Il Fiore del Mio Segreto

Secondo tempo

Ché, posto che io sia da te ben vestita e ben calzata, tu sai bene come io sto d’altro e quanto tempo egli ha che tu non giacesti con meco; e io vorrei innanzi andar con gli stracci indosso e scalza e esser ben trattata da te nel letto, che aver tutte queste cose trattandomi come tu mi tratti. E intendi sanamente, Pietro, che io son femina come l’altre e ho voglia di quel che l’altre, sì che, perché io me ne procacci, non avendone da te, non è da dirmene male: almeno ti fo io cotanto d’onore, che io non mi pongo né con ragazzi, né con tignosi.(1)


Era ora di muoversi, decise Meiko all’istante. Si alzò dal letto e si diresse in cucina.

“Perché?”
“Perché considera tutto l’universo sotto il punto di vista sessuale. È questa , è vero, una tipica caratteristica della sua generazione, soprattutto alla sua età… ma non rimanga continuamente a letto! Si alzi, apra le tendine, lasci entrare la luce, guardi fuori!”
“E che cosa si vede, fuori?”
“Niente di bello è vero; tuttavia…” (
4)


Meiko si sedette in cucina. Si sarebbe messa lì ad aspettare il suo Nacchan, tranquilla e serena. Dopo un paio di secondi cominciò ad annoiarsi, dopo qualche minuto divenne molto nervosa. Doveva tenersi impegnata in qualche modo; quella mattina era arrivato Vogue, così andò a prendere la rivista e si mise a sfogliarla.
“Dio Santo! Anche quest’anno il nero, ma non se ne può più… oh che begli stivali.”
Voltò la pagina e si trovo dinanzi un volto noto, era un giovane stilista di New York, biondo, occhi azzurri… l’aveva già visto da qualche parte… ma sì, era Michael Grant, lo studente che aveva vissuto a casa di Miki. Certo che ne aveva di strada; lei non avrebbe dato un soldo bucato per quello stralunato, be’ a quel tempo aveva in mente solo Shinichi. Però doveva ammettere che Michael era proprio un bel tipo, chissà se sarebbe piaciuto a Namura. Meiko interruppe il flusso dei suoi pensieri, ma cosa diavolo andava a pensare? Iniziò a sfogliare le pagine velocemente. La presentazione di una mostra d’arte a Tokyo, un articolo su Mary Macias, cappotti e giacche, scarpe… si bloccò con la pagina a mezz’aria, tornò subito indietro. Un articolo su Mary Macias? Chi l’aveva permesso? Era un complotto contro di lei? Cosa aveva fatto lei per meritare questo? Era perseguitata da Mary Macias! E pensare che fino ad un mese prima Vogue era una rivista seria.
Meiko in preda all’ira scagliò il giornale fuori dalla finestra, in quella casa c’era l’abitudine di lanciare oggetti, ormai i vicini erano abituati e non passavano mai lì davanti senza prima aprire un ombrello.
“Duh! Haia!”
Hops, Meiko aveva preso qualcuno, e sicuramente gli aveva fatto male (Be’, andate in edicola a vedere quanto grosso è Vogue NdA). Se ne stette zitta e buona, magari il tizio là sotto non aveva visto da dove era piombato il giornale, lei non voleva prendersi una denuncia per tentato omicidio.
“Chi è l’idiota che…” sbraitava l’uomo sotto la finestra, era arrabbiato nero, ma all’improvviso il suo tono si fece allegro “Wow, in questo giornale c’è un articolo su Mary Macias, la mia scrittrice preferita.”
A quelle parole Meiko si fiondò verso la finestra “Non ti permettere di leggere quell’articolo, ridammi subito il giornale!”
“Col cavolo, me l’hai tirato in testa e adesso me lo tengo.”
“Rivoglio subito il giornale, ti vieto di leggere articoli su Mary Macias.”
“Questa è pazza.” Commentò l’uomo dirigendosi il più velocemente possibile lontano da quella casa.
“Oh, al diavolo!” Meiko chiuse i vetri della finestra e ritornò al suo nervoso bilancio del passato.

