Per Coloro Che Verranno

Capitolo undicesimo
RIUNIONE DI GUERRIERI


Saori osserva altera i suoi saints, accorsi al richiamo senza limiti del cosmo divino.
Tutti sono giunti, per lei, per la loro signora immortale.
Al centro dell’Agorà fissa lo sguardo sui giovani, diffidente senza capirne il motivo.
Un meteorite di medie dimensioni è precipitato al centro del Santuario. Senza colpire alcun essere umano. Senza rumore.
Eppure la dea ha sentito in esso presagio di sventura per lei e ha chiamato a raccolta i suoi guerrieri perché per l’ennesima volta la difendano da un nemico a cui ancora non è riuscita a dare un nome.

I saints sono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Milo, Aldebaran e Aiolia sono immobili a pochi passi da Saori, assolutamente riverenti. Assolutamente inumani nella loro cieca devozione.
Dauko affianca la fanciulla come custode e guida dei Saints. Ha lo sguardo basso, come volesse evitare di incrociare quello del suo allievo.
Shiryu ha i pugni stretti e i pensieri rivolti a Shunrei che, sola, aspetterà soffrendo in silenzio il suo ritorno dall’ennesima battaglia. Si sofferma sull’immagine del ventre pieno di lei. Il ventre che partorirà presto il figlio. Forse troppo presto perché lui possa vederlo. O troppo tardi perché lui possa tornare. Vivo.
Marin è seduta su un troncone di colonna, il capo reclinato di lato. Non ha pensieri la saint. Non ha motivo per combattere. E non ne ha uno per non farlo.
Shaka, dagli occhi chiusi, dall’imperturbabile animo, è tra Seiya, esaltato al pensiero della battaglia, e l’inquieta Shaina, che non ha spazio nell’animo per pensare allo scontro. Perché la lotta più difficile è con se stessa. Con il suo essere donna.
Mu freme insofferente, l’elmo trema tra le sue dita nervose. Ma è dolore quello che sente nel cuore.
Ikki non ha badato alle convenzioni sciocche del Santuario: aspetta le parole di quella dea in cui forse non crede stringendo la mano di Climene che, silenziosa, osserva attenta, per la prima volta, il viso di chi la costrinse ad una vita disgraziata per il Sacro Fuoco.
Più discosti, quasi invisibili oltre la schiera che li precede, stanno, mesti, Hyoga, Shun e Ilaira.
Hyoga ha accettato che Ilaira partecipasse alla lotta, vestendo il cloth che le appartiene, nonostante il timore che abbia per la vita di lei.
Shun pare solamente lo spettro di se stesso. Accetta la lotta solo perché forse vi vedrà la morte. La sola cosa che abbia senso per lui, ora.
Incomprensibilmente, Mu ha ordinato a Ikki, Shiryu, Shunrei e Climene di non rivelargli la sopravvivenza di Febe.

Nel remoto luogo del Tempio della Preservazione, Febe è seduta accanto al fuoco sacro, muta. La maschera giace a terra e i capelli, liberi, le ricadono morbidi sulle spalle candide.
Il suo volto dolce non ha espressione, come si accontenti di averlo sciolto da prigione intollerabile.
Ma non ha forza di bloccare i suoi pensieri.
“E così, al fine, il giorno è giunto... mia signora perché vuoi che altro sangue sia versato in tuo nome? Perché pretendi i favori di noi semplici mortali? Ma siamo davvero solamente mortali? Fratello... Shun...”.
Una lacrima aspra scivola sulla pelle eburnea di quel viso.

