Per Coloro Che Verranno

Capitolo secondo
LA SCAGLIA PIÙ PREZIOSA DEL DRAGO

Atene. Decima Casa.

"Non ti sembra troppo buio qui? Vuoi forse non godere della luce del Sole, la cui vista ti è tanto a lungo stata negata?".
Seiya riceve in risposta solamente un colpo in pieno viso.
"Sei diventato matto? Che diavolo ti prende?".
Shiryu socchiude gli occhi, malinconico: "Ti sei mai chiesto l'utilità di far rimanere noi saints al Santuario? Desideri mai di poter tornare ad una vita normale, di uomini comuni, soprattutto ora che siamo in pace, che sembra rimarremo lontani dalla lotta?".
Seiya non riesce a percepire l'oppressione dell'amico: "Sei diventato matto davvero. Cosa ti manca, qui? La pace la puoi ben godere come in qualsiasi altro luogo… dovresti essere onorato che la signorina Saori ti abbia affidato la custodia della Casa di Shura, concedendoti di indossarne il cloth".
"Ma perché non capisci? -grida Shiryu con rabbia- Perché parli di concessioni che la signorina ci ha fatto… è solo grazie alla fiducia che Shura… o Aiolos… o Camus… la fiducia che loro hanno riposto in noi ci permette di vestire i loro cloth… nemmeno Atena può controllare i gold cloth, ma tu… tu ancora lo credi, ti illudi di crederlo…".
"Non ti capisco più, amico mio… dove è finita la tua indole nobile, il tuo spirito di sacrificio, la tua devozione?".
"Sono ancora in me, Seiya… solo che… che… no. Niente, lascia perdere. Non ha importanza".
"Io credo che ne abbia molta, invece".
Una voce si intromette nel dialogo tra i due saint, Seiya si volta in posizione di difesa: "Chi sei?", domanda incattivito dal non riuscire a dare volto a quelle parole, dal non percepire alcun cosmo.
Shiryu è rimasto seduto a terra, le gambe incrociate, teso a cercare di percepire una qualunque emanazione vitale proveniente da quella voce. Ma non c'è nulla. Nessun cosmo. Nulla.
"Shiryu… speravo che la mia voce non fosse stata completamente dimenticata…".
Una figura appare da dietro una colona.
Lo stupore coglie Seiya al vederla.
Una maschera rende imperscrutabile il volto coprendolo con lo stesso bronzo a cui sono costrette le saints; una maschera particolare che riporta incisi due piccoli solchi ovali in corrispondenza della fronte. Non è possibile vederne i capelli: una benda stretta avvolge la nuca per poi scendere in due volute ai lati del corpo, fin'oltre le anche. Persino il corpo è indefinibile: non è coperto da alcun cloth, solo un mantello leggero ne segue grossolanamente le forme fino ai piedi.
La vista atterrisce e la totale assenza di un cosmo in quel corpo inganna, fantasma o realtà?
Seiya vede Shiryu alzarsi e avvicinarsi alla figura: il saint si inginocchia ai suoi piedi.
"Sei ammattito? Cosa hai intenzione di fare?", gli domanda rabbioso il saint di Pegasus.
Shiryu fa un cenno all'amico e Seiya, pur senza capire, coglie una strana armonia tra Shiryu e quel personaggio: si allontana ripromettendosi di chiedere spiegazioni al compagno in un altro momento.
Shiryu è rimasto in ginocchio.
"Spero davvero che la vista non mi inganni. Sei proprio tu? Cosa ti ha condotto al Santuario dal lontano Tibet?".
La figura lo invita con un movimento delle mani ad alzarsi e all'esitazione di Shiryu, si inginocchia di fronte a lui.
"Così non mi hai dimenticato. Ricordi ancora il nostro incontro".
"Sì".