Namura quando aveva sposato Meiko non era sicuro di essere gay. Dopo pochi mesi il matrimonio, questa idea era andata rafforzandosi dentro di lui. Non era attratto sessualmente da sua moglie, e la cosa era stato recepita anche da Meiko. Una coppia appena sposata non avrebbe dovuto avere quei problemi nella sfera sessuale. In poche parole, Shinichi non riusciva a raggiungere l’orgasmo.
Fu quello il primo vero periodo di crisi per Meiko. Sebbene Namura cercasse di spiegarle in tutti i modi che la colpa non era sua, lei era convinta di essere la causa del problema: era un’inetta che non riusciva ad eccitare il marito, una donna frigida e poco sensuale. Si sentiva a pezzi, e cadde in depressione. Fu per questo che si buttò a capofitto nella scrittura. Dal momento che per lei e Namura era impossibile avere figli, doveva trovare una qualche altra occupazione. Scriveva solo per se stessa, senza l’intenzione di pubblicare, e riusciva a tirare avanti. Aveva l’affetto di Shinichi, la scrittura, non aveva bisogno di nient’altro.
Forse lo aveva già intuito da tempo, forse il suo mondo aveva già cominciato a sgretolarsi a poco a poco e lei non se ne era accorta. Forse le cose sarebbe state diverse, ma probabilmente tutto sarebbe stato uguale, se quell’estate non fosse tornata a casa dal mare all’improvviso.

Agosto era agli sgoccioli e Meiko si trovava nella casa al mare dei suoi genitori. Quel giorno Shinichi tornava in città, dal momento che per lui le vacanze erano finite.
Si era sporto dal finestrino del taxi e Meiko lo aveva baciato sulla fronte.
“Sei sicuro che riuscirai a cavartela da solo?”
“Non ti preoccupare, credi che io sia un incapace?”
“No, però mi sento un po’ in colpa. Tu torni a lavorare, e io rimango qui a non far niente.”
“Come niente? Sei qui per riposarti, e devi farlo bene. Devi riprenderti perfettamente, non voglio che ti venga un altro esaurimento nervoso, come quello dell’inverno scorso. Questo venerdì torno qua, e domenica saremo di nuovo a casa insieme.”
Meiko spostò lo sguardo, a disagio “Se è solo per una settimana…”
“Te lo ripeto, non devi preoccuparti per me, andrà tutto benissimo. Fidati.”
Lei sorrise, si scambiarono un bacio sulle labbra “Va bene, ho capito. Fai buon viaggio.”
Shinichi fece un cenno e il taxi partì “Ci vediamo la settimana prossima.”
Meiko lo guardò allontanarsi, cercando di cacciare indietro le lacrime. Le dispiaceva sempre quando lui si allontanava. Anche se la loro intesa sessuale non era perfetta, che importanza aveva? Era suo marito, e gli voleva bene. Prima di rientrare in casa osservò il cielo, grosse nuvole scure si accumulavano all’orizzonte.
“Splendido!” disse a se stessa “Nacchan se ne va, e arriva il temporale.”
Si sentì invadere dalla frustrazione, e cercò invano di riprendere il controllo. Come mai ogni volta che Shinichi si allontanava, lei doveva sentirsi perduta? Era proprio una stupida.
Mentre chiudeva la porta di casa dietro di sé, le prime gocce di pioggia cadevano al suolo.
Quando la mattina dopo si svegliò, prima di aprire gli occhi, allungò una mano verso l’altra metà del letto e non trovò nessuno. Già, Shinichi era partito la sera prima.
Meiko si alzò in piedi con la testa pesante, la nausea, e un pessimo umore. La sera prima per riuscire a dormire era stata costretta a prendere un calmante; dopo aveva dormito come un sasso, ma il risveglio… odiava quei risvegli. Scostò la tenda della finestra e guardò fuori, anche il tempo si era messo d’accordo con il suo stato d'animo. Un bagno caldo era quello che ci voleva per risorgere dall’abbattimento.
Il rubinetto era aperto da un quarto d’ora, ma non ne voleva sapere di sputare fuori acqua calda. Meiko corse fuori in corridoio.
“Haku-san!” urlò fuori di sé. La cameriera giunse subito, tremante: quando la signora era di quell’umore, era meglio non scherzare.
“Sì signora?”
“Cosa succede oggi? Perché non c’è acqua calda?”
“Signora, sono desolata. Non c’è elettricità, stanotte con il temporale che c’è stato… non c’è corrente elettrica. Dicono che un albero si sia schiantata sui fili della corrente. Sono mortificata signora.”
“Va bene Haku-san, non è colpa tua. Adesso andrò a telefonare a mio marito.”
“Signora, sono veramente mortificata…”
“Ma insomma Haku-san, la vuoi piantare? Ti ho detto che non è colpa tua, se non la smetti ti licenzio.”
“Ma…”
“COOSAA?!”
“Anche il telefono è isolato.” Riuscì a dire la cameriera con un filo di voce.
“Cristo!”
Meiko senza nemmeno pensarci andò in camera. Prese una borsa e la riempì a casaccio con dei vestiti, poi andò nell’ingresso.
“HAKU-SAN!”
“Signora?”
“Me ne vado.”
“Subito? Ma come…”
“Non posso stare un minuto di più in questa casa, se ci fosse stato mio marito non ci sarebbero stati problemi, ma così no. Vado a prendere il treno e torno a casa.”
“Saranno dieci chilometri da qui alla stazione!”
“Chi se ne frega. Ci si vede Haku-san.”
Con queste parole sbattè la porta e si avviò verso la stazione.