Finalmente Saori inizia a parlare ai suoi saints.
“Guerrieri, vi ho riuniti chiamandovi fin dai luoghi più remoti del globo perché ormai non ci è più possibile evitare l’ennesima lotta, il nemico ha scagliato questo meteorite silenzioso nella sacra dimora di Atena e non mi è più possibile ignorare le sue provocazioni”.
La donna interrompe le sue parole per osservare le emozioni dipintesi sul volto dei suoi protettori.
Tra i molti visi semplicemente contriti al pensiero che la dea sia nuovamente esposta a pericolo fatale, emergono quelli tesi di Ikki e Shiryu, accompagnati da quelli delle loro compagne che portano impresso un dolore profondo, il dolore di chi teme di perdere il bene più prezioso; quello di Hyoga si è acceso dell’antica fiamma ardente e battagliera, lui avrà la sua donna a fianco nella lotta; solo i visi di Shun e Mu paiono semplicemente feriti, quasi volessero da un momento all’altro rifiutare i loro favori alla dea.
Nessuno fiata. Per un tempo incalcolabile Saori si limita a muovere lo sguardo sui suoi saints, lievemente contrariata dall’impossibilità di sondare l’animo di uno di loro. Shaka, come sempre, non accenna ad aprire i suoi occhi impedendole di scorgerne i pensieri.
Infine Seiya rompe il silenzio.
“Ma come possiamo affrontare un nemico di cui non sappiamo nulla?”, il tono usato dal saint vorrebbe apparire supponente, ma tradisce un’inusitata inquietudine.
A quelle parole un’energia ignota, opprimente, attraversa l’animo del saint dell’Ariete: “Ora avrai le tue risposte, Seiya”, pensa Mu mentre un cosmo immenso, né buono né malvagio, si rivela a tutti i presenti i una luce opaca dalla quale sembra emergere una sagoma. Di donna.

Febe spalanca gli occhi, le vene le pulsano nel bianco globo, il cuore perde il battito placido dell’incoscienza. Si lascia cadere inerte sulla schiena, il capo che rincocca sul pavimento freddo. La vita, quello che ha dato un senso alla sua esistenza è troppo lontano, irraggiungibile, pericolosamente sul ciglio dell’Ade: la sua signora non risparmierà nulla....

“Non ti sei mai chiesto, saint, quale miracolo mai vi abbia concesso di sopravvivere alla morte certa che la distruzione del regno di Ades vi avrebbe inferto?”.
La voce che pronuncia queste parole è dolcissima, così come l’immagine che presto si rivela gli occhi dei saints e della stessa Saori: la sagoma femminile emerge dalla luce rivelandosi giovane e splendida donna.
Gli occhi smeraldini sembrano attraversare tutti i presenti senza considerarne specificatamente nessuno, mentre i riccioli del giallo del sole della primavera ondeggiano lievi al vento. Il corpo di questa donna che pare quasi intangibile, irreale è cinto di una tunica antica che le arriva al ginocchio mostrandone le ginocchia candide e i piedi minuti cinti in sandali dagli stretti lacci. La veste le disegna le spalle, scoprendone una, e le ricade in drappeggi leggeri intorno ai fianchi larghi, accoglienti.
Sorride rivolta a Saori, la giovane impallidisce.
“Come... come ho potuto non riconoscerti dietro a quelle incomprensibili energie che hanno straziato i miei saints e il mio Santuario? Come ho potuto ignorare che solo tu hai il potere sufficiente per stravolgere gli animi dei miei guerrieri e farne affiorare le inclinazioni più nascoste, più deplorevoli?”.
I saints non osano chiedere chi sia la donna bionda di fronte a loro, sono come pietrificati dallo stupore di quel cosmo neutro che la accompagna.
La donna ride sommessamente alle parole di Saori.
“Atena... davvero non hai mai pensato a me? Davvero non ti sei mai domandata se il tuo contegno poteva avere offeso qualcuno in Olimpo? Davvero non hai mai riflettuto sulla condizione dei tuoi pari?”.
Saori pare non avere parole in risposa alla donna, nemmeno osa volgere lo sguardo ai suoi saints né cercare conferme in quello del maestro Dauko.
“Non rispondi, sorella? -le domanda al fine la donna- E sia. A me, miei guerrieri: presentatevi alla vista di chi invano tenterà di opporsi alla vostra signora!”.
Immediatamente compaiono alle spalle della donna dodici combattenti dai cloth impossibili da ricondurre alla galassia nota: hanno volti ora caldi del ribollire della vita, ora gelidi come la notte, ora duri come l’omicidio. Guardano avanti senza osservare davvero nulla e nessuno, alteri eppure umanissimi, nello stesso momento uomini destinati alle più dolorose battaglie e animi inclini al bello all’amore.
Nessuno dei saints osa parlare, quasi non muovono lo sguardo per conoscere i visi dei nuovi avversari. solo Ilaira non esita a fissare i suoi occhi sui combattenti che le sono di fronte, ma a nessuno dei presenti è concesso vedere il viso, l’espressione della saint vestale di Atena: solo Hyoga, che ancora cinge la sua mano fredda dei ghiacci della Siberia, sente il tormento che la strazia in silenzio, addolorandone l’anima e i ricordi.
“Bene, bene –riprese in fine la splendida apparizione divina- miei cari, avete di fronte gli Argonauti, valenti combattenti pronti a qualunque sacrificio per la loro dea: come voi giuraste la vita per Atena, dea eterea e altezzosa, così loro, i dodici investiti ai cloth temprati dai boschi sacri dai cervi maestosi, giurarono se stessi per la sorella generatrice di Pallade, giurarono a me, stolti, a me, l’immortale Artemide”.

