Un Nuovo Ciclo

The FullMoon

*In corsivo i pensieri

Il sole splendeva alto sulla città. Dalle auto, bloccate nel traffico delle una, si levavano sbuffi di smog e suoni di clacson di automobilisti irritati e presi dalla fretta. I marciapiedi erano affollati di pedoni affrettati che si recavano a pranzo o uscivano per andare al lavoro. Ognuno era preso dai propri pensieri, del tutto incurante degli altri e di ciò che li circondava; ognuno andava per la propria strada, senza guardarsi attorno, presi dal proprio lavoro e dalle loro vite, banali ed eccezionali allo stesso tempo.
Dai negozi uscivano ed entravano persone con borse e buste, vestite eleganti, all’ultima moda, o trasandate e sciatte. I Fast food e i bar erano pieni di persone urlanti o silenziose, impegnate a mangiare o a leggere il giornale.

Sopra la vita di tutti i giorni il cielo era terso, solcato da piccole nubi bianche, gli uccelli volavano leggeri seguendo chissà quali vie e il vento danzava tra i palazzi e le persone. Nessuno sembrava guardare il cielo, o le nubi, o gli uccelli, o fermarsi ad ascoltare il suono del vento.

Un ragazzo alto, biondo e con grandi occhi ambrati stava seduto su una panchina lungo una strada a fissare il cielo. Guardava le piccole nuvole scorrere nell’etere (ahem, non la droga, eh??? NdClea^^;;;) e vi immaginava animali, cose e persone. Era un gioco che faceva quando era piccolo, molto piccolo, per passare il tempo, quando suo padre lo portava sui set dei suoi film. Aveva ripreso a guardare il cielo verso i 10 anni, quando era successo il fatto di Mizuki. Da allora aveva ripreso quell’abitudine, perché aveva scoperto che il cielo nascondeva molti segreti che potevano essere scoperti solo osservandolo. Come per tutto il resto, solo osservando a lungo si potevano vedere cose nascoste. Osservando e ascoltando.
Il vento gli soffiò accanto sussurrando parole misteriose. Masaki si riscosse e si guardò intorno. Vide persone passare accanto a lui, soli o a gruppi, ma sempre tirando dritti, senza voltarsi, senza guardarsi intorno.
La gente va dritta per la sua strada e non si guarda mai intorno. Chissà perché? Forse ha paura di vedere cosa c’è attorno a loro. Magari pensano che solo loro soffrono, o che il loro dolore è già troppo grande per poter sopportare quello degli altri. Questo menefreghismo mi fa davvero schifo!
pensò tra sé Masaki facendo una smorfia disgustata e alzandosi di scatto. I piccioni che si erano posati davanti a lui si alzarono in volo, spaventati dal brusco movimento del ragazzo. Miura li guardò volare verso il cielo e perdersi in lontananza. Sorrise tra sé e iniziò a camminare.

Mizuki… da quanto tempo non ripensavo a quella storia. Chissà come sta adesso. O come stanno tutti gli altri: Kayama, Tetsu-kun e Shiraishi. I miei migliori amici…. e non li risento, da quanto? Giorni? Mah, direi mesi, forse è anche un anno. Penseranno che non ho tempo, ormai, che non mi interesso più di loro. Forse è proprio così. Forse gli dovrei scrivere, o magari chiamarli. Sae…da quanto tempo è che non la sento? Eppure c’è stato un periodo in cui non potevo fare a meno di loro…di lei. La chiamavo ogni giorno.Ormai sono anni che non lo faccio più. Gli auguri per Natale, un saluto veloce e poi…poi niente per mesi e mesi. Che razza di persona sto diventando? Sembro mio padre!!!

Preso da questi pensieri Miura si avviò lungo le strade della città, senza una meta precisa. Vagò a lungo, immerso nei propri pensieri, riflettendo su quanto lui in realtà fosse così simile a quelle persone e ai suoi genitori. Li criticava e li disprezzava, ma alla fine si era ritrovato a comportarsi nel loro stesso identico modo. Menefreghista e incapace di manifestare agli altri quello che in realtà provava. Si odiava per questo, ma era così e non poteva farci nulla, ormai.

