LA SAGA DEI SANTI DI BRONZO
Prologo
Quando Hyoga varcò il cancello di
quell'enorme villa, a Tokyo, il suo viso infantile era
ancora segnato dalla recente tragedia : la nave sulla
quale viaggiava insieme alla madre era affondata nei
freddi abissi della Siberia.
Lui era scampato per miracolo, ma sua madre era sparita
tra i flutti, senza che nessuno potesse intervenire.
Nei limpidi occhi azzurri del bambino, immensamente
tristi, sembrava ancora riflesso quel terribile episodio
a cui aveva assistito impotente e disperato.
Ma la donna neanche quando si era vista perduta aveva
pensato a se stessa.
Doveva infondere il suo infinito coraggio in quella
piccola creatura bionda ; l'unica cosa che la tormentava
era l'essere costretta ad abbandonare il suo Hyoga, che
fino a quel momento non aveva avuto nessun altro cui
appoggiarsi oltre alla sua mamma.
Il bambino avrebbe dovuto crescere in fretta d'ora in poi
e lei l'avrebbe aiutato, lasciandogli un ricordo di
serenità anche nel momento estremo.
Lo salutò dolcemente e l'ultima immagine che il bimbo
aveva impressa nella memoria era il volto sorridente
della madre, la mano coperta dal guanto che lo salutava
dal ponte della nave.
Ma Hyoga sentiva di essere lo stesso arrabbiato con lei ;
perché l'aveva costretto ad andarsene ? Perché non
l'aveva lasciato restare al suo fianco ?
Numerosi bambini, forse ospiti di quello strano posto, si
erano ammassati nel giardino, incuriositi.
Dovevano essere almeno un centinaio, tutti tra i sette e
i nove anni.
Hyoga si sentiva spaesato, ma il suo carattere gli
imponeva di non darlo a vedere ; non appena maturò
quella decisione, i suoi occhi malinconici si indurirono
e quel triste bimbo di otto anni sembrò, all'improvviso,
più adulto.
Era alto per la sua età, con i capelli dorati che
risplendevano nel sole di mezzogiorno ; gli occhi, di un
incredibile azzurro, erano leggermente a mandorla.
Un uomo grosso, completamente calvo e dallo sguardo
truce, si fece largo senza troppi complimenti, scansando
malamente un gruppo di ragazzini particolarmente animato
e si diresse verso il nuovo venuto.
La sua massa minacciosa sovrastava il ragazzino il quale,
da parte sua, lo fissò con fermezza, senza abbassare gli
occhi azzurri, singolarmente glaciali per un bambino così
piccolo.
I due rimasero per un po' senza parlare, fissandosi
reciprocamente, come a voler sostenere una sfida
silenziosa.
Il gigante, che evidentemente con il suo sguardo
intendeva intimorire il bambino, dovette rinunciarvi.
"Bene" disse finalmente l'uomo con un leggero
sogghigno "Chissà che tu non abbia qualche speranza
di farcela."
Hyoga ebbe un attimo di perplessità : cosa voleva
significare quella frase ? Speranza di farcela in che
cosa ?
Dopo la morte di sua madre era stato condotto ugualmente
in Giappone, da alcuni uomini che il piccolo non aveva
mai visto prima.
L'avevano spaventato ; non si erano dimostrati
particolarmente gentili né tantomeno affettuosi con lui,
non l'avevano consolato.
Semplicemente l'avevano preso in consegna e se l'erano
trascinato dietro per tutto il viaggio, senza fornirgli
alcuna spiegazione.
Hyoga non conosceva nessun altro oltre alla mamma, non
sapeva a chi rivolgersi, non sapeva se quelle persone
avevano davvero il diritto di condurlo con loro.
Ma lui non aveva potuto fare altro che seguirli.
Durante il viaggio l'avevano costantemente tenuto
d'occhio, come si fa la guardia ad un carcerato piuttosto
che a un bambino appena toccato dalla più grande
tragedia.
Non emanava ombra di conforto dai suoi custodi ; se
possibile, resero ancora più profondo quel baratro di
solitudine, di abbandono, di angoscia, in cui il piccolo
era precipitato.
La mamma gli aveva detto che si erano messi in viaggio
per incontrare Alman di Thule, il padre del piccolo, con
il quale la donna aveva avuto una breve ma intensa
relazione.
Hyoga sapeva che l'uomo doveva trovarsi in Giappone ;
forse, quegli uomini che l'avevano condotto lì lo
conoscevano?
Ma quel posto somigliava in modo sconcertante ad un
collegio o ad un orfanotrofio.
Chi l'aveva voluto lì e perché ?
"Mylock, che succede ?" squittì una vocina
autoritaria, ma chiaramente infantile.
Una bimbetta esile, che non doveva avere più di sette
anni, apparve di fianco all'uomo.
I capelli, lisci e di un bel biondo ramato,
incorniciavano un visino estremamente grazioso, ma pieno
di carattere ; i grandi occhi azzurri brillavano di
un'orgogliosa fierezza e il nasino all'insù accentuava
l'altezzosità di quella fisionomia decisamente
aristocratica.
Gli occhi vispi e alquanto freddi di quella bizzarra
tipetta presero a scrutare insistentemente il bambino.
Hyoga detestava essere guardato in quel modo, con
quell'irritante aria di sufficienza che ostentava quella
specie di principessa dall'aria viziata e provò per
quella ragazzina un'istintiva antipatia.
Lo sguardo truce di Mylock, intanto, si era fatto
sottomesso e rispettoso.
"E' il nuovo arrivato, lady Saori ; credo si chiami
Hyoga."
La bambina ricominciò a squadrare il ragazzo dall'alto
in basso, come se stesse giudicando il valore di un
oggetto.
Hyoga si sentì irritato e incrociò le braccia con fare
strafottente ; riteneva giunto il momento di chiarire la
svolta che aveva preso la sua vita e di chiedere
chiarimenti.
Cercò di contenere la rabbia e lo smarrimento, quando si
decise a parlare per la prima volta.
"Qualcuno vorrebbe spiegarmi" chiese, cercando
di apparire più educato possibile, almeno quanto glielo
permetteva la paura che provava "che cosa ci faccio
qui ? Mia madre mi ha detto che in Giappone avrei
incontrato mio padre ; voi sapete dove posso trovarlo ?"
"Nessuno ti ha dato il permesso di parlare"
ruggì Mylock.
"Sei nordico ?" domandò Saori, afferrando con
una manina incredibilmente piccola, un ciuffo biondo di
Hyoga.
"Non sono affari tuoi !" gridò il ragazzo,
scostando con prepotenza la mano di Saori.
"Come ti permetti ?" scattò Mylock, afferrando
il bimbo per il colletto della camicia e sollevandolo da
terra.
Strattonandolo in malo modo, si fece largo tra i ragazzi
ed entrò nell'immenso edificio.
Shun
aveva osservato la scena dalla prima fila di bambini,
dove si trovava accanto al fratello Ikki.
Aveva provato un impeto di affetto e ammirazione
spontanei per quel bambino così bello e fiero.
Quando Mylock e Saori si erano avvicinati al nuovo
arrivato, Shun aveva cominciato a tremare, fino a
scoppiare in lacrime assistendo al concludersi del
battibecco.
Dopo che Mylock e Hyoga erano scomparsi all'interno del
palazzo, Shun rimase a guardare la porta che si era
richiusa alle loro spalle.
La fissava con grandi occhi spaventati, come se si fosse
trattato della bocca di un terribile mostro che aveva
appena inghiottito uno di loro.
Non era solo l'immaginazione infantile di un bambino
eccessivamente sensibile : il piccolo sapeva benissimo
cosa sarebbe accaduto al nuovo compagno e soffriva
terribilmente a quel pensiero.
Il suo sguardo era completamente concentrato su quella
porta, tanto da non accorgersi che Saori, con il suo
visino borioso, si stava dirigendo verso di lui.
Quando se ne rese conto sussultò, come se avesse visto
un fantasma.
La bambina si fermò davanti a lui, con le mani sui
fianchi e un sorriso beffardo che mal si addiceva a quel
volto delicato e grazioso.
I tremiti di Shun si accentuarono nonostante il braccio
affettuoso di Ikki stretto intorno alle sue spalle.
Saori si avvicinò ancora, senza parlare e puntando il
naso contro quello del bambino.
Erano alti uguali, ma la ragazzina appariva più
imponente a causa della visibile timidezza di Shun, il
quale non osava guardarla in faccia e, si intuiva,
avrebbe desiderato farsi tanto piccolo da scomparire.
Per lui era impensabile sostenere uno sguardo così fermo
e duro ; i suoi grandi occhi gentili erano rivolti al
suolo, le spalle basse e il bel viso, incorniciato da
riccioli ramati, rintanato in esse, come una tartaruga
nel suo guscio.
"Guardate tutti !" gridò Saori, con voce
argentina e squillante "Qui c'è una bambina paurosa
che sta per mettersi a piangere, e non sono certo io
!"
Numerosi bambini, pur detestando quella ragazzina,
scoppiarono in una fragorosa risata.
Shun sentì Ikki fremere al suo fianco, ma non osò
guardarlo in faccia... come doveva vergognarsi di avere
un fratello così debole !
Non riuscì più a sopportare quelle risate canzonatorie
; indietreggiò, per poi voltarsi e scappare via, in
lacrime.
In mezzo alle risate, gli parve di udire la voce
imperiosa di Ikki che lo chiamava ma, contrariamente al
suo solito, era troppo disperato per obbedirgli.
Quando
Saori apostrofò Shun con quella cattiveria, Ikki avrebbe
desiderato fulminarla con il solo potere del suo sguardo,
uno sguardo decisamente duro per un ragazzino di nove
anni.
Poi, nell'udire le risate alle spalle del fratello,
fremette per la rabbia.
Da quando Shun era nato, Ikki si era preso l'impegno di
proteggerlo, contro tutto e tutti.
La loro mamma era morta quando Shun aveva tre anni e il
padre non l'avevano mai conosciuto.
Ikki e Shun non avevano nessun altro ; erano rimasti
completamente soli e il bambino più grande, che aveva
solo cinque anni all'epoca, aveva preso molto sul serio
il suo ruolo di fratello maggiore.
Inoltre Shun, così piccolo, timido e dolce, accentuava
il suo istinto protettivo.
Fin da piccolo aveva dimostrato una tale positività, un
tale desiderio di amare ed essere amato che Ikki,
contagiato da quell'aura di serenità e speranza che
sembrava avvolgere il fratellino, non aveva mai rimpianto
di doversi prendere cura di lui.