“Non chiedermi di accompagnarti, mia signora, ti prego”.
Febe supplica nel silenzio del Tempio, seduta di fronte al Sacro Fuoco che le brucia la pallida pelle del viso, supplica stravolta nel corpo dall’antico richiamo di colei che pretese da lei fedeltà eterna.

“Non c’è più possibilità di risparmiarsi lo scontro ultimo”.
Tutti i presenti si volgono all’unisono verso quella voce tintinnante di donna che ha pronunciato questa frase squarciando il silenzio. Tutti fissano la maschera bronzea.
Seiya trattiene a stento un moto di rabbia nei confronti di quella donna fragile nel corpo che osa assistere come sua pari a quello spettacolo.
I gold saints si limitano ad abbracciare quell’affermazione, come fosse scontata nella sua drammatica evidenza.
Ikki scorre i lineamenti di Climene, che gli appare stravolta da quelle parole così limpide, inappellabili.
Saori pare incapace di comprenderle, benché provengano dalla sua servitrice più devota.
Di nuovo è la splendida voce di Artemide a rompere il silenzio: “Ilaira… vedo che non hai perso l’abitudine sciocca di rendere in una frase l’immanente sorte dei saints e degli Olimpi… sono felice di rivederti, anche se questa volta non è una circostanza felice come in passato”.
“Ora basta, sorella! –grida al fine Saori dopo aver assistititi fino a quel momento in silenzio- Spiegami quale ragione ti ha spinta a tornare tra i mortali con i tuoi Argonauti”.
Ride la dea delle nascite prima di rispondere e la sua risata rievoca quelle dei giochi dell’infanzia tanto è pulita.
“Sorellina, sai bene perché ho dovuto al fine umiliarmi a supplicare nostro padre Zeus per riavere spoglie di mortale. Quando vent’anni or sono fu scelta per te vita in corpo di carne e per me accoglienza in spirito presso l’Olimpo, il divino concilio sancì che il nostro potere dovesse ugualmente rimanere inscindibile.
“Avevamo ottenuto di continuare a dominare il mondo umano secondo quelle leggi di sottomissione per le donne e di dominio reverente per gli uomini, a te le terre urbane, a me i boschi vitali; a te valorosi saints a proteggere il tuo regno, a me saldi argonauti a difendere le selve dalla profanazione.
“Ma tu, tu, stolta, nel tempo sconfiggesti Poseidone, signore delle acque, e poi Ades, padrone degli Inferi e, colma di superbia, decidesti che non ti era più necessario il mio appoggio: dichiarasti impuri i boschi della sacra caccia e già da tempo avevi proclamato il divieto di rinascita per il saint dei Gemelli che, come spero ancora ricorderai, è il solo a non rispondere ad Atena né ad Artemide e per questo era baluardo del nostro dominio bipolare… e poi l’ordine di morte per tutti i gemelli, che tanto dolore e astio ha generato in me, dea delle nascite… al fine non ho più tollerato i tuoi soprusi, sorella. E pregai il nostro comune padre di permettermi la vendetta. Acconsentì.
“Da dieci anni preparo la mia vendetta contro di te, la coltivo attenta e per poterla portare a compimento degno di una dea quale sono io! Io ho fatto salva la vita ai tuoi saints che altrimenti sarebbero morti nel crollo del regno di Ades. Io concessi loro la salvezza intercedendo presso Zeus onnipotente.
“E ora finalmente anche i miei combattenti sono pronti alla lotta, quattro per ogni trimestre della gestazione femminile. Quattro per ognuna delle tre forze che agitano il mio sangue divino: per il primo trimestre combatteranno gli argonauti della Notte luminosa di luna piena; per il secondo saranno quelli della Caccia rituale ad opporsi ai tuoi saints; infine, per il terzo trimestre, si troveranno ad affrontare gli argonauti della Vita.
“La sola possibilità che hai per vincere questa battaglia, questa battaglia che è la mia sfida ultima a te per decidere quale tra noi governerà il mondo intero, è aprirti la strada fino ai monti verdeggianti della Beozia.
“Solo la vittoria sui miei argonauti potrà aprirti la strada,così ha decretato Zeus nelle regole di questa lotta, perché per la prima volta combatti solo per la tua deità, Atena, e non, come negli altri eventi della tua vita, per ottenere la gratitudine umana.
“Quindi valuta bene le capacità dei tuoi guerrieri e impartisci loro ordini secondo il tuo interesse. Se raggiungerai il luogo della battaglia ultima potrai confrontarti con me e sperare nella supremazia. Altrimenti… tornerai in Olimpo privata di ogni potere su questo mondo”.
Artemide pone fine alle sue parole svanendo nell’etere, inconsistente e divina. Solo la sua risata echeggia lieve nell’aria, controcanto a quella di Atena, arida, spietata.
La dea della Giustizia, udite quelle parole, si volge ai suoi saints: “Bene. Avete sentitole condizioni della sfida quindi andate e spianate la strada per me fino alla Beozia”.
Nessuno accenna un passo.
“Vi ho detto di andare, non mi importa chi riporterà la vittoria, né come. Voglio solo che alla fine la strada che conduce a mia sorella sia sgombra di pericoli. Io rimarrò al Santuario ad attendere e voi, Milo, Aiolia e Aldebaran, rimarrete con me e con il maestro Dauko per garantire la nostra incolumità. Ancora una cosa. Shun! A te! –grida altera la dea gettando ai piedi del giovane un groviglio di metallo scarlatto- Ora le catene di Prometeo che tu e Hyoga avete recuperato ti appartengono: è il mio ineguagliabile dono per te, saint, che sei così fragile e tanto poco incline alla lotta. Chissà mai che con esse tu trovi un antico vigore dentro di te.
“E ora andate, andate, presto. O qualcuno ha domande?”, concede altera la dea.
Mu stringe i suoi pugni vigorosi, sbianca la carne: vorrebbe gridare il suo rifiuto a combattere e impedirlo ai compagni. Sta per parlare.