Perso in questo ed altri pensieri, si trovò a percorrere i piccoli sentieri di un parco a terrazze, con le mani sprofondate nelle tasche degli ampi pantaloni che indossava. La testa china, quasi infossata nelle spalle, come se si volesse proteggere da qualcosa o da qualcuno. Non badava a dove andava, non faceva caso alle persone e ai bambini che incrociava lungo la strada e che guardavano il ragazzo straniero con curiosità, troppo preso dai suoi pensieri per accorgersene.
Un cane abbaiò in lontananza, e in risposta si udì un latrato più vicino. Questo riscosse Miura dai suoi pensieri che alzò la testa e si guardò intorno. Poco più avanti, seduto su una panchina, stava un uomo anziano accompagnato da un grosso pastore tedesco, accucciato ai suoi piedi, che in quel momento aveva alzato la testa e fissava in lontananza, all’origine dell’abbaiare. Diede un altro lungo latrato e poi si rimise giù, come se la conversazione fosse chiusa. L’anziano aveva con sé una chitarra e la strimpellava cantando, con voce resa roca dall’età, vecchie canzoni d’amore e di ricordi, con lo sguardo perso nel vuoto, come se le parole prendessero vita davanti a lui, che era nel contempo bardo e spettatore. Miura fissò con interesse il vecchio, soprattutto perché queste cose, da dove veniva lui, non si vedevano mai. L’anziano smise di cantare, mentre l’ultima nota della canzone si perdeva lontano nella vallata sottostante, trasportata dal vento. Si voltò verso il ragazzo e lo guardò un momento, poi sorrise e disse: “Salve tu. Non sei di qui, vero? Direi piuttosto che sei orientale. Piaciuta la mia canzone?” Miura all’inizio rimase stupito di capire bene quello che l’uomo avesse detto, poi si rese conto che il vecchio aveva parlato in inglese, e ne rimase ancora più stupito. Questo suscitò l’ilarità del vecchio signore che, ancora ridacchiando, posò la chitarra, si accese una sigaretta e, sbuffando fuori il fumo, rispose alla muta domanda del ragazzo: “ Mi sembrava carino parlarti in inglese, per il semplice fatto che, vedendoti straniero, ho pensato che potevi non parlare bene la mia lingua. Non stupirti troppo ragazzo, quando ero giovane ho viaggiato molto. Sai, pemsavo, all’ora, che avrei potuto migliorare questo mondo con le mie canzoni. Certo, non cambiarlo, ma farlo diventare migliore sì”. Miura si avvicinò titubante e chiese: “ E ci è riuscito?” . L’uomo scrutò meglio il ragazzo che aveva di fronte e posò il suo sguardo vigile su quello del ragazzo: “ Beh, non posso dire di non esserci riuscito. Alcuni hanno ascoltato quello che avevo da dire, altri no, altri ancora lo hanno preso a modello, e poi ci sono quelli che lo hanno capito.” disse tirando un’altra boccata dalla sigaretta. “ Mh?” fece Miura non capendo bene quello che l’uomo gli volesse dire. “ In che senso? Voglio dire, chiunque lo ascolti dovrebbe capire, e anche chi l’ha perso come modello……proprio non capisco” ribattè un po’ scocciato dal modo di dire del vecchio, che per tutta risposta riguardò il ragazzo negli occhi e ridacchiò di nuovo. “Davvero non capisci? Eppure mi sembra semplice: ascoltare una cosa, non vuol dire necessariamente capirla. E prendere a modello completo ciò che un altro dice, è sbagliato e a parer mio, pure stupido. Per capire una cosa bisogna averla dentro, lasciarla diventare parte di noi, capire cosa ci è vicino e cosa invece non potremo mai fare, perché non ci appartiene. Ora capisci?” ribattè il vecchio. Miura era stupito: non era abituato a sentir parlare estranei così apertamente con gente che non si conosceva, ma soprattutto quello che l’uomo aveva detto, lo stupiva molto. “Capirlo….sentirlo dentro….una parte di noi…… Non ci avevo mai pensato.” Disse infine più a se stesso che all’anziano che ora lo guardava con maggior interesse. “ Sei sveglio, per essere così giovane” gli disse un po’ canzonatorio. “ E cosa ci fai, qua tutto solo soletto? Dove sono i tuoi amici?” chiese al ragazzo, il cui sguardo divenne un po’ triste. “ Io sono qui per lavoro” ribattè piuttosto adirato che un estraneo gli rivolgesse domande così personali” e per quello che riguarda i miei amici, beh, non sono cose che la riguardino”concluse. Il vecchio rise forte e rispose, calmo e pacato:” Forse hai ragione, ma sai, alla mia età è normale farsi i fatti degli altri. Soprattutto se sono giovani e soli. Gli amici sono