da bende, ma anche il suo corpo è stretto da stoffa dal petto al bacino.
"Oh… è una donna… ferita! Ha tagli sulle braccia, sulle gambe…".
Shun scorre il corpo inerte con lo sguardo: ne è rapito. Benché nulla sia visibile se non la pelle lattea della ragazza, il giovane ha la sensazione di essere di fronte ad una vista unica e meravigliosa. L'incanto è interrotto bruscamente: il saint vede che anche le bende che le cingono la testa sono sporcate di rosso e dalla maschera gocciola un piccolo rivolo.
Shun scioglie in un istante le volute che le bende creano ai lati del volto: una cascata di capelli color della notte senza stelle ricade al suolo coprendo il corpo della donna e sfiorando la mano di Shun.
C'è qualcosa di splendido e noto in quel mare liscio e morbido e Shun di nuovo si incanterebbe osservandolo, ma non ha tempo di indugiare e strappato un pezzo di stoffa alle sue vesti tampona delicatamente la ferita che la ragazza ha riportato alla nuca.
"Ci vorrebbe dell'acqua" pensa e senza esitare solleva il corpo inerte e raggiunge il piccolo fiume ai piedi della scarpata: le catene aiutano la sua discesa.
La donna si sveglia dal torpore mentre Shun la tiene stretta a sé: non dà segno di essersi ripreso, è immersa nel petto esile e insieme protettivo di Shun.
Non sa chi sia a tenerla, ma sente un cosmo flebile eppure meraviglioso entrarle nel corpo, nell'anima e per la prima volta il sentimento di abbandono che ha sempre sentito negli altri ora è in lei, da lei. Per quest'uomo che la sta portando verso il fiume per pulirla dal sangue rappreso causato dalla catena.
"La catena! Costui è il signore della catena del cloth… è il saint di Andromeda… perché si prende cura di me? Perché non sento animo combattivo in lui? Oh… vorrei guardarti in viso, nobile saint, ma voglio che tu non ti accorga che sono sveglia, la maschera… la maschera è ancora sul mio volto!".
Shun appoggia a terra la fanciulla e si avvicina all'acqua: immobile lei lo osserva mentre bagna la stoffa nel fiume e le sfiora con essa la nuca inumidendo un poco i capelli lucenti. Le circonda il viso coperto con dita esili, bagnate: freme la sua anima di donna, come incantata da un tintinnio splendido; il viso di lui è proprio davanti al suo, finalmente può guardarlo negli occhi.
Che verde incantevole si trova di fronte in quegli occhi profondamente dolenti e insieme colmi di emozioni e purezza.
"Puri! Quest'uomo, un saint, ha gli occhi limpidi e incorrotti che cercai per tutta la vita… mi abbandonerei in questi occhi come prima ho fatto nelle sue braccia, mi perderei in questo viso…".
E davvero Shun le appare qualcosa di perfetto, una bellezza virginale e mascolina insieme c'è in quel viso efebico, pallido di un candore di neve intoccata, dai lineamenti gentili che sembrano quelli innocenti dell'infanzia.
"È questa la bellezza? È questo ciò a cui tanti ambiscono? No, io non ci credo… non è per amore di un freddo estetismo che il viso di quest'uomo mi toglie il respiro… sono questi suoi occhi vitali e sofferenti, occhi che hanno sentimenti, occhi cristallini… come l'acqua e il fuoco… perché sento il sangue vibrare dentro di me? Cosa sei saint che guardi la mia maschera come guardassi il mio volto? Cosa sei…".