Anzi, la sua presenza l'aveva aiutato a non arrendersi, a
non abbandonare mai la retta via.
Da quando erano rimasti soli, Ikki non era mai ricorso ad
espedienti disonesti per procurarsi da vivere.
Avevano vissuto di stenti, fidando sull'aiuto di poche
persone generose.
Poi erano dovuti fuggire dalla loro vecchia casa.
Ikki ricordava poco di quel periodo di fughe continue,
solo che qualcuno voleva impossessarsi di Shun,
strapparlo dalle sue braccia, separarlo da lui.
Avevano continuato a scappare per quasi un anno, Ikki non
sapeva più da chi o da che cosa.
Shun ancora non capiva, ma percepiva l'inquietudine del
fratello e gli sorrideva sempre, come se avesse compreso,
pur così piccolo, che il suo sorriso era il migliore
incoraggiamento, il regalo più grande per l'adorato
fratellone.
Si aggrappava a lui più come a un padre che come a un
fratello.
Appena nato, la prima parola che aveva imparato a
pronunciare dopo "mamma", era stato proprio il
nome di Ikki.
L'adorazione che provava per lui era totale.
Non distoglieva quasi mai i grandi occhi verdi da quelli
grigio scuro del fratello ; Ikki era tutto il suo mondo,
il suo punto di riferimento, il suo sostegno.
Ed era completamente ricambiato in questi sentimenti.
Erano in molti a commuoversi di fronte a quel legame
fraterno quasi morboso, a quella dedizione assoluta che
univa quei due bambini così piccoli.
Ikki non ricordava quando avevano smesso di fuggire ; ad
un certo punto, nella sua memoria c'era un vuoto totale,
come se si fosse addormentato all'improvviso e si fosse
risvegliato più tranquillo.
Dopo quel momento, chiunque li stesse inseguendo aveva
deciso di lasciarli in pace.
Qualche giorno dopo si erano imbattuti in un parroco, la
cui gentilezza, l'atteggiamento paterno, erano riusciti
ad infrangere la diffidenza di Ikki.
Il religioso aveva preso il sempre fiducioso e sorridente
Shun tra le braccia e aveva teso la mano al bambino più
grande.
Dopo un attimo di esitazione, il ragazzino accettò
quell'invito e si lasciò condurre dall'uomo in un
orfanotrofio, dove erano stati accolti e curati
amorevolmente, senza che nessuno li obbligasse a
separarsi.
Per quel che Ikki poteva ricordare, quello era stato il
periodo più sereno e tranquillo da quando la mamma era
morta.
Purtroppo durò poco.
Un giorno, due uomini enormi vestiti di nero, in giacca e
cravatta, dall'espressione truce accentuata dagli
occhiali scuri, erano venuti per portarli dove si
trovavano adesso.
Non ci avevano guadagnato nel cambio ; gli adulti di
Villa Thule erano tutt'altro che affettuosi e trattavano
i piccoli ospiti come carcerati, non risparmiando loro
umiliazioni e punizioni, anche fisiche, spesso senza
validi motivi.
L'unica cosa positiva era la scuola : li preparavano
molto bene e insegnavano ai ragazzi anche il greco antico
e le lingue arcaiche, l'astronomia e la mitologia.
C'era un grande osservatorio alla villa e i bambini
adoravano essere condotti lì e perdersi nella
contemplazione di quello spettacolo stellare.
Un'importanza fondamentale aveva l'attività fisica ; i
ragazzi passavano ore in palestra e nell'enorme giardino
: li obbligavano a svolgere i più svariati esercizi fino
allo sfinimento e, tra gli sport più praticati, c'era la
lotta in tutte le forme.
Era faticoso, ma in quei momenti i bambini sfogavano la
loro naturale energia infantile e si concedevano un po'
di allegria.
Rare erano le pause in cui i ragazzi potevano girovagare
liberi nei limiti consentiti e giocare come preferivano.
L'unica femmina del posto era Saori, ma la bambina era
trattata diversamente, quasi come una piccola principessa
; si diceva che il padrone della villa, un ricchissimo
duca, fosse suo nonno.
Quindi lei era una duchessina.
Saori sembrava pensare di avere ogni diritto sugli altri
bambini.
Li comandava a bacchetta e li trattava con prepotenza ;
in pochi reagivano ai suoi soprusi, perché sapevano che
i sorveglianti avrebbero preso le sue difese.
Anche adesso, dopo la provocazione rivolta da Saori al
piccolo Shun, Ikki si limitò a puntare su di lei uno
sguardo furioso ma, suo malgrado, trattenne gli insulti
che gli erano saliti alle labbra ; avrebbe solo
peggiorato le cose, sia per se stesso che per il
fratellino.
Inoltre avrebbe desiderato che Shun se la cavasse da solo
una volta tanto.
Sapeva, da informazioni raccolte alla villa, che i
bambini erano stati raccolti per uno scopo misterioso e
che presto sarebbero stati mandati tutti in posti
differenti.
Ikki era sconvolto a quell'idea e immaginava che Shun
dovesse esserlo ancora di più.
Prima dell'inevitabile e sconvolgente separazione, il
ragazzo avrebbe desiderato insegnare al fratello ad
affrontare il mondo senza il suo sostegno.
Ma Shun era così ingenuo, fragile e sensibile che Ikki
disperava di poterci riuscire.
Per questo, quando l'aveva visto correre via piangendo,
l'aveva richiamato piuttosto duramente : doveva smetterla
di scappare quand'era intimorito.
Tuttavia, Shun sembrò non udirlo e scomparve tra i
cespugli del boschetto interno alla villa.
"Immaginavo
che sarebbe finita così" sospirò Seiya, seguendo
con lo sguardo la massa gigantesca di Mylock che
scompariva insieme a Hyoga all'interno della villa.
"Poverino, mi dispiace" sussurrò Shiryu con la
sua vocina gentile "Non sarà un bel benvenuto."
"Perché ?" chiese Seiya stizzosamente, mentre
sul suo bel visetto abbronzato compariva una comica
smorfia di disgusto "Qualcuno di noi, qui, è stato
accolto con gentilezza ?"
Shiryu sollevò le spalle ; il suo volto gentile era
malinconico : "No, ma almeno io non ero stato punito
il primo giorno."
Seiya rivolse uno sguardo divertito a colui che riteneva
il suo amico più caro e scoppiò in una fragorosa risata
:
"Io invece sì."
Un attimo dopo si pentì della propria ilarità e provò
una viva partecipazione nei confronti del nuovo arrivato
: "Proprio per questo, so quanto sono severi fin da
subito... mi dispiace per lui."
"Già ; sembra un tipo simpatico... chissà cosa ne
pensano Ikki e Shun... a proposito, dove sono ?"
Seiya e Shiryu cercarono con lo sguardo i due compagni ai
quali erano più affezionati.
"Eccoli laggiù" indicò Seiya.
Li videro proprio nel momento in cui Saori si stava
avvicinando a Shun.
Un attimo dopo, udirono chiaramente la cattiva frase
della bambina rivolta al loro amico e non parteciparono
all'ilarità generale.
Seiya imprecò, lanciando un insulto alla piccola
duchessa che, per sua fortuna, fu coperto dal fragore
delle risate.
Shiryu rimase muto, osservando con sguardo triste e
comprensivo la fuga del piccolo amico.
Shun
corse a rifugiarsi sotto il suo albero preferito, quello
che recava le impronte dei pugni di Ikki.
Si accoccolò sull'erba e nascose il viso tra le braccia.
Ormai non riusciva più a trattenere i singhiozzi.
Odiava la propria debolezza ; sapeva benissimo che la sua
reazione era stata eccessiva per la semplice frase,
seppur molto crudele, di quella bambina.
Più probabilmente erano le risate dei compagni a fargli
così male...
No... non era niente di tutto questo.
Si rese conto che non pensava neanche più all'offesa che
aveva subito e forse, non ci aveva mai realmente pensato.
Le sue lacrime erano per il bambino biondo che
probabilmente, adesso, dopo avere perso la mamma, era
picchiato senza pietà.
Al solo pensiero di quello che stava passando, proprio in
quel momento, il nuovo compagno, i singhiozzi di Shun si
fecero ancora più disperati.
Non udì i passi che si avvicinavano a lui così, quando
qualcosa lo toccò alle spalle, sussultò, lasciandosi
scappare un urletto acuto.
"Siamo solo noi, che ti prende ?"
Il bambino sorrise sollevato alla vista dei due compagni
che adorava, un brunetto piccolo come lui, con grandi
occhi neri e vivaci e un bellissimo ragazzino,
probabilmente un po' più grande, alto e snello, con
lunghi capelli neri e un viso cordiale ed amichevole.
"Ciao Seiya... Ciao Shiryu" sussurrò Shun
strofinandosi gli occhi con un braccio, cercando, senza
troppo successo, di liberarli dalle lacrime che colavano
senza sosta sul suo viso delicato.
Seiya si sedette accanto a lui.
Loro due erano tra i più piccoli alla villa : avevano
sette anni, mentre la maggior parte dei ragazzi ne aveva
otto come Shiryu e qualcuno nove.
"Allora" chiese Seiya con un tono di simulata
impazienza "Sentiamo, perché piangi questa volta ?"
Shun non osava guardarlo in faccia ; si sentiva troppo
umiliato per la scena che l'aveva visto protagonista
davanti a tutti i compagni.
"Saori ti ha spaventato ?" insisté Seiya.
Un'espressione vergognosa apparve sul visetto grazioso di
Shun ; i grandi occhi, di un bellissimo verde misto ad
azzurro che ricordava il colore del mare, si posarono per
un attimo su quelli scurissimi e vispi di Seiya... Due
sguardi incredibilmente espressivi, seppur così diversi.
"Non devi darle questa soddisfazione Shun... lei ci
gode ad essere perfida... E' solo una piccola stupida e
non merita neanche la nostra considerazione."
Shun deglutì e tirò su col naso, emettendo un ultimo
singhiozzo ; quindi, finalmente, il suo volto angelico si
illuminò di un tenerissimo sorriso.
"Mi... mi dispiace..." balbettò con una
melodiosa voce che ben si addiceva a quella figurina
dall'aspetto fragile.
Seiya si lasciò scappare una risata per il candore del
compagno : "Non parlare come se dovessi chiedere
scusa a qualcuno... tu non hai fatto niente di male... a
parte piangere, come al solito... Non ti sembra di avere
avuto una reazione un po'esagerata ?"