Già. Sono passati più di dieci anni. Quanto era giovane, Shiryu, piccolo cucciolo impaurito, allora.
Fu quando si recò nel Jamir per ridare vita ai cloth di Pegasus e Dragon, la prima volta hce incontrò Mu: ancora non lo sapeva essere il saint dell'Ariete.
Quel giorno rischiò la vita per un'amicizia di sangue con Seiya.
Si risvegliò solo dopo molte ore: Mu gli spiegò di avergli fatta salva la vita per rispetto del suo coraggio e del suo nobile ideale di amicizia, ma quando Shiryu fece per ringraziarlo di quel dono, Mu lo tacitò.
"Non ringraziarmi, saint. La tua vita è statasi salvata da me, ma solo meccanicamente. È vero: il flusso del tuo sangue è stato bloccato dal tocco delle mie mani, ma ugualmente non è me che devi ringraziare".
E in quel momento apparve agli occhi stanchi di Shiryu la stessa figura che ora gli è di fronte, misteriosa e insieme affascinante presenza.
Gli si era accostata: la maschera inespressiva sembrò fissarlo per un momento che parve interminabile, tale era il contrasto interiore del saint in quel momento.
Il suo cosmo parve cullato da un'aura benevola quando gli strinse la mano, ma il suo animo era reso inquieto da uno sguardo invisibile che pure si sentiva nella carne come una lama.
Aura benevole, ma alcun cosmo. Non c'era la forza delle stelle in quella stretta.
Fu silenzio finché da dietro la maschera non giunsero queste parole: "Sì. Non ci siamo ingannati. Ha amore negli occhi… ma, no. Non sono puri. Forse non ne esistono. Ad ogni modo merita di vivere, ha un'anima nobile".
Subito dopo Mu fece un cenno di assenso con la testa e la figura si allontanò immediatamente svanendo nell'aria rarefatta delle montagne.
Shiryu ebbe come l'impressione che il gesto di Mu avesse intimorito chi sembrava avergli concesso di vivere, ma poco dopo, mentre si congedava dal saint dell'Ariete, già si domandava se quella apparizione non fosse stata solo un sogno, un inganno creato dai poteri di Mu.
Indebolito si era dunque avviato verso il Goro Ho, con i cloth tornati a vivere grazie al suo sangue.
Aveva camminato abbastanza perché il palazzo di Mu non fosse più visibile: "Saint di Dragon".
La voce era flebile, un sussurro.
Shiryu si voltò verso il luogo da cui la voce proveniva: nulla.
Tornò con lo sguardo davanti a sé e si trovò di fronte proprio la persona che aveva creduto un'illusione.
"Sei il saint di Dragon, così mi ha detto Mu… ti ho seguito per dirti questo: non vivere per l'onore, non solo… né per un ideale divino solamente. Vivi anche per te Shiryu. A te è concesso amare. Non dimenticarlo mai".
E così come era venuta, la figura era nuovamente svanita.
Shiryu dimenticò presto quelle parole, troppo violenta era stata la sensazione provata.