veramente importanti, soprattutto quelli veri: è con loro che si può crescere e diventare migliori. Da soli, non si va tanto lontano.” “ Lo so benissimo, cosa diavolo crede? Io non sono solo….almeno credo” rispose Miura un po’ titubante. “ Almeno credi? Beh, ‘almeno credere’ non è una sicurezza, ragazzo. E io non ho mai detto che tu sia solo, ho semplicemente detto che ORA sei solo” disse il vecchio spegnendo la sigaretta e riprendendo in mano la chitarra e iniziando a strimperlarla. Masaki guardò l’uomo con più attenzione: “ Mi sono fregato da solo, vero?” esclamò con un sorriso esitante sulle labbra. “ Precisamente” concordò con voce beffarda il vecchio. “ Perché non ti metti seduto e mi spieghi che vuol dire ‘Almeno credo’?” chiese, senza alzare gli occhi dalla chitarra che stava suonando. Miura rimase in silenzio, titubante per alcuni minuti, poi si sedette accanto all’uomo, abbassandosi ad accarezzare l’enorme cane, che per tutta risposta adagiò la sua testa sulle ginocchia del giovane. “ Poco fa’ mi lamentavo che la gente se ne va in giro per i fatti suoi, senza badare troppo agli altri, anzi, oserei dire, fregandosene altamente, per poi accorgermi che è quello che faccio anche io. Ironia della sorte.Giudico la gente, e poi mi comporto allo stesso modo.” disse Miura in tono amareggiato. “ Criticavo i miei genitori per il loro comportamento, e mi scopro ad avere lo stesso atteggiamento. Che schifo” concluse con voce mesta guardando davanti a sé. Anche il vecchio alzò lo sguardo dalla chitarra per soffermarlo sul paesaggio che si apriva davanti a loro. Lo spettacolo era grandioso: davanti a loro si aprivano piccole valli e colline tonde e verdeggianti, più lontano alte montagne nascoste dalla foschia autunnale si alzavano verso il cielo. Il sole al tramonto tingeva di rosa, arancio e viola pastello il cielo, solcato da piccole nuvole soffici. Uccelli in lontananza sfrecciavano in su è giù lanciando piccoli richiami ai loro simili. Tutt’intorno c’era quiete: le giornate si stavano accorciando, per l’avvicinarsi dell’inverno, e le persone e i bambini erano ormai tornati alle loro case, lasciando il parco semi-vuoto.
“ I miei amici….con loro ho condiviso belle esperienze. Vicende che ci hanno avvicinato moltissimo. Per un certo periodo siamo stati sempre insieme, anche dopo che tutto era finito.” Iniziò Miura, parlando come se il vecchio sapesse di cosa stava raccontando “ Per una decina d’anni li ho sempre avuti accanto e sapevo di poter contare sempre su di loro. Ma questo accadeva molto tempo fa’….poi, un po’ per il lavoro che faccio, un po’ a causa del mio carattere, ho finito per allontanarmi da loro” concluse abbassando lo sguardo sul cane. “ Ed ora hai paura che loro non ti vogliano più per come ti sei comportato, vero?” chiese l’uomo portando la sua attenzione sul ragazzo che gli sedeva mestamente accanto. Miura per tutta risposta, annuì, senza alzare lo sguardo. Il vecchio scoppiò a ridere e a questa reazione Masaki si irritò parecchio, lanciando al vecchio uno sguardo di fuoco: “ Non lo trovo granchè divertente!!!” esclamo in tono risentito. In risposta all’esclamazione del ragazzo, la risata del vecchio divenne ancora più forte fino a che lacrime iniziarono a scendere lungo le guance dell’anziano. Appena si calmò un poco guardò il ragazzo accanto a lui e disse: “ E per questo pensi che loro non ti vogliano più? Nella mia lunga vita, ho imparato che gli amici veri sono quelli che puoi abbandonare tante volte e che ogni volta ti riaccoglieranno a braccia aperte. Vedi, loro ti conoscono abbastanza bene, da sapere come sei fatto, e non gli importa quello che fai, o quante volte al giorno li chiami. Perché tu sei così. E loro, quando ti hanno accettato come amico, l’hanno fatto accettandoti così come vieni. Ma non adagiarti su questo: le amicizie vanno coltivate. Tipo cavoli. Ogni volta che li senti, non sentirti in imbarazzo, ma mostragli che in quel tempo che non ti sei fatto sentire, sei diventato migliore. E che vuoi condividere tutto quello che ti si para davanti con loro. Anche se dovessi chiamarli solo perché un bambino si è messo a piangere. Non importa quello che dici, o quanto li chiami. Ma quando lo fai, fa sì che questo serva per riempire te e loro.” concluse l’uomo riportando l’attenzione alla chitarra che non aveva mai smesso di suonare.