Shun sospirò : "Non è per quello che mi è venuto
da piangere."
Seiya rimase perplesso : "Ah no ? Qual'è il
problema allora ?"
"Forse ho capito !" esclamò Shiryu che
credeva, ormai, di conoscere bene il sensibile compagno
"Ci scommetto che ti sei commosso per il nuovo
arrivato !"
Shun sollevò gli occhi, ancora lucidi e brillanti di
lacrime, per posarli su quelli scuri, a mandorla, del
compagno.
"Ho indovinato eh ?" chiese ancora Shiryu
strizzandogli un occhio con un sorriso rassicurante.
Shun annuì vigorosamente.
"Sai una cosa Shun ?" disse Shiryu "Anch'io
sono rimasto colpito da quello che è successo e sono
preoccupato per quel bambino... Sicuramente l'hanno
rinchiuso nella cantina della villa, come fanno sempre
quando puniscono qualcuno ; potremmo andare da lui."
Il viso di Shun si illuminò e i suoi occhi si riempirono
di gratitudine.
"Ottima idea Shiryu !" approvò Seiya scattando
in piedi, pronto a muoversi immediatamente.
"Vi dispiace se vengo con voi ?" chiese una
voce più matura di quella dei compagni.
Il ragazzo che apparve non doveva avere meno di nove
anni, ma ne dimostrava anche di più.
I riccioli neri incorniciavano un viso piuttosto duro e
arcigno anche se piacevole e, in quel momento, cordiale.
Gli occhi grigi e ardenti non erano a mandorla, ma nei
tratti somatici c'era qualcosa di orientale.
Si intuiva che quel ragazzino doveva essere predisposto
all'ira ed era facile scorgere dietro quel volto,
precocemente indurito, un animo ribelle.
Con un urletto di gioia, Shun corse verso il ragazzo :
"Ikki-niisan ! Sapevo che saresti venuto a cercarmi
!"
Il ragazzo accolse il piccolo tra le braccia,
stringendolo a sé con un atteggiamento visibilmente
protettivo.
Il suo volto subì una trasformazione mentre rispondeva
all'abbraccio del fratellino ; la durezza lasciò il
posto ad un affetto infinito ; gli occhi, posandosi sulla
testolina castana di Shun, si addolcirono notevolmente.
Intanto Seiya e Shiryu avevano già spiccato la corsa in
direzione del palazzo.
Ikki afferrò una mano di Shun, che scomparve
completamente in quella del fratello e, trascinandoselo
dietro, li raggiunse in men che non si dica.
Hyoga
sedeva rannicchiato in un angolo della buia cantina :
l'avevano picchiato duramente e il suo piccolo corpo
soffriva fino a farlo lacrimare.
Aveva cercato di non piangere, di non dare soddisfazione
a Mylock e ai suoi aiutanti, ma non c'era riuscito ;
aveva solo otto anni e non era mai stato trattato in quel
modo, sua madre non avrebbe mai preso in considerazione
certi metodi, se ne sarebbe indignata.
Lei voleva portarlo in Giappone per fargli conoscere suo
padre e invece si era ritrovato solo in quel posto
terribile.
Avrebbe dato qualunque cosa per comprendere almeno
qualche particolare nel rapido susseguirsi degli ultimi
avvenimenti.
Dei passi affrettati sulle scale lo fecero trasalire ;
tremò e si sentì vulnerabile come non mai.
Però quei passi non risuonavano minacciosi e non
potevano appartenere a quegli uomini giganteschi.
La porta si spalancò mentre Hyoga, tremante, si mise
all'erta ; gli erano bastati gli ultimi terribili giorni
per imparare a non fidarsi di nessuno.
Quattro ragazzini, probabilmente quasi suoi coetanei,
apparvero sulla soglia.
"Ciao ; sapevamo che ti avremmo trovato qui !"
esclamò quello che sembrava il più grande.
Dietro di lui spuntò un bimbo minuscolo, con folti
capelli di un biondo leggermente ramato e uno sguardo
estremamente dolce; Hyoga, in un primo momento, lo scambiò
per una bambina.
Quel ragazzino, i cui grandi occhi azzurro-verdi
sembravano avere la miracolosa capacità di rasserenare
chi li guardava, erano fissi su di lui, ansiosi.
Hyoga non sfuggì allo strano incantesimo di quello
sguardo tenero, ma che comunicava una forza particolare,
misteriosa : la forza dell'amore e della speranza, pensò
il piccolo siberiano.
Gli sembrò di sentirsi meglio e di provare, pur senza
conoscerlo, un affetto infinito verso quello strano
bambino.
Intanto quella specie di cherubino gli si era avvicinato
e, visibilmente intimidito, gli posò una piccola mano
sulla spalla, balbettando :
"Co... come stai ?"
Hyoga lo guardò, commosso.
Era colpito da quel gesto spontaneo, dalla preoccupazione
che leggeva sul volto di quel bambino nei confronti di un
perfetto sconosciuto.
Non poté fare a meno di sorridergli, anche se debolmente
e trattenne a stento un desiderio quasi irrefrenabile di
abbracciarlo.
Anche gli altri ragazzi si erano avvicinati a lui e lo
guardavano con visi amichevoli e comprensivi.
Gli bastava ricambiare i loro sguardi per avere la
sensazione di essere meno solo : quei bambini erano come
lui, condividevano la sua stessa sorte, i suoi stessi
problemi... sentiva, in uno strano modo che non riusciva
a spiegarsi che, in quel momento, tra loro si era
stabilito un legame, una specie di accordo silenzioso ;
era nato per incontrarli e per condividere con loro
gioie, tristezze e difficili battaglie.
Insieme a loro avrebbe potuto sopportare tutto.
Ma che strani pensieri mi hanno fatto venire in mente
questi quattro, pensò ; non ho mai provato niente di
simile incontrando altri bambini.
"Stai molto male ?" chiese un bellissimo
ragazzino dai lunghissimi capelli neri e gli occhi a
mandorla.
Hyoga sollevò le spalle :
"Sopravviverò" rispose.
"Ma certo !" esclamò un altro di quei quattro
ragazzi, piuttosto piccolo, dai grandi occhi scuri e
un'aria simpatica e sbruffona che conquistò subito Hyoga
"Io ne ho prese più di tutti qui alla villa e ti
assicuro che, quando ci fai l'abitudine, impari a
fregartene."
"Non darti troppe arie Seiya" intervenne il
ragazzo più grande, quello che l'aveva salutato per
primo "Io e te ce la disputiamo bene su chi ne ha
prese di più... e mi sono accorto che a te, qualche
lacrimuccia scappa ancora."
Colui che aveva chiamato con il nome di Seiya gli rispose
con una boccaccia che suscitò l'ilarità generale.
Senza badargli, il bambino maturo si rivolse al siberiano
:
"Possiamo sapere come ti chiami ?"
"Hyoga... nella mia lingua significa Isola di
ghiaccio."
"Un nome adatto per chi viene da un paese gelido
come il tuo... soprattutto lo trovo indicato per te che
hai saputo tenere testa benissimo a Mylock e alla
duchessina Saori... Io mi chiamo Ikki e quel moscerino
vicino a te, è il mio fratellino Shun... i nostri nomi,
in giapponese, significano entrambi la stessa cosa :
scintillio... forse è l'unica particolarità che abbiamo
in comune."
Hyoga li osservò entrambi, piuttosto perplesso ;
davvero, non avrebbe mai creduto che potessero essere
fratelli.
Shun era rassicurante, candido, mentre Ikki, per quanto
fosse cordiale, aveva un qualcosa di inquietante, di
infinitamente rabbioso negli occhi scuri e ardenti.
Anche gli altri due ragazzi si presentarono : si
chiamavano Shiryu e Seiya ; Hyoga notò che erano
particolarmente affiatati tra di loro.
I quattro bambini si sedettero intorno a lui.
Ikki, Shiryu e Seiya cominciarono a chiacchierare con lui
amichevolmente mentre Shun quasi non parlava e si
limitava, ogni volta che i loro sguardi si incrociavano,
a sorridergli con un'espressione così affettuosa da
essere più efficace di qualsiasi parola.
Hyoga ricambiava quei sorrisi ; desiderava mettere il più
possibile a suo agio quel timido e dolcissimo nuovo amico.
Finalmente Hyoga poteva interrogare qualcuno su ciò che
gli stava succedendo.
"Cos'è questo ? una specie di orfanotrofio ?"
"Non proprio" spiegò Shiryu con la sua voce
singolarmente calma e rilassante "Siamo stati tutti
raccolti per strada o da vari istituti e riuniti qui.
Dicono che dovremo diventare sacri guerrieri."
Hyoga rimase perplesso :
"Sacri che ? Non so neanche cosa voglia dire !"
"Neanch'io" intervenne Ikki "L'unica cosa
che ho capito è che presto ci spediranno come tanti
pacchi postali verso vari paesi, per un addestramento
alla guerra."
"Come alla guerra ? Perché ?"
"Non lo so ; ma ho sentito dire che, prima di
cominciare a distribuirci in giro per il mondo, dovevano
radunare cento ragazzi e... credo che con te, ormai, ci
siamo."
Mentre Ikki pronunciava queste ultime parole, Hyoga vide
il piccolo Shun trasalire e guardare il fratello con gli
occhioni sgranati.
Notò anche che Ikki, a sua volta, lo strinse
maggiormente a se, e un lampo di disperazione attraversò
quegli occhi freddi.
Hyoga si sentì intenerito : i caratteri dei due fratelli
erano completamente contrastanti, ma l'affetto reciproco
che provavano era qualcosa di quasi miracoloso intuì,
forse addirittura morboso.
Invidiò un po' quel forte legame fraterno... ma per una
strana intuizione credeva di comprenderne il significato
fino in fondo : aveva appena conosciuto quei quattro
compagni, tuttavia sentiva che li avrebbe amati come
fratelli... Non aveva mai provato niente di simile, ma
gli piaceva e gli riscaldava il cuore.
Provò sollievo : negli ultimi giorni, fino a quel
momento, una morsa di ghiaccio gli aveva attanagliato il
cuore... credeva che non sarebbe mai più riuscito ad
amare nessuno, a riversare su nessuno quel caldo
sentimento che lo legava alla madre.
Poteva comprendere l'inquietudine di Shun ; quello che
aveva sentito aveva messo in ansia anche lui :
"Non riesco a capire... non ci capisco niente... mi
sembra di essere finito in un sogno assurdo... chi è
questa gente, cosa vuole da noi ?"
