Per Coloro Che Verranno

Capitolo quinto
NON TUTTO CIÒ CHE E' SACRO E' DIVINO

"Sei felice, ora?".


Ancora una volta la notte calda dei monti proibiti accoglie la danza immobile della donne senza nome.
Ancora una volta Shun abbandona silenzioso la sua dimora per raggiungerla.

La donna è seduta sull'erba colorata dal blu gentile dell'oscurità, osserva l'etere, malinconica, sofferente. Sente il suo animo schiantarsi contro qualcosa che nemmeno lei sa controllare e sa che non è possibile, che dovrà allontanarsi da Shun, da quest'uomo puro, incorrotto, per impedirgli l'errore, per non fargli perdere la vita inutilmente.
Inutilmente davvero?
"Perché vuoi raggiungermi anche questa notte, giovane saint? Non sai che è l'ultima? Non sai che è notte fatale per me?".
Ma già i pensieri scemano: il cosmo di Shun, soffocato, nascosto, è comunque percettibile per lei.
"Bentornato, saint", la donna si rivolge a lui senza accennare ad alcun movimento.

Quante volte si sono incontrati, dal giorno in cui le catene videro in lei un nemico e lei vide in Shun la purezza?
Per un mese la Luna nella costellazione dei Gemelli li ha protetti abbracciandoli nel suo silenzio privo di vita.
Era stato lui a cercarla, a sperare di rivederla, a tornare nel luogo del loro primo incontro. Era stato lui, ma lei già sapeva che lo avrebbe rivisto, troppo violenta era stata la reazione di Mu a quel loro conoscersi: ancor prima che si rivedessero per una seconda volta, Mu conosceva il suo animo e comprese di un sentimento che non sarebbe dovuto mai nascere ma che ora era impossibile placare.
Era stato lui a cercarla, ma già sapeva che la avrebbe ritrovata, lì, seduta nello stesso luogo, con la medesima maschera triste di inespressività.
Per tutti quei giorni lei ha raccontato storie, miti antichi che narrano la storia di lui nel sacrificio della regina Andromeda, la storia del Drago Divino e della sua scaglia sacra, quella di Leda madre dei Dioscuri posseduta da Zeus in sembianze di Cigno. E ancora il mito di Prometeo e quello della nascita di Artemide.
Shun aveva ascoltato il tintinnio opaco della voce di lei come se fosse un dono prezioso e ineguagliabile; la osservava parlare mentre la cascata nera di capelli pastosi le ricadeva sulle spalle.
Tante volte avrebbe voluto giocare con le sue dita tra quei fili preziosi, tante volte aveva desiderato conoscere lei e non solo quelle storie che sembravano non avere senso e ne avevano fin troppo.
Tutto il senso era in quelle storie che lei intesseva per lui. Tutto. Ma lui non poteva capirlo.
E ora?
Ora è l'ultima volta in cui è concesso loro di incontrarsi e Shun, inconsapevole, non sa spiegarsi questo senso di vuoto incolmabile che opprime il suo animo.