Shun è di nuovo in riva al corso d'acqua, ha riappoggiato il capo di lei sull'erba e sta cercando di cancellare le macchie di sangue sulle bende che raccoglievano i suoi capelli: "Qual è il motivo che ti ha spinta a coprire questi tuoi capelli… sono come un mare notturno, tiepido, che invita ad immergersi…".
"Saint…"
"…"
"Saint… perché non mi hai tolto la maschera?"
"Ti sei svegliata -sorride Shun avvicinandosi a lei e il suo sorriso le rende ancora più dolce il suo viso- sono contento… io… io non volevo! Che le catene ti ferissero… non volevo…", trema la voce e si annacquano gli occhi.
"Perché non mi hai tolto la maschera?"
"Io… spero che tu possa perdonarmi per non essere stato capace di fermare questi anelli maledetti! Perdonami… te ne prego…".
Lei gli afferra una mano: che calore inconosciute e armonioso, è come se con quel semplice gesto lei gli abbia concesso il perdono tale è la serenità che si impadronisce della sua anima: "Perché non mi hai tolto la maschera?, ripete per l'ultima volta.
Finalmente Shun comprende quella domanda e risponde il vero con un candore disarmante: "… le donne che portano una simile protezione hanno sempre una ragione profonda… chi sono io per profanare qualcosa di sacro? Non mi è venuto nemmeno per un istante il pensiero di privartene… sarebbe stato… sarebbe… una violenza atroce… irrispettosa…".
Incondizionatamente, ascoltando le sue parole, lei si è portata le mani di lui al petto e Shun percepisce attraverso la stoffa che la stringe il battito gentile del suo cuore: "Non ho mai visto occhi come i tuoi".
Shun spalanca la bocca come per dire qualcosa, ma non emette suono: la donna, quella donna imperscrutabile davanti a lui, gli ha detto le stesse parole che ormai dieci anni prima gli rivolse Caronte nel traghettarlo con Seiya oltre l'Acheronte. Perché? Cosa vede lei? Cosa vide Caronte?
"Non tormentarti saint -è come se avesse udito i suoi pensieri- non ce n'è motivo. Sei pulito. È un dono unico, quasi. E poi… non ho mai conosciuto qualcuno come te. Soprattutto un saint… io ti ringrazio del tuo rispetto, delle tue cure… ti ringrazio.. per essere passato nella mia esistenza".
Lei accenna ad alzarsi: "Non andare via -sussurra Shun, ma non compie alcun gesto per trattenerla- resta qui, è notte. E ti ho ferita… posso almeno non lasciarti sola…".
Si risiede.

Ora sono l'uno accanto all'altra, in silenzio. Shun è disorientato, non riesce a spiegare la sensazione di abbandono avvertita quando lei ha accennato ad andarsene; lei è immobile, il volto rivolto verso il cielo all'oscurata costellazione dei Gemelli, alla Luna.
"Sono serena. Sarà un istante, ma ora non ho insofferenza, né paura… può questo saint avere un potere così grande da dissolvere con la sua sola presenza un'esistenza di timore e oscurità? Perché? Cosa significa? Non dovrei essere qui… non dovrei parlargli né mostrarmi, né avere i capelli liberi dalle bende… ma non riesco ad andare… non riesco a riannodare i capelli… poca cosa che posso mostrargli di me, ma… voglio che la veda! Esisto. Forse per lui in questo momento esisto".
Anche per Shun è scoperta dolcissima questa vicinanza: "…se ne andrà… senza che io la possa rivedere… ho rischiato di ucciderla! Dovrei essere io a svanire dalla sua vista. Per sempre…".

Danno una luce inesprimibile questi due giovani, sembra che non abbiano storie dolenti alle spalle, sembra che per entrambi sia svanito il peso di anni di lotta e terrore.

"Saint di Andromeda -dopo ore di silenzio la prima parola- puoi riavvolgere i miei capelli?
"…c… certo".
Le dita di Shun tremano nell'accarezzare la seta pastosa dei suoi capelli: "…è… è davvero un'emozione inconosciute, incontrollabile… non riesco a fermare il fremito delle mani…".
Shun non conosce questo sentire che accelera inarrestabile le sue pulsazioni dandogli una vita che non credeva di poter possedere.

Al fine la stoffa ha riavvolto quella cascata cinerea e di fronte a Shun c'è di nuovo la maschera vuota di mistero in conoscibile: "Grazie".


CONTINUA...