Le cose non vanno solo osservate, ma rese parte di noi e migliorate. Non ci avevo mai pensato. Buffo! Pensavo che solo osservando e capendo potevo sapere tutto. Mi sbagliavo…come mi sbagliavo per quello che riguardava l’amicizia. Beh, non posso essere sicuro che loro saranno contenti, ma posso sempre provare.

Per parecchio tempo il silenzio calò tra i due, interrotto solo dal suono della chitarra e dal passare leggero del vento sui rami degli alberi ormai quasi completamente spogli.
“Ho come l’impressione che tu non sia poi così vecchio come vai sostenendo” esclamò all’improvviso Miura, interrompendo il silenzio tra i due e suscitando l’ilarità dell’uomo accanto a lui. “ In effetti, ho ancora molte da cose da raccontare, per chi mi vuole ascoltare” rispose l’uomo voltandosi verso Masaki e vedendo che ora le ombre negli occhi di lui si erano un po’ attenuate. Poi alzò lo sguardo verso il cielo: “Guarda, c’è Luna Piena” disse con la sua voce, resa rauca dal lungo uso, dall’alcool e dalle sigarette. Miura seguì il suo sguardo e si ritrovò a fissare, nel cielo ancora al crepuscolo la luna piena che, ancora vaga, aveva però la forma già ben delineata e visibile. “ E’ vero” disse sorridendo serenamente. Poi si alzò e si avviò verso le cabine telefoniche lì vicino. Sollevò la cornetta, compose il numero e attese. Quando all’altro capo del telefono rispose una voce a lui nota: “ Sae-chan, c’è la luna piena” disse sempre sorridendo tranquillo alla luna. Da lassù la luna gli rimandò il sorriso, testimone silenziosa dei travagli ormai passati.





Nota dell’autrice: Uffi, non pensavo sarebbe venuto così lungo…..in effetti l’idea iniziale era molto più semplice. La mia solita paginettina, per intenderci. Ma poi, quando ho iniziato a far parlare Miura con il vecchio, mi sono accorta che avevo tante cose da fargli dire.
Per quanto riguarda il vecchio che strimpella la chitarra, devo dire che mi sono liberamente ispirata ad uno dei miei più grandi idoli ( Non è Tania^^;;;;), che, anche se lui sostiene di non far rivoluzioni e poesia con le sue canzoni, mi ha fatto crescere e migliorare con i suoi testi…e per questo devo ringraziare i miei, in particolare mia madre, perché mi hanno fatto crescere con le sue canzoni e perché mi hanno pagato il biglietto del suo ultimo concerto!!!!…. Ovviamente, tutto quello che dice il vecchio sono mie elucubrazioni, non so se lui la penserebbe allo stesso modo e non credo di poterlo mai sapere. Ma credo si troverebbe d’accordo.
Inoltre Masaki Miura è un po’ OOC, ma crescendo le persone cambiano e lui potrebbe essere cambiato così^^

Un bacio sempre vostra Clea^^


CONTINUA…….