"Hai ragione" commentò Seiya amaramente "è
assurdo, ma purtroppo non è un sogno... sapessi per
quanti giorni ho sperato che lo fosse."
Il viso sorridente e sbruffone di Seiya si incupì e
Hyoga si rese improvvisamente conto che quel ragazzino
dall'aria vivace, il quale a prima vista appariva così
allegro e infantile, aveva un fondo di tristezza nel suo
piccolo cuore, dovuto probabilmente ad una dolorosa
esperienza.
Ma raramente il vivace monello, che sapeva portare, con
la sua sola presenza, una ventata di allegria, lasciava
emergere il suo lato più malinconico... sapeva reagire
al dolore evidentemente e Hyoga lo ammirò per questo.
Il piccolo siberiano sperava di ottenere ancora qualche
informazione : gli sembrava tutto così vago, strano...
"Perché proprio noi ? Voglio dire... ci hanno
scelti a caso o...
Shiryu si strinse nelle spalle :
"Ne sappiamo quanto te ; lo so che vorresti capirci
qualcosa... lo vorremmo anche noi ma purtroppo, ti
abbiamo detto tutto quello che sappiamo."
La disperazione di Hyoga lasciò il posto ad un'ira
irrefrenabile.
Dimenticando il dolore delle frustate ricevute scattò in
piedi stringendo i pugni, senza accorgersi di Shun che
fece un balzo indietro per lo spavento, ranicchiandosi
contro il fratello.
"Non possono trattenermi qui contro la mia volontà"
gridò il piccolo siberiano ; negli occhi chiarissimi
tremolavano lacrime di indignazione "Non faranno di
me il loro schiavo ! Devo trovare mio padre e non ho
tempo da perdere con loro ! Questa notte me ne vado
!"
"Questa è bella !" commentò Seiya con
un'amara risatina "Quanti di noi credi che sarebbero
ancora qui, se avessero avuto la possibilità di
andarsene ?"
Hyoga si voltò a fissarlo ; Seiya continuò :
"Non riuscirai mai a scappare ; ci sorvegliano
sempre e il terreno è circondato da filo spinato... e
non hai ancora visto i cani."
La rabbia sul visetto di Hyoga lasciò il posto alla
costernazione e, subito dopo, ad una disperazione
infinita :
"E'... come essere in prigione" sussurrò con
un filo di voce "Siamo prigionieri..."
"Finalmente hai capito" commentò Ikki
cupamente.
Seiya tirò su col naso... solo allora i compagni
notarono le lacrime che colavano lungo le guance del
monello : aveva cercato di nasconderle fino a quel
momento, ma non ci riusciva più.
Come già aveva fatto con Hyoga, Shun perse tutta la sua
timidezza quando si trattò di confortare qualcuno ; si
staccò dal fianco del fratello e avanzò carponi verso
l'amico, circondandogli le spalle in un delicato
abbraccio.
Hyoga era sempre più colpito : c'era davvero qualcosa di
singolare in quel bambino.
Grazie a quell'affettuoso contatto, Seiya si calmò e
chinò il volto : sembrava imbarazzato per essersi
lasciato andare in quel modo.
"Scusatemi... io..." balbettò asciugandosi il
viso con un braccio.
Finalmente Shun parlò... era di poche parole, ma sapeva
cosa dire al momento giusto :
"Ritroverai Patricia Seiya... ne sono sicuro..."
Seiya non rispose, ma lo sguardo affettuoso che lanciò a
Shun, chiarì subito a Hyoga che non era l'unico a subire
il fascino angelico di quel minuscolo bambino.
"Chi è Patricia ?" domandò il piccolo russo.
"E' mia sorella" sospirò Seiya "Questi
bastardi mi hanno portato qui separandomi da lei."
"Seiya, mi dispiace tanto" singhiozzò Shun
commosso e poggiando la testa castana sulla spalla di
Ikki "Mi sento in colpa... io almeno sono con mio
fratello."
Seiya lo rassicurò con un sorriso :
"Credo che la fortuna non abbia preso molto in
considerazione nessuno di noi Shun... non è il caso che
tu ti senta in colpa."
Shun sospirò ; lui non si impegnava come Seiya nel
cercare di trattenere le lacrime che ormai colavano senza
sosta sulla carnagione chiara del suo viso :
"Forse è vero... neanche io e Ikki staremo insieme
ancora per molto..."
Si nascose il volto tre le mani, le spalle scosse da
singhiozzi disperati.
"E' troppo fragile" pensò Hyoga tra sé "Se
non ci fosse suo fratello si lascerebbe vincere dalla
disperazione... non riesco a immaginarlo separato da lui."
"Shun ! ! !"
L'esclamazione rabbiosa di Ikki fece sussultare tutti.
Il fratellino lo guardò, cercando di dominare le lacrime
: sapeva perché Ikki si era arrabbiato... detestava
vederlo piangere.
Gli occhi grigio scuro di Ikki si posarono fermamente sui
suoi ; Shun non riuscì a sostenere lo sguardo duro del
fratello e chinò il capo, balbettando qualche parola di
scusa.
Il viso di Ikki si addolcì quasi subito : allungò una
mano e la passò delicatamente sulle guance di Shun,
liberandole dalle lacrime.
Poi prese il fratello per le spalle e lo attirò vicino a
sé, abbracciandolo con calore.
Gli altri, durante questa scena, erano rimasti muti : le
loro espressioni serie e malinconiche li facevano
apparire come piccoli adulti... la vita aveva voluto che
crescessero in fretta.
Rimasero seduti in silenzio ancora per un bel po',
ciascuno immerso nei propri pensieri.
Shun si addormentò tra le braccia del fratello e dopo
qualche minuto cominciò a lamentarsi nel sonno.
Ikki lo guardava senza fare nulla, con dipinte sul volto
rabbia e preoccupazione.
"Perché non lo tranquillizzi ?" chiese Hyoga,
che avrebbe desiderato lui stesso dare un po' di conforto
a quel fragile bambino.
Ikki chiuse gli occhi per un attimo, quindi li riaprì e
fissò un punto davanti a sé :
"Presto ci separeranno e lui non riesce a pensare
con rassegnazione a questo fatto... Rimarrà davvero solo
e dovrà affrontare prove ben peggiori di quelle che ora
lo spaventano... Io mi sento in colpa... L'ho sempre
difeso, protetto da tutto, ho superato gli ostacoli al
suo posto, ma non dovevo farlo... l'ho reso troppo
dipendente da me e ora non potrò più proteggerlo...
devo cominciare a non essere più il suo appoggio ; è
difficile anche per me, perché mi verrebbe istintivo, ma
gli farei solo del male e forse è già troppo tardi."
Hyoga annuì, colpito dalla maturità di Ikki : il suo
atteggiamento nei confronti di Shun era quasi paterno.
Comprendeva la sua difficile posizione, ma capiva
benissimo anche come doveva sentirsi il fragile Shun.
Shun si
svegliò di soprassalto, tutto sudato e con il respiro
affannoso.
Qualcuno l'aveva portato a letto... doveva essere stato
Ikki.
Aveva avuto un incubo, interminabile ed angosciante :
l'avevano strappato a forza dalle braccia del fratello,
l'unico sostegno che aveva avuto nei suoi sette anni di
vita.
Si era sempre appoggiato a lui per ogni cosa e Ikki non
l'aveva mai lasciato, neanche per un attimo.
Da quando si trovavano in quella specie di carcere
l'aveva sempre protetto, persino dalle punizioni dei
sorveglianti, spesso prendendole al posto suo.
Shun piangeva lacrime amare quando questo accadeva, ma
suo fratello agiva sempre con fermezza e Shun, timido e
umile, non riusciva a impedirgli quei gesti.
Non che Shun attirasse spesso le punizioni : era
estremamente tranquillo, silenzioso e obbediente... Ikki
pensava che lo fosse troppo.
Gli unici motivi per cui veniva richiamato duramente
erano gli esercizi fisici...
Era agile e veloce, saltava e correva con la grazia e la
leggerezza di un cerbiatto, in questo aiutato dalla sua
figurina minuscola...
Ma nella lotta era un disastro ; quando era faccia a
faccia con un altro ragazzo sembrava perdere ogni
elasticità, si irrigidiva e, addirittura, tremava.
Non prendeva mai l'iniziativa e apparentemente non voleva
neanche provare a vincere ; i suoi tentativi di
concludere qualcosa erano alquanto goffi.
Inevitabilmente finiva a terra nel giro di pochi secondi
e parecchi ragazzi, vedendolo così indifeso, avrebbero
infierito, rischiando di fargli male se Ikki non fosse
sempre accorso per prevenire il misfatto...
L'avversario di Shun perdeva ogni baldanza, ma Ikki non
risparmiava i rimbrotti neanche al fratello, che piangeva
implorando il suo aiuto.
Tuttavia, il fratellone abbandonava ogni severità nei
suoi confronti quando, a loro volta, gli istruttori si
avvicinavano per rimproverare e umiliare ulteriormente il
piccolo... era in quelle occasioni che le sgridate e le
punizioni destinate a Shun ricadevano su Ikki, il quale
si frapponeva tra lui e gli adulti con una sfrontatezza
alla quale persino il corpulento Mylock faticava a tenere
testa.
Scene di questo genere si ripetevano quasi giornalmente.
Finché c'era stato Ikki vicino a Shun, nessuno era
riuscito a fargli veramente del male.
Ma ora quel terribile sogno e la consapevolezza che
presto sarebbe diventato realtà...
Aveva di nuovo voglia di piangere, ma non voleva
rischiare che gli altri ragazzi, e soprattutto Ikki, lo
sentissero.
Così sgattaiolò silenziosamente fuori dalla camerata,
attraversò i corridoi dell'enorme villa e uscì in
giardino.
Rabbrividì al contatto dei piedi nudi con l'erba
irrorata di rugiada.
Correndo si diresse verso il rifugio di sempre, l'albero
sul quale Ikki sfogava il suo carattere iroso prendendo a
pugni la corteccia.
Su di essa erano incisi i segni delle nocche del ragazzo,
a dimostrazione di quanto fosse sorprendente la forza di
quel bambino di nove anni.
Shun era l'opposto : piccolo e magro, sensibile fino agli
eccessi, non poteva neanche pensare di fare del male a
qualcuno... Sarebbe morto piuttosto.
Appariva così buono ed indifeso da suscitare istinti di
protezione non solo in suo fratello, ma anche in molti
altri ragazzi, compreso Seiya che era di qualche mese più
giovane di lui.