"Temevo di non trovarti questa notte", la voce di Shun è spezzata da un timore soffocato.
"Perché?", gli domanda volgendo a lui il viso coperto e le bende ancora stringono e imprigionano i capelli.
Non risponde, si siede accanto a lei e osserva le stelle. Non si accorge che lei sta sciogliendo i capelli fin quando non li sente ricadere sulle sue braccia nude, morbida, meravigliosa carezza.
"Posso addormentarmi con te accanto, Shun?".
Non capisce. Non capisce il motivo di quella domanda, il perché dell'inflessione malinconica che la accompagna. Eppure si siede appoggiando le mani dietro di sé e lei appoggia il suo capo leggero, misterioso, sulle sue gambe forti e insieme delicate, protettive.
Il ragazzo riesce a rimanere in silenzio per un tempo indefinito, confortato e colmato da quel contatto, unico, mai provato se non il giorno in cui si sono incontrati per la prima volta. Ma allora era desiderio di proteggere un essere umano, ora è desiderio di proteggere lei. Di amarla.
"Mi stai dicendo addio, non è vero?".
Può sentire le lacrime di lei, il saint?
"Perché?".
"Shun… non cercare di sapere. Farebbe solo più male. Non sei in pace, ora? Non puoi placare il tuo animo e addormentarti con me?".
"Non hai più storie da raccontarmi?".
"Anche quelle finiscono. Tutto finisce".
"Quindi anche questo nostro essere qui finirà… dimmi il tuo nome".
"Non ne ho uno".
"Non ha senso!", il tono tradisce un moto nervoso che Shun tenta di controllare.
Anche Shiryu disse la stessa cosa. Davvero impensabile che lei non abbia un nome. Per questo lo ha. Semplicemente non vuole dirlo, perché non dovrebbe essere qui, perché non può rischiare la vita di Mu.
"In fondo ne ha, saint. Ogni cosa ha un senso… forse anche il nostro esserci incontrati, le tue catene che mi videro nemico, il tuo tornare… forse invece tutto questo davvero è privo di significato e non avrebbe dovuto essere".
Shun sente il corpo di lei abbandonato sul suo, il contatto gli mostra invisibile la sua natura di donna: le bende strette sul petto non impediscono al saint di coglierne la morbida flessuosità, la maschera non priva di nulla la bellezza di questa fanciulla che sembra esistere solo perché gli è di fronte.
"Donna… -dice cedendo all'istinto di immergere le mani nei suoi capelli e accarezzando delicato la sua nuca- perché procuri tanto dolore al mio animo? O forse sono io davvero solo un debole e non riesco a sopportare il tuo distacco… come puoi dire che noi… che noi non avremmo dovuto essere?".
La ragazza si solleva di scatto dal tocco di lui e si abbraccia le ginocchia nascondendo il viso tra le gambe: i capelli ricadono in onde scomposte.
"E ora che sei tu a colpirmi con crudeltà ti senti appagato?".
"Perché parli così? non voglio ferirti… se tu prestassi fede alle mie parole sarei pronto a giurare che il tuo dolore mi strazia ancor più del mio… se davvero sono dolori…".
"Che cosa vuoi dire?", domanda lei senza allontanare il viso dalle ginocchia.
"Voglio dire che… che forse… forse non abbiamo un dolore diverso, ma è lo stesso dolore che ci attraversa entrambi. Con uguale intensità".
La donna finalmente accenna un movimento, leggera si siede tra le gambe di Shun: i loro volti sono a pochi centimetri, ma lei sola può vedere.
Shun sente per la prima volta la vita in lei, non è un cosmo, non sembra. È comunque energia, pulsa di sangue e dolore da lei attraverso di lui.
"Shaka… Shaka forse cercò di mettermi in guardia proprio da ciò… ma… io non so se è giusto che un saint come me, debole, vigliacco forse, osi amare… eppure… dolce donna, io non ho potuto impedirmelo… forse Shaka avrebbe dovuto uccidermi non appena percepito questo sentimento in me… ora è troppo tardi e anche se non lo ammetti so che mi hai detto addio ancora prima che io giungessi questa notte… forse è solo egoismo quello che ha guidato queste mie parole".
La donna rimane immobile, si perde negli occhi vitali, lucidi di quell'uomo assoluto, quell'uomo che, unico, riesce a far rinascere la sua forza vitale senza che questo porti morte o distruzione.
"Non ci riesco -i pensieri sono incontrollabili per lei, di fronte a lui crolla sgretolandosi la sua forza, la sua freddezza- non riesco ad allontanarmi da questo guerriero… e non posso non farlo! Ancora questa notte e poi tutto sarà finito… mi proteggerete, gemelli divini? Mi concedete questo unico desiderio… unico in una vita intera destinata a ciò che è estraneo da me?".

Una luce improvvisa, debolissima eppure percettibile, infiamma Wasat, la stella sulla mano di Castore, nel firmamento sopra i due giovani: i loro occhi seguono il prodigio, affascinati e atterriti nello stesso momento.
"Rendo grazia", pensa dal suo animo rincuorato la donna.