“Fratello amato, ti prego… non ti chiedo di combattere se non lo vuoi, ti prego solamente di non rifiutare i tuoi favori alla dea, non ora… io ho bisogno di te aiutami”.
Sussurra a fior di labbra rivolta al fratello lontano Febe.

“Ah… e sia, sorellina. Hai vinto”, pensa di rimando a Febe il saint dell’Ariete.

“Perfetto. Vedo che nessuno ha nulla da domandare”, continua Saori.
“Un momento!”, il saint ha spalancato gli occhi.
“Shaka! –esclama Saori stupita dell’intemperanza del saint di solito tanto raccolto e pacato- Qual è il tuo problema?”.
“Mia dea… semplicemente volevo domandare… libertà totale di azione e spostamento. Per me e… per Mu dell’Ariete”.
Nessuno dei presenti, tutti attenti alle parole di Shaka, coglie il breve cenno di assenso negli occhi di Mu.
“Mpf… e sia, Shaka. Ma mai più un’irruenza simile nel rivolgerti a me”.
“Chiedo perdono mia dea”, sussurra Shaka.
“Alla lotta, saints. Alla lotta” e anche Atena svanisce alla vista.

“Beh? –grida Seiya con rabbia- cosa vi frena, ancora?”, chiede ai compagni.
“Un istante, fratello. Permetti il saluto ai compagni”.
Shun frena l’astio dell’amico volgendo lo sguardo a Ikki, a Hyoga.
Il fratello di sangue puro, il fiero saint della Fenice sembra non decidersi ad abbandonare la mano pallida di Climene, ma la splendida figlia del mito non può seguire il suo amore in battaglia e al fine fa scivolare le esili dita da quelle di lui. Gli cinge il viso in gesto dolcissimo.
“Ti aspetterò Ikki. Io voglio che tu veda te stesso negli occhi di tuo figlio”.
Ikki non ha parole, incapace di reggere un sentire tanto violento quando questo che lo attraversa ora per la prima volta sentendo che il figlio è già, sebbene non ancora alla luce.
Scivola lentamente lontano da lei, sfioratile gli occhi in un bacio si separa da Climene incapace di voltarsi per non rendere ancor più intollerabile il dolore di quella separazione.
Shun osserva in silenzio.
“Shiryu…”.
È la voce fragile di Shunrei a richiamare il saint di Dragon, ormai rassegnato ad un addio solamente spirituale.
“Shunrei… -solleva il giovane i suoi occhi nerissimi- temevo che non avrei potuto dirti addio…”.
Shunrei si avvicina a Shiryu e, presagli la mano, la appoggia sul suo ventre gonfio.
“Troppe voltemi hai detto addio e al fine sei sempre tornato. Aspetterò… aspetteremo anche questa volta.
E mentre il bacio ultimo prima della lotta sancisce il saluto degli amanti, lo sguardo di Shun è rivolto al freddo compagno dei ghiacci: Hyoga e Ilaira non hanno, buona sorte nella sciagura!, bisogno di abbandonarsi. Lei lo seguirà nella battaglia.

Al fine il gruppo è pronto ad affrontare questa ennesima, assurda prova in nome di quella dea sulla cui giustizia, di nuovo, Shun si trova empiamente a riflettere.