Allungò una mano verso l'impronta lasciata dal fratello
poi, aggrappandosi letteralmente al tronco, scoppiò in
singhiozzi incontrollati.
"Shun, va tutto bene ?"
Si voltò di scatto : Hyoga era davanti a lui, il volto
pieno di comprensiva complicità.
Con un gesto impulsivo e spontaneo Shun, sempre
piangendo, si gettò tra le sue braccia.
Hyoga lo accolse, un po' sconcertato :
"Su non fare così" Non sapeva che altro dire
per confortarlo.
Ma Shun non chiedeva niente ; quel contatto sembrava
bastargli.
Restarono abbracciati, in silenzio, finché piano piano,
i singhiozzi di Shun si fecero più pacati e poi
cessarono del tutto.
"Sc... scusami..." sussurrò, staccandosi dal
nuovo amico.
Hyoga sorrise, guardando quei grandi occhi verdi che
sembravano pieni di stelle, così inumiditi dal pianto e
illuminati dalla luna.
"E di cosa ? Finché possiamo darci un po' di
sostegno a vicenda, perché rinunciarci ?"
Shun annuì :
"Già... presto saremo completamente soli."
Mentre pronunciava queste parole, il corpicino di Shun fu
assalito dai brividi.
Hyoga non voleva che si mettesse di nuovo a piangere...
Desiderava trovare un argomento di conversazione per
cambiare discorso.
"Sai che non avrei mai pensato che tu e Ikki foste
fratelli ?"
Shun lo guardò un attimo, poi rispose :
"E' perché io assomiglio alla mamma e lui al papà...
nostra madre non era giapponese..."
"Sì... posso immaginare che le tue origini non
siano giapponesi" sorrise Hyoga, osservando quegli
occhi grandissimi e quei capelli tendenti al biondo
"Di dov'era tua madre ?"
Shun si rattristò maggiormente, e Hyoga temette di aver
mancato di delicatezza.
"Non lo so... ero piccolissimo quando è morta e non
me la ricordo assolutamente... Ikki ricorda solo che era
bellissima e mi dice sempre che le assomiglio... Noi due,
comunque, siamo nati in Giappone..."
Hyoga notò che il compagno aveva infilato una mano nel
colletto del pigiama e sembrava stringere qualcosa tra le
piccole dita.
"Che cos'hai lì ?"
Shun sorrise, e mostrò a Hyoga un ciondolo d'oro a forma
di stella con incise due parole :
YOURS FOREVER .
"E' l'unico ricordo che ho di mia madre... non me ne
separo mai."
Hyoga fu sopraffatto dalla tristezza... come si sentiva
vicino a Shun e a tutti gli altri ragazzini di quel posto
adesso...
Non aveva ancora realizzato pienamente la dura realtà :
era un orfano, come tutti loro... fino a poco tempo
prima, guardava con compassione i coetanei che si
trovavano nella situazione di Shun e adesso...
Si posò una mano sugli occhi... Cominciava a rendersene
conto... sua mamma non c'era proprio più... la sua vita
aveva subito una svolta radicale e ancora incomprensibile...
Gli eventi gli erano piovuti addosso senza dargli il
tempo di assimilarli.
Istintivamente, la sua mano infantile andò ad un oggetto
che teneva gelosamente al collo.
Lo estrasse e lo mostrò a Shun... Non si era confidato
con nessuno fino a quel momento, ma sentiva di poterlo
fare con lui...
Lo rassicurava e gli dava fiducia ; con quel piccolo
amico avrebbe parlato di tutto :
"Anche mia madre mi ha lasciato un suo ricordo...
guarda..."
Shun posò due occhi incuriositi e pieni di ammirazione
su una croce perlata, estremamente preziosa.
"E' la Croce del Nord" spiegò Hyoga "Quando
me l'ha data stavamo per metterci in viaggio, poco prima
che lei..."
Non resse più ; la sua voce si incrinò e scoppiò in un
pianto disperato...
L'aveva trattenuto troppo a lungo, ma ora non ce la
faceva più...
Non voleva lasciarsi andare davanti agli altri, ma con
Shun era diverso... Hyoga gli stava aprendo completamente
il proprio cuore, spontaneamente, e non si vergognava di
sfogare tutto il suo dolore davanti a lui...
Forse, perché Shun sembrava prendere su di sé la
sofferenza altrui, facendola sua... Non si limitava ad
ascoltare... Partecipava con tutto il suo essere, e il
suo grande cuore entrava in una specie di simbiosi con
quello dell'altra persona.
Almeno queste erano le sensazioni del piccolo russo,
mentre sfogava con l'amico tutto quello che aveva tenuto
nascosto dentro di sé fino ad allora.
Si lasciò andare completamente... Shun era l'unico che
l'aveva visto piangere in quei giorni.
Questa volta toccò al piccolo compagno abbracciarlo per
dargli conforto.
E lo fece con un trasporto e una spontaneità tali, che
Hyoga pensò che doveva essere nato per consolare gli
altri.
Infatti, quell'abbraccio riuscì a calamrlo.
Rimasero per un po' in silenzio, quindi Hyoga chiese :
"Ho notato che parecchi bambini, qui, non sembrano
giapponesi..."
"Infatti, non tutti lo sono ; forse Seiya è
completamente giapponese... Però, c'è una cosa strana
che mi ha incuriosito..."
"Cioè ?"
"I padri dei ragazzi che si trovano qui... sono
tutti giapponesi... sono le madri a non esserlo..."
Hyoga rimase perplesso :
"Sì... in effetti è una cosa strana..."
In quel momento si accorse che Shun lo stava osservando
con un sorriso divertito.
"Cosa c'è ?"
"Tu sembri ancora meno giapponese di me... a parte
gli occhi a mandorla... però, sono di un azzurro
incredibile !"
Hyoga ricambiò il sorriso :
"Mia madre era russa... ma... mi viene da ridere...
sembra quasi una barzelletta..."
"Che cosa ?"
"Anche mio padre è giapponese... Sarà una
coincidenza ? Cento bambini su cento, con madri di ogni
nazionalità ma tutti con il padre giapponese... mi
sembra strano che possa esserlo..."
"Ora capisco perché parli così bene il giapponese
pur non avendo mai vissuto qui... te l'ha insegnato tuo
padre !"
Hyoga negò con un cenno del capo :
"Me l'ha insegnato mia madre... Non ho mai
conosciuto mio padre... stavamo venendo qui apposta,
prima che lei morisse in quell'incidente navale..."
"Mi spiace... scusa... un'altra coincidenza... Qui
nessuno ha mai conosciuto il proprio padre ; prima di
rimanere orfani vivevamo solo con le nostre madri..."
Hyoga non credeva alle proprie orecchie... tutto sembrava
determinato, studiato e preparato nei minimi dettagli.
Quello che aveva sentito lo sconcertava.
Sembrava quasi che i proprietari di quel posto, chiunque
fossero, dopo la morte di sua madre, avessero colto al
volo l'occasione per portarlo lì.
I suoi occhi azzurri si indurirono, come avevano già
fatto parecchie volte negli ultimi giorni, sempre più
spesso... ora sembravano aver raccolto tutto il gelo dei
ghiacci eterni da cui il bambino proveniva.
A Shun chiaramente non piacque quella trasformazione e lo
fissò con timore quasi reverenziale, come se non
riconoscesse più l'amico e il confidente di pochi
istanti prima.
"Dai, non ti arrabbiare..."sussurrò con voce
leggermente tremante.
Hyoga lo guardò e, come al solito, quegli occhioni dolci
fissi su di lui lo aiutarono a rilassarli.
Sorrise al compagno : quel piccoletto aveva la capacità
di rasserenarlo.
"Scusa Shun... ma è difficile non arrabbiarsi nella
nostra situazione..."
Un attimo dopo puntò su di lui uno sguardo incuriosito :
"Tu però ci riesci... ti arrabbi mai per qualcosa
Shun ?"
Il compagno rimase perplesso, come se non avesse capito
la domanda.
Probabilmente non se l'è mai neanche chiesto, pensò
Hyoga.
Invece Shun rispose :
"Penso... penso di sì... mi arrabbio spesso...
quando gli altri mi prendono in giro... soprattutto con
gli adulti di questo posto che spesso sono così cattivi...
mi arrabbio con chi è crudele, perché non lo capisco..."
"Ma come fai a non dimostrarlo mai ? A tenere la
rabbia sempre nascosta dentro di te ?"
"Perché altrimenti non si finirebbe più... la
rabbia porta solo altra rabbia... sarebbe così triste
!"
"Allora, secondo te è più facile e più giusto
fare finta di niente ?"
"Per me forse è più facile, ma non so se è più
giusto... Ikki dice che bisogna vivere lottando."
"Sai una cosa Shun ? In un certo senso lo credo
anch'io... altrimenti i più deboli, quelli che non si
difendono, saranno sempre sottomessi e la cattiveria
vincerebbe... In realtà non l'ho mai creduto tanto come
in questo periodo."
Shun sospirò :
"Ma perché bisogna per forza arrabbiarsi per
lottare ed essere coraggiosi ? Perché si deve a tutti i
costi odiare qualcuno ? Ikki mi fa paura a volte...
sembra che si senta obbligato a combattere con il mondo
intero."
Hyoga non sapeva cosa pensare : da quando aveva scoperto
il dolore della vita era combattuto tra il rancore che
provava per tutto e tutti e il desiderio di non perdere
gli ideali positivi che la madre gli aveva insegnato.
Shun non era stato condizionato da niente nel suo
carattere : Ikki era profondamente diverso e gli adulti
non erano certo stati i suoi modelli fino ad ora.
Hyoga si trovò a pensare che nessuna influenza esterna
sarebbe mai riuscita a modificare ciò che in Shun era
innato : una grande sensibilità, speranza e fiducia nel
mondo.
Sospirò ; chi aveva ragione, Ikki o Shun ?
Certo, i sentimenti più nobili erano quelli di Shun e
c'era molta differenza tra la bontà di quel bambino e la
vigliaccheria della quale, se ne era già accorto, veniva
accusato da parecchi compagni.
Shun aveva una forza particolare e Hyoga sentiva di
capirla fino in fondo, pur non sapendo come spiegarla a
parole...
No... Shun non sarebbe diventato un debole... l'amore, la
sensibilità, la bontà, sarebbero stati la sua forza e
Hyoga si augurò che Shun potesse diventare più
determinato senza modificare quel suo animo così raro.
