Schegge di Vetro
Capitolo
1: Vivere di Ricordi
" Un
altro whisky, per favore
"
Con un'espressione un po' imbarazzata, il barman di
quella bettola versò l'ennesimo bicchiere.
Nell'atmosfera pregna di fumo del locale, una figura
possente bevve d'un fiato, tra gli sguardi ansiosi di una
puttana decisa a svoltare la serata.
"Ciao, bello, che fai stasera?" L'uomo non la
degnò neppure di uno sguardo; sceso dallo sgabello, con
una rapida mossa alzò il cappuccio della felpa, grigia e
logora e pagò il dovuto, fuggendo via.
"Merda, piove anche oggi
pensare che mi
divertivo a giocare sotto la pioggia".
In effetti era un settembre strano, quello del 199X ad
Amburgo. L'ultimo scorcio di estate si era brutalmente
trasformato in un'anteprima dell'inverno: rigido, piovoso
e senza luce.
Tra gli schiamazzi degli ultimi ragazzi pieni di birra e
le coppiette che si affannavano alla ricerca di un posto
dove appartarsi, ancora una volta la figura si fermò per
cercare di capire cosa ci facesse laggiù, lontano dal
Giappone, terra che gli aveva dato tanto, per cercare di
migliorare la sua vita in Germania, che invece la vita
gliel'aveva distrutta.
Intanto, sotto la luce dei lampioni, si stagliavano
misere le figure di due clandestini curdi, i vestiti
laceri, le facce stanche. Cercavano un posto dove passare
la notte.
Sorrise. "In fondo sono extracomunitario anch'io
"
Percorse un viale costeggiato per intero da case a
schiera tutte uguali, facciata bianca, vialetto
d'ingresso in pietra grezza, qualche fiore qua e là
sulle finestre, tutte rigorosamente in legno chiaro.
Svoltato un angolo, si ritrovò in una via più stretta,
dove gli edifici erano di più moderni, ma meno curati,
in mattoni tanto scuri da sembrare neri. Del resto, per
vivere soli, i monolocali di quei palazzacci andavano
benissimo
anche se ancora non riusciva ad adeguarsi
agli spazi angusti, lui abituato agli spazi ampli, quasi
dispersivi della sua villa giapponese. La villa: chi la
abitava dopo la sua partenza? Avevano lasciato intatto il
campetto da calcio all'interno, e quelle porte con pali e
traverse in alluminio che avevano visto la nascita di un
campione? "Ma quale campione
" bisbigliò
tra sé e sé.
Arrivato al suo condominio, aprì il cancello aiutandosi
con un calcetto vicino allo stipite, era costretto a fare
così fin dal giorno in cui partì , insieme al
preparatore personale, da Fujisawa, quasi otto anni prima
"Dio mio, sono passati già otto anni" i
ricordi per l'ennesima volta avevano preso il sopravvento.
" Benji, devo parlarti
" così disse il
selezionatore dell'Amburgo prima della partita
fondamentale contro il Colonia.
"Dica, mister."
"Sai che questa partita deciderà il vincitore del
campionato. Nonostante il tuo leggero infortunio al
braccio, devo chiederti di stringere i denti e giocare.
Te la senti?".
Il mister sapeva che non avrebbe mai detto di no. Era
troppo facile tirarsi indietro e non assumersi le proprie
responsabilità.
"Sarò presente, mister" fu la scontata
risposta.
Poi venne la partita
quel gol preso in modo così
banale
qualche parata qua e là, la voglia di
riscatto.
E quell'uscita suicida. Il bomber del Colonia, Levin,
pronto al tiro del raddoppio, Benji che si tuffa sul
pallone mentre sta calciando
la consapevolezza, al
momento del terribile impatto, che sarebbe stato meglio
entrare a pugni chiusi e braccia contratte: il calore
delle spalle che escono dalle scapole, il braccio che
emette uno strano scricchiolio,
un urlo
il
buio.
"No!"
Benji si risvegliò urlando, sfatto dal whisky e da una
cruda realtà diventata incubo: campionato perso,
critiche, stop per almeno due anni, fatti di operazioni,
rieducazione, il tutto per riprendersi non il campo da
gioco, ma una vita che avesse una parvenza di normalità.
Finita.
Era semplicemente finita.
Il calcio non è tutto nella vita Pacche sulle spalle
Vienimi a trovare Dovresti tirarti su Tanto sei ricco
Evidentemente non era destino Ora che farai Capisci Benji
che purtroppo dovremo sostituirti Questa è una grave
perdita Allora svuotati l'armadietto.
Vaffanculo.
Si alzò da un letto che da troppo tempo veniva
utilizzato nel modo peggiore possibile: rivivere quasi
ogni notte quella giornata. "Ma come fanno a
dormire, questi occidentali
" Tentava di
mentire a sé stesso, sapeva che non era il letto, la
causa principale.
"Dio mio la schiena
" era giorno di
rieducazione. Si stese un attimo sul divano, guardando il
soffitto.
"Bene, prepariamoci" entrato in bagno, si tolse
la felpa di fronte alla specchiera, illuminata da
un'unica fioca lampadina che dava ancora più risalto al
contrasto dell'ombra con la luce: non fece a meno di
notare un lieve rilassamento dei suoi addominali. Per uno
sportivo notare un calo della massa muscolare può essere
paragonabile ad un'amnesia completa: non si ricorda più
chi si è, cosa si è fatto negli anni di quegli
interminabili allenamenti e si perde anche la voglia di
continuarli.
Si versò un bicchiere di latte caldo nella vana speranza
di far calmare i fumi del Jack Daniel's che senza tregua
battevano nelle sue tempie.
Non sapeva ancora che esiste qualcosa migliore
dell'alcool, per rimanere storditi.
CONTINUA...
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