Meiko arrivò a casa di sera, il viaggio era stato lungo e complicato, non si era mai fermata e non aveva avuto nemmeno il tempo di avvertire Shinichi del suo arrivo.
Prima ancora di entrare si accorse che l’appartamento era buio e silenzioso. Aprì la porta con cautela; forse Nacchan non era in casa, o forse era già andato a dormire, anche se questa ipotesi era meno probabile, dal momento che non era tanto tardi.
Meiko sospirò, avrebbe desiderato vedere il marito subito, si sarebbe rassegnata ad aspettarlo. Non appena mise piede sulla soglia, notò solo quello e nient’altro: le scarpe di Shinichi abbandonate nell’ingresso. Nacchan era a casa! Doveva subito correre ad abbracciarlo, a costo di svegliarlo, se stava dormendo. Si precipitò in camera e spalancò la porta.
“Sorpresa! sono torn…” la frase le morì tra le labbra. Le si presentò una scena che non avrebbe mai dimenticato. Shinichi era a letto, ma non era solo, con lui c’era un’altra persona. E non stavano certo dormendo.
Meiko rimase attonita di fronte alla scena, distinse gli occhi allarmati di Shinichi, vide che protendeva un braccio verso di lei, come per tranquillizzarla.
“Torno domani.” Disse Meiko, senza capire quello che diceva. Si voltò e camminò meccanicamente verso la porta dell’appartamento. Aveva già fatto un passo fuori dall’appartamento quando si sentì afferrare le spalle e fu ricondotta dentro casa.
“Lasciami, non voglio rimanere qui. Mi fai schifo, levami le mani di dosso.” Aveva sibilato Meiko, mentre Shinichi la portava in cucina.
“Hai proprio ragione, faccio schifo. Ed è proprio per questo che, se ci deve essere qualcuno che se ne va da casa, quello devo essere io. Preparo le valige e me ne vado. Non avrei proprio voluto che tu venissi a conoscenza della cosa in questo modo.”
“E come sarei dovuta venire a saperlo? Dopo essere stata invitata al vostro matrimonio? Dimmi almeno chi è… anzi no, non voglio nemmeno saperlo.”
“Meiko, so che la cosa ti ha sconvolta, ma ti posso assicurare che anche io lo sono e faccio ancora fatica ad accettarlo. Io ti voglio bene, ma come ad una cara amica, o a una sorella.”
“Non riesco a capirti, non mi sembra di essere una cozza, se fossi obesa, storpia, lebbrosa, non lo so… cos’ha lei più di me?”
“Lei?”
“Sì, lei, quella che era a letto con te.”
Shinichi sudava freddo, allora Meiko non aveva capito niente. Stava pensando a cosa dirle, quando improvvisamente la donna scoppiò in lacrime. Meglio: avrebbe guadagnato tempo. La strinse tra le braccia per consolarla. Le avrebbe spiegato tutto con calma, dopo. Aveva un altro problema da risolvere: il suo ragazzo in camera da letto.
All’improvviso Meiko smise di piangere, si staccò da Shinichi “Dannazione, voglio sapere chi è quella stronza.”
Con un balzo fu in corridoio e fu qui che si scontrò con un ragazzo.
“E tu chi saresti?” Meiko lo spinse di lato “Be’ non mi interessa, spostati, devo andare a uccidere quella disgraziata.”