Ha ragione, pensò... Odiare è brutto e forse è la
soluzione più facile... Shun sembra così piccolo, ma in
realtà è molto maturo, in un modo che neanche la
maggior parte degli adulti riesce ad essere.
"Tu e tuo fratello siete proprio forti sai ? Siete
diversi eppure tutti e due in gamba a modo vostro..."
Shun rivolse lo sguardo a terra, socchiudendo gli occhi
fattisi terribilmente malinconici.
Perché improvvisamente sembra ancora più triste ? Si
chiese Hyoga.
Furono le parole di Shun a rispondergli :
"Mi sento così in colpa... sono un peso per lui fin
da quando sono nato... sarebbe stato meglio se non avesse
avuto un fratello inutile a cui badare."
"Non dovresti parlare così... è vero che dipendi
da lui, forse troppo e che cerchi sempre la sua
protezione, ma per il resto... io credo che anche lui
dipenda da te..."
"Cosa vuoi dire ?" esclamò Shun, puntando su
di lui due occhi curiosi e increduli.
"Non vedi come ti adora ? Almeno quanto tu adori lui...
sei la sua ragione di vita, si sarebbe perso se non ci
fossi stato tu... gli hai dato la forza per non
arrendersi, un motivo per andare avanti nonostante le
difficoltà... e non solo perché sei il fratello più
piccolo da proteggere..."
No, non era solo per quello ; gli era bastato passare
poco tempo insieme ai due fratelli per capire molte cose
del loro rapporto...
Era stata la presenza di Shun a sostenere il fratello, il
suo sorriso luminoso e pieno di fiducia, il suo carattere
così particolare che aveva temprato la durezza di Ikki,
ammorbidendo il suo cuore.
"No... Ikki non sarebbe stato così forte senza di
te" proseguì "sei la persona più dolce che io
abbia mai conosciuto, pensi sempre agli altri prima che a
te stesso... Tu e Ikki siete maturi e adulti... tutti e
due..."
Shun arrossì, colpito da tutti quei complimenti :
"Anche tu sembri più adulto di quello che sei....
parli come una persona grande."
Hyoga rimase un bel po' sovrappensiero... in effetti non
aveva ancora pensato a quanto si sentiva diverso da
quando la tragedia l'aveva segnato :
"Credo di essere cresciuto più negli ultimi giorni
che in tutti i miei otto anni."
Shun annuì ; comprendeva benissimo il significato di
quelle parole.
Restarono seduti sotto l'albero in silenzio per qualche
minuto, poi Hyoga osservò :
"Scommetto che sei il più giovane qui all'istituto."
Shun sorrise, un sorriso che sembrò portare il sole
nella notte buia e rispose :
"Sbagliato... Seiya e Asher sono più piccoli di me...
be'... per poco... hanno la mia stessa età."
Hyoga sorrise a sua volta, perplesso :
"Non ho ancora conosciuto Asher, ma avrei giurato
che Seiya fosse più grande di te... senza offesa eh ?"
Finalmente Shun si lasciò andare ad una risatina :
"Non mi offendi... tu mi vedi solo piccolo... per lo
meno non mi hai ancora chiamato piagnone o femminuccia,
come fanno quasi tutti..."
"Non vedo perché dovrei prenderti in giro... te
l'ho detto, a me sembri in gamba e poi... sei stato uno
dei primi qui a darmi un aiuto, a farmi sentire un po'
meglio... io ho la sensazione di avere conosciuto già i
migliori tra tutti i miei nuovi compagni."
"Mio fratello e gli altri due sono proprio forti...
Seiya ci tiene sempre allegri, è un clown... è anche
molto coraggioso e indipendente per essere tanto piccolo...
con i suoi modi sbruffoni riesce a tenere testa anche a
Mylock e a Saori."
Hyoga ridacchiò :
"Già, lo supponevo... sembra proprio un bel tipo...
Be', grazie per questa chiacchierata e per le confidenze,
ma ora è meglio tornare in istituto : non vorrei che
qualcuno si accorgesse che non siamo a letto... ne ho
prese abbastanza per oggi."
Hyoga
non aveva rinunciato a scappare da quel posto.
Il giorno dopo non riuscì a raccogliere alcuna
informazione in più.
Al mattino si era svegliato prima delle cinque insieme a
tutti gli altri...
Era quella l'usanza.
Prima della colazione i bambini erano già al lavoro, con
i primi esercizi in giardino, quando ancora c'era buio e
l'aria fresca pizzicava la pelle...
Hyoga dovette ammettere a se stesso che non era una cosa
spiacevole dopo che i postumi del sonno erano svaniti...
Erano più che altro esercizi di respirazione e, in un
certo senso, meditazione.
Nel cibo, i padroni di quel posto, chiunque fossero, non
erano avari : la colazione non era pesante ma nutriente,
sicuramente adatta e sana per bambini di quell'età.
Subito dopo, come tutti i ragazzi normali, frequentavano
lezioni scolastiche per il resto della mattinata, con una
pausa di un quarto d'ora nella quale respiravano un po'
di libertà... sempre sotto la stretta sorveglianza di
Mylock e dei suoi assistenti.
Il pranzo era buono ed abbondante ma piuttosto leggero.
Il tempo di digerire ed arrivavano quelle che forse,
erano le ore più dure... esercizi e sport di ogni genere
fino a sera con pochissime pause.
Non sarebbe stata una cosa terribile tutto quel movimento
se non fosse stato così estenuante e oppressivo.
Hyoga dimostrò subito di eccellere in quasi tutte le
discipline, soprattutto nel nuoto...
Notò subito la grande abilità di Ikki, Seiya e Shiryu
e, alla faccia di chi lo prendeva in giro, anche di Shun.
Il piccolo era veloce come uno scoiattolo e aggraziato
come una gazzella...
Hyoga, insieme ai suoi quattro nuovi amici, era sempre
tra i primi, nella corsa, nel nuoto, negli esercizi
ginnici.
Fu scelto insieme a Shun e ad altri due ragazzini per una
gara di velocità.
Arrivò primo, seguito immediatamente dal piccolo amico.
Quando tagliarono il traguardo, i due bambini si
guardarono... Non c'era ombra di invidia né di rivalità
nel tenero sguardo di Shun.
Si sorrisero ed entrambi, quasi leggendosi nel pensiero,
sollevarono le mani e batterono amichevolmente i palmi
uno contro l'altro.
Hyoga si chiese perché Shun fosse guardato con tanta
ilarità da parecchi compagni e fosse trattato con tanta
sufficienza.
Era solo per il suo aspetto delicato, che lo faceva
sembrare quasi una bambina, o per la sua timidezza ?
Però, nonostante questa timidezza, non era un musone :
era aperto ed amichevole, spontaneo come pochi riuscivano
ad essere.
Era unicamente di una grande umiltà, ma Hyoga lo
riteneva uno dei più simpatici tra tutti i compagni,
forse quello a cui già si sentiva più affezionato.
Proprio non riusciva a capire cosa gli altri ci
trovassero di ridicolo in Shun.
In parte, una risposta la ebbe assistendo ad un episodio.
Hyoga ed altri tre ragazzi erano in costume, pronti a
tuffarsi in piscina.
Il padiglione era immenso e c'era spazio per parecchie
discipline.
Il piccolo russo poteva vedere, poco distante, Seiya che
si dedicava alle flessioni, Shiryu che si esibiva in
spettacolari stiramenti e posizioni yoga degne di un
contorsionista e Ikki che prendeva a pugni un sacco da
pugilato appeso ad un gancio.
Dietro di lui, su un ring, Shun stava per intraprendere
una lotta contro Nachi.
Questi era un piccolo orientale con corti capelli neri,
alto e smilzo, dall'aspetto abbastanza simpatico.
Chiaramente era più grande di Shun.
Hyoga notò subito che il piccolo amico sembrava un altro
; si era messo sulla difensiva e rimaneva rigido e
immobile, con il respiro affrettato e gli occhi
spalancati più grandi che mai....
Erano due occhi spaventati e tristi.
Nachi attaccò per primo, afferrando le braccia di Shun e
spingendolo...
Shun cercò di fare altrettanto, posando le mani sulle
spalle di Nachi e spingendo a sua volta, ma con una
goffaggine e un'incertezza che stupirono Hyoga.
Un attimo dopo Nachi l'aveva scaraventato a terra e Shun
rimase seduto, singhiozzando disperatamente.
"No" disse Hyoga tra sé "non devi
piangere."
Nachi lo osservava perplesso, quasi imbarazzato... Non
era un ragazzo cattivo e non amava infierire
evidentemente.
"Ma quante storie" si limitò a dire.
"Che bisogno avevi di farmi male sul serio ?"
disse Shun tra i singhiozzi.
"Non mi sembra il caso di mettersi a piangere come
una femminuccia" ribattè Nachi.
Intanto, sentendo piangere il fratello, Ikki aveva
interrotto i suoi esercizi :
"Shun ! ! Smettila di frignare ! ! Comportati da
uomo ! !"
Un attimo dopo si trovava sul ring accanto al piccolo :
"Non diventerai mai forte se alla minima difficoltà
scoppi in lacrime."
Come se il diventare forte fosse l'ultimo dei suoi
pensieri, Shun sollevò i grandi occhi azzurro-verdi,
cercando lo sguardo rassicurante del fratello e sussurrò
senza smettere di piangere :
"Aiutami... niisan"
Ikki sospirò e, con un gesto che gli era abituale,
allungò una mano per asciugargli il viso inondato di
lacrime.
Fu in quel momento che Nachi si cacciò nei guai ; Ikki
l'avrebbe lasciato stare se avesse tenuto la bocca chiusa
ma il ragazzino, del tutto candidamente, si rivolse a
Ikki :
"Ma... Shun è davvero tuo fratello ?"
Ikki si voltò di scatto, gli occhi roventi di rabbia...
evidentemente frasi del genere lo ferivano.
Nachi si rese conto di ciò che gli stava per accadere,
ma era troppo tardi per impedirlo... quando la furia si
impossessava degli occhi di Ikki, nessuna richiesta di
scusa l'avrebbe fermato.
Afferrò la maglietta del compagno e lo sollevò con una
forza straordinaria ; un attimo dopo, Nachi si trovò
scaraventato a terra.
Ikki torreggiava su di lui :
"Ritira immediatamente quello che hai detto !
!"
"Non ti arrabbiare" balbettò Nachi "Non
volevo offendervi... l'ho detto solo perché sembrate così
diversi !"