Ora, improvvisamente, ricorda. Perfettamente.
Sono passati dieci anni eppure sembra che tra loro non sia trascorso tempo. Certo, il correre dei giorni ha cambiato molto Shiryu, il senso di inquietudine che sente ora è molto minore, perfettamente controllabile, ma nonostante ciò affiorano le mille domande che allora avrebbe voluto fare ma non aveva posto come se non gli fosse concesso.
"Mi ricordo. Sì".
Il volto di Shiryu è come allora di fronte alla maschera immobile e una mano gentile di donna afferra la sua.
"Donna. Sei donna… lo vedo dalle tue mani solo ora".
"Non ho detto né fatto nulla per nascondertelo".
"Qual è il tuo nome?".
"Non ne ho uno".
"Come è possibile?".
"Non me lo diedero. Sono una donna senza volto, né corpo, né nome. Forse nemmeno esisto…".
"No! Tu esisti e sotto questo ferro e questo peplo tu ci sei!".
"Shiryu…".
"Sì?".
"Ricordi quel che ti dissi quel giorno nel Jamir?".
"Ogni parola".
"Non lo hai fatto. Hai sacrificato te stesso per un dio, certo un dio grande e generoso, ma pur sempre un dio. E tu? Sai perché sono venuta qui alla Decima Casa, Shiryu? Per ripeterti di vivere anche per te stesso. Hai dei sentimenti… quel giorno, alla dimora di Mu, ho visto nei tuoi occhi una sofferenza muta di sentimenti negati e ora… ora che mi trovo qui, dove sono giunta perché lo dicono luogo di pace e armonia da quando voi saints avete sconfitto Ades, qui, ho dovuto sentire lo stesso fardello doloroso sostenuto da te, custode della Decima Casa".
"Perché ti importa tanto di me?".
"Non di te. Mi importa di lei".
"Lei? Lei chi?".
"Davvero non riesci a capirlo? Parlo di Shunrei".
A sentire quel nome Shiryu ha un sussulto: Shunrei… quante volte la sua mente era corsa da lei, rimasta nel Goro Ho, quante volte ha desiderato averla accanto, in dieci anni? Dopo averle detto addio in seguito alla battaglia con Ades, non l'ha più rivista.
L'ultima volta fu quando il cloth di Dragon tornò al riposo sotto la cascata eterna in attesa di un degno successore: piangeva Shunrei pregandolo di restare con lei, lì, ora che aveva finito di combattere e lui se ne era andato ugualmente, senza nemmeno guardarla in viso un'ultima volta.
"Shunrei…", sussurra Shiryu mentre una lacrima di sale gli scende lungo il viso e gocciola sui suoi capelli.

La donna è svanita, lasciando il saint solo, straziato dai suoi stessi pensieri.
Cosa aveva gridato quando Death Mask aveva osato levare la sua mano empia sul corpo indifeso di Shunrei?
Shiryu ricorda solo in questo momento.
"Il drago divino si infuria quando viene toccata la sua scagli più preziosa… e tu hai osato toccare la mia scaglia".
Il volto rassegnato del saint si increspa di rancore, un rancore inspiegabile, antico.
"Cosa devo fare… mio venerabile maestro perché questa donna senza volto né anima è venuta da me?".
Il ragazzo si tormenta. Non è l'indecisione. È la paura.
Sì. Paura. Nonostante sia un saint, nonostante la sua vita sia stata straziata in ogni momento dalla violenza, dal dolore, lui ha sempre avuto qualcuno che gli ordinasse l'azione.
Ora deve scegliere. Da solo.
Si alza, lentamente, con una sofferenza profonda, e raggiunge l'agorà: si siede su una pietra fredda.
"Forse è la sola cosa che posso fare… mettermi alla prova… cercare di comprendere…".
Il saint di Dragon espande per un momento il suo cosmo e non deve attendere molto perché Saori lo raggiunga: per ogni guerriero che domandi udienza alla dea, è sufficiente raggiungere questo luogo sacro che è l'agorà, espandere il suo cosmo e attendere.
Saori si fa accompagnare da Milo dello Scorpione, come sempre algido, distaccato.
"Cosa ti tormenta, saint?".
Shiryu alza lo sguardo verso la sua dea e le si inginocchia. Poco prima era inginocchiato nello stesso modo di fronte ad una donna sconosciuta.
"Vorrei la libertà di assentarmi dal Santuario per qualche tempo, signorina".
"Shiryu… sento l'affanno nel tuo animo. Cosa lo ha provocato?".
"Mia signora… io… chiedo solo un po' di tempo… vorrei recarmi nel Goro Ho".
"Come osi non dare spiegazioni ad Atena?", le parole di Milo sono sprezzanti e rabbiose, ma Saori solleva una mano intimandogli il silenzio.
"E sia. Hai una settimana".