Shinichi si avvicinò trafelato alla moglie, il suo sguardo incrociò quello allarmato del ragazzo. Meiko tolse la mano dal braccio di quest’ultimo, di scatto, con inquietudine, non appena notò quello scambio di occhiate. Poi udì il tono di voce fermo di Shinichi, quello che le stava Meiko devo dirti una cosa dicendo Non c’è nessuna no, no, era donna. impossibile Io sono perché il pavimento Omoss… era sempre più vicino? Meiko svenne.
Quando si riprese era sul letto, c’era anche suo marito in camera. Sorrise, sicuramente aveva già sistemato tutto: la corrente elettrica, l’acqua calda, il telefono… socchiuse gli occhi, ma lì non erano nella casa al mare, cosa ci faceva nel suo appartamento, cosa era successo… Una valigia aperta sul letto, Shinichi che la riempiva, Meiko si tirò su di scatto.
“Dove vai?”
Shinichi tenne gli occhi bassi, non osava nemmeno guardarla tanta era la vergogna, ridacchiò imbarazzato.
“La colpa è mia.”
“Cosa?”
“Ma sì Meiko, mi assumo tutte le responsabilità. Divorziamo. Ti lascio tutto, anche la casa.”
“No.”
“Eh? Se preferisci la vendiamo, in effetti è grande per te sola.”
“Io non voglio che tu te ne vada.”
Shinichi la guardò negli occhi finalmente, sorrise di gratitudine.
“Ti ringrazio, ma non cambierebbe nulla. Posso stare qui qualche giorno, ma prima o poi mi manderai via. Preferisco andarmene subito.”
“Non voglio che tu te ne vada,” Meiko fece una pausa “mai.”
Shinichi stava per ribattere, ma Meiko continuò “Non sono in grado di rimanere da sola. Nacchan, non ti rendi conto che tu rappresenti tutto per me? Per venire via con te ho lasciato il mio mondo, adesso non sarei in grado di vivere senza di te. Non avrei mai il coraggio di tornare dalla mia famiglia.”
“Capisco.” Shinichi stette in sospeso un attimo, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Però devi capire che ho delle esigenze. L’hai visto tu stessa: io amo quel ragazzo, voglio stare con lui.”
Meiko si chiese all’improvviso da quanto tempo andasse avanti quella storia, scosse il capo.
“C’è spazio anche per lui qui.”
“Co… cos… a?”
“Ma sì, non mi interessa con chi tu stia, l’importante è che tu non te ne vada da me.”
Avevano parlato tutta la notte per mettere a punto quell’abominevole patto e adesso, dopo sette anni, Meiko era ancora in cucina a pagarne lo scotto.
“Viviamo insieme, ma dormiamo in camere separate. Potremo frequentare altre persone. E farò sempre in modo che non debba mancarti nulla, mi impegno a mantenerti e ad aver cura di te.” Finchè morte non ci separi.
Il ragazzo che aveva incontrato Meiko quella sera entrò a far parte della schiera assieme a Daijiro, Akira, Ken, Shingo, George, Mike, Svenn per non parlare dei vari Alex e Nick, fino all’infaticabile Pedro. Shinichi amava davvero quel ragazzo.

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1) Giovanni Boccaccio, Decameron
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4)Ödön von Horvath Gioventù senza Dio