Ogni saint si avvia verso la selva ombrosa e cupa.

“Addio piccolo fiore che ha reso la mia vita odorosa e pulsante. Addio mio giovane figlio: per l’amore a te e a tua madre io ti giuro che tornerò”.
E sulla schiena, invisibile sotto il cloth, riappare il Drago eterno del Goro Ho.

“Sarò la tua ombra, ma forse nemmeno questa volta potrai rendertene conto”.
“Alla lotta! Per te mia dea, per la giustizia e per gli uomini”.
Pensieri dissonanti tra Seiya e Shaina, l’una al seguito dell’altro, silenziosa, inconsistente.

“Dolcissima figlia del mito, abbi cura del dono che porti in grembo”.
E giura in silenzio la Fenice la sua immortalità, speranza ultima del ritorno all’amata.

“O dei… datemi pace finale con questa battaglia, ve ne prego… non ho più ragione di essere”.
E si allontana stanco il saint di Andromeda, perso ogni desiderio di vita, perso il bene più prezioso.

“Abbi cura di te…”.
È il pensiero di Shaka alla vista dell’animo avvilito di Shun che si allontana nella selva.

“Sorellina… ora ancora non c’è bisogno di te. Rimani laggiù in quel luogo freddo e sicuro… non rischiare la tua vita, ché quella di troppi uomini resterebbe un vuoto involucro senza di te”.
Ultimo pensiero di Mu a Febe, lontana, amatissima sorella. E poi si avvia al fianco del compagno della Sesta Casa.

Solo Hyoga è rimasto immobile, trattenendo a sé il corpo saldo di Ilaira.
Atteso che tutti si allontanassero la conduce in quel luogo irreale e senza tempo che è la Sala dei Cloth: al fine non i freddi venti della Siberia, non il silenzio inquietante dei ghiacci, non il candore purissimo della neve accoglie il loro amore.
Il corpo di Ilaira si schiude per Hyoga nel tepore familiare di quelle mura tanto a lungo custodite dall’amato fratello di lui e Hyoga lo accoglie e finalmente si scioglie anche l’ultimo cristallo di ghiaccio insensibile nell’animo del Cigno.
Incerte le dita del giovane su quella pelle bianchissima, disegnano un sogno che Hyoga temeva di non poter mai più sperare e Ilaira, che in un tempo lontano, al pari della piccola Shunrei, della divina Climene, di Febe figlia del peccato, disattende al giuramento che in un tempo lontanissimo la costrinse vergine per il volere della dea da cui fu scelta come vestale.

“Ora saremo insieme, ma tu non puoi più permetterti di morire in questa battaglia”, le sussurra Hyoga quando già sono di nuovo sulla via della battaglia e seguono i passi degli altri saints attraverso i boschi.
Ilaira non risponde, solo sfiora il suo cloth all’altezza del ventre.


Ancora brucia il fuoco davanti agli occhi lucenti di Febe.
Un sorriso.
Assoluto.
Un sorriso è sul suo volto inconosciuto.
“E al fine anche il figlio del Cigno è tra noi”.




CONTINUA...