Cina, Goro Ho

"Tra poco rivedrò il suo viso… qual è il prezzo di questa mia scelta? Davvero Atena non si è contrariata per la mia reticenza? Avrei dovuto rispondere, ma qualcosa… qualcosa me lo ha impedito, un senso di diffidenza nei confronti della mia stessa dea… cosa può essere così forte?".
I pensieri scomposti di Shiryu vengono fermati da ciò che si presenta ora alla sua vista: la casa amata, familiare che per tanti anni lo accolse durante l'addestramento: lei è lì, tra quelle mura.
Il giovane si ferma per un istante di fronte alla porta, incerto, dubbioso. Al fine la spinge.
"Maestro, siete già tornato?".
"No", è la risposta, gentile, accogliente.
Shunrei si volta, incapace di credere al suo udito: si è certo ingannata, non può essere, non può…
"Shiryu!", la sorpresa le fa scivolare di mano il laccio con cui stava componendo i suoi capelli.
Shiryu la guarda per un lungo, profondo momento: come è bella. I suoi occhi nerissimi, i suoi capelli scomposti, liberi, non sono cambiati nonostante gli anni.
Si avvicina e raccoglie il suo laccio: quando lei, ancora incapace di parlare allunga la mano per afferrarlo, lui le stringe le dita leggere tra le sue.
"Dunque bastava davvero così poco per capire? Dunque davvero dovevo solo concedermi di ascoltare davvero il mio cuore?".
Il viso della ragazza avvampa improvvisamente, forse vorrebbe dire qualcosa, ma non c'è tempo, già troppo ne è andato sprecato: Shiryu la osserva ancora una volta prima di appoggiare le sue labbra a quelle di lei.
Sente il suo corpo scivolare, abbandonato, inerme.
"Shiryu…", sussurra guardandolo imbarazzata, ma questa volta lui sa che non la abbandonerà.
"Shunrei… perdonami".
Lo sguardo incerto della donna lo convince a proseguire.
"Perdonami -le dice accarezzando il suo volto umido di lacrime di gioia e dubbio- per avere aspettato tanto a comprendermi… per avere sempre avuto paura… paura che il mio amore per te potesse indebolirmi, privarmi della mia forza… non sono stato in grado di capire che tu eri la mia forza. Non lo ero stato fino ad ora".
Ora anche il valoroso saint sente le lacrime rigargli le guance segnate dalle tante battaglie. Ma sono lacrime di una felicità che non credeva nemmeno possibile provare.
La stringe a sé.
Con facilità solleva tra le sue braccia quel corpo esile, delicato e la adagia sul piccolo letto dove per tanti anni lei ha dormito sola, forse desiderando, pregando di avere lui accanto.
Sente la sua pelle di porcellana fragile sotto le sue dita, la tensione di ansia e aspettativa dei suoi nervi sciolta in uno sguardo che racconta solo un amore per troppo tempo soffocato.
"Quante altre?", chiede soltanto lei in un sussurro mentre lui le allontana dal corpo i semplici vestiti colorati che lo coprono.
La osserva e le regala un sorriso irripetibile: "Nessun'altra" è la risposta.
E così non servono più parole tra i due amanti che tanto a lungo si sono cercati: si abbandonano alla scoperta di quel piacere fino ad allora negato.

Si svegliano solo dopo molte ore, il sonno li ha colti spossati dopo che i loro corpi si sono giurati amore immortale insieme alle loro anime.
Shiryu si perde nel volto candido di lei: "Tornerai con me ad Atene. Purtroppo non posso vivere qui con te. Resto un saint…".
Questa frase che non è una domanda, non è niente se non una affermazione, placa il timore di un ennesimo abbandono che, seppur flebile, non ha ancora lasciato la mente di Shunrei.
Shiryu sente finalmente la gioia, assoluta. Nulla toccherà più la scaglia più preziosa del drago.

Ad Atene, intanto, da una delle dodici case, qualcuno, non visto, sorride da dietro una maschera algida.
"Il figlio del Drago sarà presto su questo terra".





CONTINUA...