Ikki non infierì, ma non si era calmato del tutto ; il
suo sguardo, tuttavia, non era più così furioso...
c'era una certa tristezza in esso :
"Shun non è un vigliacco... è solo troppo
sensibile... sono due cose diverse..."
A Hyoga parve di percepire un tremito nella sua voce...
Credeva di intuire cosa passava per la testa di Ikki : la
sensibilità di cui parlava era nello stesso tempo la più
grande forza e la maggiore debolezza di Shun... Ikki non
voleva che la perdesse ma ugualmente, temeva che a causa
di essa Shun sarebbe stato abbattuto e sconfitto dalla
vita di sofferenze che lo attendeva.
Prima di
andare a letto, Hyoga e Shun si trovarono da soli in
bagno...
Shun era di nuovo malinconico e Hyoga immaginò che il
motivo potesse essere l'episodio di quel pomeriggio.
Glielo chiese, desideroso di essergli di conforto, come
Shun lo era stato con lui fin dal primo momento in cui si
erano incontrati.
Shun sollevò le spalle e rispose con voce leggermente
tremante :
"Ci sono abituato sai ? Succede così quasi tutti i
giorni... mi dispiace però che mio fratello se la prenda
con gli altri ragazzi per qualcosa che è solo colpa mia...
Non volevo che si arrabbiasse con Nachi."
"Be', in realtà non l'avrebbe fatto se Nachi avesse
tenuto la bocca chiusa... però la sua osservazione era
stata un po' troppo offensiva."
"Non l'aveva fatto apposta... aveva ragione... Io e
mio fratello non ci assomigliamo.... Ikki dovrebbe
vergognarsi di me..."
"Non è vero, però devi ammettere anche tu che il
modo in cui sei scoppiato a piangere era un po' esagerato."
Shun non rispose ; tenne lo sguardo a terra ed emise un
sospiro che si trasformò quasi in un singhiozzo.
Hyoga continuò :
"Ma perché hai reagito così ? E' solo negli
esercizi di lotta che non riesci a cavartela.... Sembravi
un altro..."
"Perché non mi piace ! !" esclamò Shun con
una foga improvvisa "perché devo impegnarmi per
cercare di fare male agli altri ? E perché gli altri
accettano di farlo ? Nachi è stato davvero duro quando
mi ha gettato a terra... non è stato attento.. io non
capisco perché... Non abbiamo niente l'uno contro
l'altro e allora che bisogno c'era di farci del male solo
perché ce l'hanno ordinato ? ! ! !"
Hyoga lo fissò perplesso... Non si era mai chiesto una
cosa del genere ma ancora una volta, Shun gli aveva
aperto gli occhi e la mente...
Hyoga
non osava addormentarsi...
Aveva studiato un piano per andarsene e nessuno glielo
avrebbe impedito.
L'unica cosa che gli dispiaceva era che probabilmente, se
fosse fuggito non avrebbe mai più rivisto Shun al quale
sentiva di essere già affezionatissimo...
Ma doveva trovare suo padre, Alman di Thule...
Per quello era partito dalla Siberia, per quello la mamma
era morta... Non che Hyoga sentisse di amare quel padre
che non aveva mai conosciuto, ma credeva di doverlo alla
memoria della mamma.
Era così eccitato e ansioso che riuscì benissimo a
stare sveglio ; nonostante la giornata fosse stata
estenuante e lui si sentisse decisamente stanco, non gli
venne sonno.
Molto prima che suonasse la sveglia per tutti, si alzò.
Aveva pensato per tutta la giornata a un piano di fuga e
gli mancava solo di metterlo in pratica.
Aveva visto dove erano tenuti i cesti della biancheria
che quella mattina dovevano essere trasportati in
lavanderia, al di fuori di quel cancello sbarrato...
Si nascose in uno di essi e attese.
Dopo un po' di tempo, rannicchiato nel suo nascondiglio,
cominciò a sentire i rumori e gli schiamazzi tipici
della prima mattinata.
Tra un po' qualcuno sarebbe venuto a prelevare quei cesti
per caricarli su un camion e trasportarli fuori dalla
villa.
Purtroppo la fortuna non era dalla parte del ragazzino ;
il coperchio del cestino si sollevò e apparve il
faccione di Mylock.
Hyoga gemette per la disperazione, mentre il gigante lo
osservava esterrefatto.
Senza pronunciare parola, il brusco sorvegliante lo
afferrò violentemente per un braccio e, come il primo
giorno, sparì con lui all'interno della villa.
Poco dopo cominciò a borbottare :
"Fortunatamente mi sono ricordato di dover
aggiungere qualcosa nella cesta ; guarda caso, proprio
oggi il padrone è qui alla villa : sarà lui
personalmente a punirti."
E così, pensò Hyoga, stava per conoscere il
responsabile di tutto, l'uomo che aveva voluto lì tutti
quei bambini...
Nessuno gliene aveva ancora rivelato il nome, anche perché
lui non l'aveva chiesto... non gli interessava poi molto
in realtà.
Ma adesso si chiedeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi da
quella persona misteriosa e fu colto dai brividi.
Salite alcune scale, continuando a stringere saldamente
il braccio di Hyoga, Mylock bussò a un'enorme porta
intarsiata.
Una voce dura e penetrante rispose dall'interno :
"Chi è ?"
"Sono Mylock signore ; le ho portato un ragazzino
che cercava di fuggire."
"Entra !"
Mylock aprì la porta quel tanto che bastava per poter
entrare, spingendo malamente avanti Hyoga che quasi perse
l'equilibrio.
Su un'elegante poltrona stava seduto un giapponese
abbastanza anziano, con un viso duro incorniciato da una
curata barba nera.
Sulle sue ginocchia se ne stava appollaiata Saori,
avvolta in un abitino azzurro eccessivamente caramelloso,
pensò Hyoga disgustato.
La bambina lo squadrò con prepotenza e sbottò :
"Per colpa tua io e mio nonno siamo stati disturbati
! Non c'è mai e possiamo stare insieme così poco
!"
Il nonno la guardò con condiscendenza :
"Da brava piccola ; lasciami parlare con questo
sgorbietto e poi ti richiamerò."
Saori, imbronciata, scivolò lentamente dalle ginocchia
dell'uomo e, senza guardare nessuno, si diresse verso la
porta e scomparve.
Quindi, l'anziano signore si rivolse a Mylock :
"Lasciaci soli anche tu."
Mylock si inchinò ed uscì chiudendosi la porta alle
spalle.
Hyoga e il vecchio si fissarono reciprocamente per lunghi
secondi, poi l'uomo esordì :
"Tu sei Hyoga, quello che viene dalla Siberia ?"
"Sissignore !" rispose fieramente il bambino,
cercando di nascondere il tremito nella sua voce.
"Io mi chiamo Alman di Thule... sei abbastanza
grande per avere già sentito parlare di me immagino."
Hyoga emise un'esclamazione acuta, quindi balbettò :
"Pa... papà..."
"Non balbettare, non mi piacciono i deboli !"
Hyoga non aveva mai udito un tono di voce così glaciale.
Alman di Thule... suo padre si chiamava così... era
stata la mamma a dirglielo.
Era talmente sconvolto da non sentire quasi ciò che
l'uomo gli stava dicendo :
"Meriti una punizione per ciò che hai fatto :
resterai chiuso nei sotterranei per tre giorni, senza
mangiare e con l'acqua razionata."
Il piccolo non avrebbe mai immaginato che un padre
potesse accogliere così il figlio che non aveva mai
conosciuto ; sembrava che per lui fosse la cosa più
naturale del mondo.
L'uomo sembrò accorgersi del suo sguardo sconvolto :
"Che c'è ? Non posso fare favoritismi verso uno dei
miei figli... ne ho troppi e voglio che rispettino le
regole !"
Troppi ? Ma dov'erano questi figli ?
Sembrava stravedere per quella nipotina ma...
Poi un'intuizione, una terribile consapevolezza si fece
largo in lui : tutti i bambini ospiti della villa avevano
madre straniera e padre giapponese.
Gli era sembrata una coincidenza bizzarra, ma se si fosse
trattato di un padre comune ?
Quel padre, il padrone della villa, colui che li aveva
raccolti perché diventassero guerrieri... Alman di Thule.
Ma perché ?
Per quale motivo avrebbe dovuto far nascere cento bambini
e forse più, tenendo conto di possibili sorelle, tutti
più o meno nello stesso periodo e in varie parti del
mondo ?
E cosa c'entrava Saori, sua nipote ?
Perché quel trattamento privilegiato verso
quell'antipatica bambina ?
E che dire del fatto che tutti i bambini avevano perso la
madre ?
Saori,
appollaiata sui gradini che conducevano al portone della
villa, era pensierosa.
Quando Mylock era entrato con il bambino biondo, lei e
suo nonno stavano parlando di un sogno che la ragazzina
faceva sempre più frequentemente quasi tutte le notti :
lei non era più Saori in quel sogno, ma una ragazza con
uno scettro bellissimo in mano e una lunghissima tunica
bianca, ed era circondata da giovanotti in armatura.
Suo nonno le aveva prestato molta attenzione, quindi
aveva detto :
"Ascolta attentamente i tuoi sogni ; forse, col
tempo, capirai da sola e se così non sarà, quando avrai
l'età giusta, cercherò di chiarirti qualcosa".
Non aveva compreso affatto il senso di quelle parole.
Poi era giunto Mylock con il biondino e non avevano
potuto approfondire.
"Come detesto Hyoga e tutti gli altri bambini !
!"
Non si era accorta di avere urlato.
Un ragazzino che passava in quel momento si fermò a
fissarla : dai lunghi capelli neri e dal viso magro ed
elegante riconobbe Shiryu.
Il ragazzino le si avvicinò, con una serietà quasi
adulta dipinta sul volto :
"Perché hai nominato Hyoga ? Dov'è ? Gli è
successo qualcosa ?"
La voce di quel bambino, dolce ma così matura per la sua
età, riusciva a metterla in soggezione e ciò la fece
infuriare ancora di più ; era abituata a sottomettere,
non a farsi sottomettere.
"Non ti riguarda !" rispose con alterigia ed
ergendosi in tutta la sua altezza... non troppa a dire la
verità... arrivava a malapena alle spalle di Shiryu.
"Lasciala perdere ; da lei non otterrai nulla
!"
Seiya, che appariva sempre in coppia con Shiryu, pronunciò
quella frase con malcelato disprezzo.
"Come osi ?" sbottò Saori indignata.
Non sopportava quel ragazzino, le era più antipatico di
tutti : le rispondeva sempre male, non esaudiva i suoi
desideri né la rispettava.