"Shun… forse hai ragione… non dovevi osare l'amore, ma se questo è il tuo peccato, allora anche io dovrei essere punita… per la stessa colpa".
Shun spalanca gli occhi, sanno di infanzia quelle due stelle di smeraldo che, in contrasto con il castano compatto dei suoi capelli, illuminano la sua pelle trasparente, acquosa.
"La tua bellezza non è altro che lo specchio della tua anima…", continua in un sospiro lei.
"Tu… puoi … puoi davvero amare? Me? Me che sono solo un debole ragazzino, incapace, inutile…".
Un dito di lei si appoggia sulle labbra di Shun: "Sei forza… necessario quanto non puoi nemmeno capire… sono io che devo chiederti perdono di questo mio amore per te… chi sono io per poterlo?".
Shun si alza improvvisamente afferrandola senza violenza: come può un gesto di possesso essere così pulito, privo di forza?
"Perché non hai rancore?", gli chiede lei, ma in risposta ottiene solo che le braccia di lui accolgano il suo corpo di vetro, fragile e insieme impossibile da piegare.
"Possiamo amarci?", chiede Shun guardandola nel volto coperto, temendo la risposta.
"Shun… sei disposto a farlo senza che io ti mostri il mio viso?", la voce tradisce un dolore profondo.
Perché esistono leggi che impediscono persino a chi ci ama di vedere il vero?
"Ma… -abbassa la testa- ricordo che un giorno Seiya mi disse che le donne che portano la maschera possono mostrare il viso a coloro che amano… se tu non vuoi farlo… allora…".
"Taci! -lo aggredisce senza rabbia, c'è solo sofferenza- Io non rispondo alle leggi di Atena. Io rispondo a doveri solamente umani ora che ti chiedo questo…".
Si ferma un momento, cercando la mano di lui per stringerla e donargli un sentire assoluto.
"Ascoltami… esistono cose sacre anche se non sono divine… puoi capirlo questo? Puoi capire a cosa rispondo?".
Shun sente attraverso il contatto ciò che le parole non dicono: "Per la vita… -sussurra- Tu sei consacrata a ciò che è più sacro ancora degli dei, la vita".
Il saint percepisce come uno schianto nell'animo di lei, si avvicina le dita esili della donna al suo viso soffice nonostante le battaglie abbaino spesso cercato di devastarlo; lei si libera dalla sua stretta e pone con un gesto sfiorato sulle labbra di lui la sua domanda.
"Ho capito. E non cercherò di sapere oltre".
Non può vedere il sorriso pulito di lei sotto il bronzo, ma si lascia guidare in un luogo senza luce, quasi innaturale: in questo luogo può solo sentirla, la vista è impedita anche ad un saint.
"Qui. -la voce di lei è accogliente, gioiosa- Qui io sono protetta".
Si siede, la sente abbassarsi al suolo e si lascia trascinare dal suo tocco sussurrato: è lei ad avvicinare le mani di lui al suo corpo di donna, caldo, capace di cancellare dall'animo del saint ogni affanno inutile.
Scivola la maschera e le sue mani possono toccare finalmente il viso di lei, morbido,perfetto: lo sa perfetto pur non essendogli concesso vederlo.
Le si avvicina al volto, titubante, i loro respiri si stendono l'uno sul viso dell'altro, diventano una cosa sola e nasce il desiderio reciproco di sentirsi le labbra, la loro superficie, la loro realtà.
Desiderio presto esaudito.
Tremano le dita di Shun, per la prima volta accolte a provare la tensione sensuale della pelle di una donna e la sua mente si perde nei sospiri di lei che presto si uniscono a quelli di lui.
Se è per questo, per un sentimento tale, che ha dovuto sopportare il suo ingiusto e straziante destino, allora non ha importanza. Questo è il più grande dono in cambio della sua sorte.
E nel momento dell'unione dei loro corpi, si scioglie la loro carne, si sciolgono due anime tra loro: Shun sente la felicità, quella infinita e improvvisamente percepisce una forza inconosciuta, senza limiti apparenti.
Le stelle dei Gemelli si infiammano, ma è un attimo talmente inafferrabile.
"S…sei tu?", le domanda in un sospiro.
"Già… questo luogo di tenebre mi concede di amarti perché nessuno oltre a te può sentirlo in questo momento… il mio cosmo è solo per te, Shun".
È un cosmo strano, annientante e rassicurante nello stesso tempo, un cosmo che non sembra possibile appartenga ad una donna e poi… c'è qualcosa che rende Shun dubbioso, come se quel cosmo lui lo avesse già avvertito, in un tempo lontano. Sì. Era un cosmo molto simile: è davvero quello della donna che e tra le sue braccia? Non è forse un cosmo che semplicemente la protegge oscurandone quello vero?
Si tormenta Shun, ma non trova risposte in se stesso: in fondo chi potrebbe proteggerla? Solo tre uomini possiedono un cosmo simile a quello che ora li avvolge entrambi. Tre solamente. E due di loro sono morti.
Sono morti?

"Non tormentare la tua mente -gli dice lei appoggiandosi al suo torace umido di quella splendida fatica che hanno condiviso- ti basti sapere questo: vengo da un luogo che è insieme buio e luce, gelo e tepore. Io stessa sono contrasto vivente. E non puoi avere risposte".
Contrasto vivente. Allora esiste ancora il contrasto.

La donna si abbandona su quel torace di guerriero, chiude gli occhi, ma è solo un istante quello concesso al loro reciproco abbandono.
Scosta la testa e gli appoggia le labbra sul petto: brucia.
"Addio, Shun. Avevi ragione, infine. Ti stavo dicendo addio".
Il saint è come impedito nei movimenti, come se quel buoi innaturale avesse attraversato il suo corpo indebolendolo.
Lei è già lontana, raccolte la maschera e le vesti, torna al suo nulla. Abbandona il bosco proibito, alzando veloce lo sguardo all'universo: "Vi ringrazio…", dice mentre Wasat torna al suo abituale brillio opaco.
Sono solo lacrime. Davvero la gioia è un istante inafferrabile: due anime si sono incontrate e amate e ora… cosa le spinge a separarsi senza speranza di riunirsi?
Lei si posa leggera una mano sul ventre.
Lui, finalmente gli è possibile muoversi, raggiunge la luce e sfiora il suo petto con le dita,: brucia sotto di esse un segno che non possedeva, inciso sulla pelle. Alfa. Il segno dell'inizio.


Prima Casa.
"Sei felice ora? -chiede Mu rivolto al cielo immobile- Ora anche quel figlio è tra noi".

CONTINUA...