Quella sua aria sostenuta e sbruffona la irritava
profondamente ; chissà chi si credeva di essere ?
Un sorrisetto terribilmente crudele per una bimba di
sette anni, si dipinse sul suo volto e, alzandosi sulla
punta dei piedi, puntò il naso contro quello di Seiya :
"Il vostro amico se la sta vedendo brutta ; ha
cercato di scappare e mio nonno sa essere molto severo
!"
Seiya e Shiryu si guardarono : Seiya fremeva di rabbia e,
quasi sicuramente, sarebbe saltato addosso a Saori se il
compagno, più riflessivo e maturo, non l'avesse
trattenuto.
Era
passato un giorno dal tentativo di fuga di Hyoga.
Shun era preoccupato : il compagno sembrava scomparso nel
nulla.
Chissà quale punizione poteva avergli inflitto Alman di
Thule ?
Aveva visto poche volte quell'uomo, solo di sfuggita : lo
terrorizzava ancor più di Mylock e tremava come una
foglia ogni volta che lo vedeva ; cercava di farsi
piccolo piccolo e di scomparire dietro al fratello.
Ora Hyoga era stato punito da lui in persona.
La mente infantile e fantasiosa di Shun cominciò a
lavorare freneticamente, immaginando cose terribili che
potevano essere capitate all'amico.
Forse non l'avrebbe mai più rivisto, forse... l'avevano
ridotto in un tale stato da costringerli a mandarlo
all'ospedale o, forse... l'avevano addirittura ucciso.
Era di nuovo rifugiato sotto il suo adorato albero...
Considerava quella pianta quasi un sostituto del fratello.
Aveva una tal voglia di correre da lui per cercare
conforto.
Perché aveva quella brutta sensazione, che Ikki cercasse
sempre più spesso di stargli lontano ?
Era come se volesse evitarlo.
Lo odiava per la sua debolezza? Si vergognava di lui?
L'idea che Ikki potesse non amarlo più lo riempiva di
sgomento.
"Hey femminuccia, tanto per cambiare piangi un po' ?
Shun sussultò e si alzò velocemente quando si trovò
davanti tre compagni...
Li conosceva bene... Erano Ban, Geki e Asher che, più di
ogni altro, non perdevano occasione per tormentarlo.
"No.. non sto piangendo..." mormorò,
sollevando un braccio per asciugarsi gli occhi.
"Da quando in qua sei diventato bugiardo ?"
ghignò Asher.
Geki, un ragazzone grosso e dal viso tondo come una luna
piena, allungò una mano e afferrò il polso di Shun,
tirandolo verso di sé.
"Mi fai male" piagnucolò Shun, cercando di
divincolarsi.
Senza badargli l'altro lo gettò a terra e gli piegò il
braccio dietro la schiena, incurante delle urla di dolore
del piccolo.
"Ehy... non esagerare" intervenne Ban "Sei
il triplo di lui... rischi di romperglielo quel braccio
!"
Senza allentare la presa, Geki ribattè :
"Quando saremo sotto addestramento rischieremo ben
altro... Mylock non fa che ripeterci quanto sarà
pericoloso... Questa femminuccia non resisterà un giorno
!
"Smettila Geki e pensa piuttosto a quanto resisterai
tu !"
Shiryu li osservava con il suo sguardo maturo e
tranquillo.
Dietro di lui Seiya aveva già sollevato i pugni, pronto
ad assalire i tre piccoli bulli.
Shiryu lo trattenne :
"Sono sicuro che non sarà necessario perché adesso
questi tre lasceranno in pace Shun e spariranno dalla
circolazione.... Non è vero Geki ?"
Come al solito, il tono di voce di Shiryu ebbe l'effetto
desiderato.
Tutti i ragazzi nutrivano rispetto per lui, anche quelli
più grandi... un rispetto dovuto più a sincera
ammirazione che a paura.
Geki lasciò il braccio di Shun, che si sollevò a sedere
reggendosi il gomito dolorante.
Il suo sguardo riconoscente era puntato sui due amici.
Geki e i compagni si allontanarono avviliti.
Shiryu e Seiya si sedettero accanto a Shun.
"Ti fa molto male ?" domandò Shiryu con la sua
solita dolcezza.
Shun scosse la testa, facendo ondeggiare intorno a sé i
lunghi ciuffi castani.
Aveva deciso che avrebbe cercato di essere forte d'ora in
avanti.
Gli faceva male, ma non si sarebbe lamentato.
Seiya sembrò accorgersi di questa improvvisa
determinazione :
"Lo so che ti fa male invece... ma mi fa piacere
vedere che non piangi."
Shun riuscì anche a sorridere : gli costava una grande
forza di volontà trattenere le lacrime, ma questa fu una
delle prime volte in cui dimostrò di possederla questa
volontà e di saperla usare benissimo.
In quel momento, ai due amici sembrò più grande : il
suo sguardo esprimeva dignità, orgoglio quasi e Seiya e
Shiryu ne rimasero stupiti.
Ci fu qualche attimo di silenzio prima che Seiya
riprendesse la parola :
"Vieni con noi Shun ? Vorremmo andare a cercare
Hyoga... probabilmente l'hanno rinchiuso nelle cantine
come il primo giorno."
Shun scattò in piedi, ansioso di mettere in pratica
quell'idea.
"Dov'è Ikki ?" gli chiese Shiryu "Credo
che gli farebbe piacere venire con noi".
Il visetto di Shun si rattristò :
"Non lo so dov'è ; ho paura di averlo fatto
arrabbiare."
"Tu ?" commentò Seiya con una risatina "Non
riesci a fare arrabbiare nessuno, tantomeno tuo fratello
!"
"Però, sembra che Ikki non voglia più stare con me"
.
"Sono qui ragazzi !"
Ikki comparve improvvisamente dal nulla.
"Non voglio più sentirti dire simili sciocchezze
Shun !"
Il fratellino lo guardava con un'adorazione tale, che
Seiya e Shiryu non poterono fare a meno di scoppiare a
ridere.
"Non ero molto distante" aggiunse Ikki "Sarei
potuto intervenire io in aiuto di mio fratello ma non ho
voluto. Anche voi due avreste dovuto lasciare che si
arrangiasse."
Seiya e Shiryu si scambiarono uno sguardo stupito, mentre
Shun comprese improvvisamente il significato del
comportamento di Ikki.
Sollevò il volto, finalmente illuminato dal suo bel
sorriso, verso quello del fratello.
Due sguardi non potevano essere più diversi e, nello
stesso tempo, più complementari... come il giorno e la
notte.
Come spesso accadeva, la durezza sul viso di Ikki si
sciolse quando quelle due paia di occhi si incontrarono.
Si avvicinò a Shun e prese delicatamente tra le mani il
braccio dolorante del piccolo.
A quel tocco Shun fece una smorfia, ma nuovamente
resistette ed emise un lamento quasi impercettibile.
Ikki glielo massaggiò dolcemente :
"Non è niente di grave, fratellino... sai, sei
stato molto forte prima... mi sei sembrato più grande
del solito e quei tre si sono comportati da vigliacchi."
Shun, che era riuscito a non piangere nel momento più
difficile, non riuscì invece a trattenere le lacrime di
commozione per le parole di Ikki.
Questi sbuffò, assumendo un tono ironico :
"Mi sembrava troppo bello non vederti piangere per
un giorno intero !"
Tutti, compreso Shun, scoppiarono a ridere.
Shiryu notò che Ikki teneva tra le mani un piccolo
sacchetto di plastica :
"Cosa c'è lì dentro ?"
"Ah questo ? Be', immaginavo che avreste voluto
andare a cercare Hyoga e, dato che probabilmente l'hanno
lasciato a digiuno, ho pensato di rubare qualcosa da bere
e da mangiare nelle cucine".
Seiya spalancò gli occhi, pieno di ammirazione :
"Hai corso un bel rischio sai ?"
"Be'... sono abituato a prenderle, non mi
spaventerebbe più di tanto l'idea".
"Ti capisco" rise Seiya "Anch'io ci sono
abituato !"
"Dai muoviamoci" li incitò Shiryu "Tra un
po' sarà ora di cena e se non ci faremo trovare a tavola
con gli altri le prenderemo tutti e quattro !"
Quando
Hyoga udì i passi infantili avvicinarsi alla porta,
comprese immediatamente di chi doveva trattarsi.
Infatti, dopo pochi istanti, la porta si aprì e Hyoga
credette di rivivere da capo ciò che era successo il
giorno del suo arrivo.
Seppure molto debole e depresso, il piccolo siberiano
sorrise :
"Sapevo che sareste venuti" mormorò.
Erano quasi due giorni che non mangiava e beveva
pochissimo, ed era privo di forze.
E' facile quindi immaginare il sollievo e la riconoscenza
che provò quando Ikki gli presentò il bottino da lui
trafugato in cucina.
Rimasero con lui per qualche minuto, poi fu lo stesso
Hyoga a metterli in guardia :
"Dovete andare ; tra poco chiameranno per la cena".
I quattro amici lo salutarono e, chiusa la porta alle
loro spalle, si ricordarono di sprangarla nuovamente
perché nessuno potesse nutrire sospetti.
Shun si voltò indietro parecchie volte :
"Poverino... tutta la notte da solo in quel posto
terribile... e ha perso la mamma da così poco tempo..."
"Non essere triste fratellino" lo rincuorò
Ikki "Hyoga non è un fifone, l'ho capito subito e
noi l'abbiamo tirato su di morale..."
Intanto,
Hyoga rifletteva : dalla chiacchierata che avevano fatto,
si era reso conto che nessuno di loro era a conoscenza
della verità su Alman di Thule.
Probabilmente erano rimasti orfani troppo piccoli per
sapere quale fosse il nome del padre...
Sua madre aveva avuto il tempo di nominarglielo prima di
lasciarlo solo.
Avrebbe dovuto parlarne agli altri ?
Decise che era meglio non farlo...
Erano suoi amici e temeva di angosciarli troppo.... i
ragazzini ospiti della villa non amavano Alman, lo
ritenevano un aguzzino... avrebbero preso malissimo
quella sconvolgente realtà e poi non era sicuro al cento
per cento che fosse proprio vero.
Sospirò... anche per lui sarebbe stato meglio
dimenticare tutto...
Presto avrebbero mandato lui e i compagni lontano da quel
posto e un giorno, forse, tutto sarebbe venuto a galla...
Non aveva perso la speranza di capirci qualcosa in quella
bizzarra situazione.
CONTINUA...
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