NON CALPESTATE I FIORI NEL DESERTO
<< non mi devi ringraziare
>> sussurrai
avvicinandomi al suo orecchio, non rispose, ma vidi chela
sua bocca accennava un sorriso
Gli sorrisi sforzandomi di non mostrare la mia debolezza
<< riposare ti ha fatto bene
hai ripreso
colore >> dissi scostandogli una ciocca di capelli
dorati che ricadeva sulla fronte, sulle palpebre chiuse,
strette per lo sforzo che gli provocava parlare
E non era più lui
non aveva più il suo sorriso da
bambino troppo cresciuto, ingenuo, impacciato, dolce
gli occhi ridenti, la sua allegria erano scomparsi, come
fuggiti da quella figura ferma sul letto
non
riuscivo quasi più a riconoscerlo il mio Gyokuran
eppure lo amavo, e non avrei mai smesso di amarlo.
Quante volte avevo pregato che quel male prendesse me al
posto suo
come ogni donna per il suo uomo malato,
come ogni madre con il suo bambino
ma le preghiere
spesso non servono, rimangono nel buio della tua stanza,
rimbombano nelle pareti fino a che non trovano una
fessura per scappare e, a quel punto, non arrivano certo
dove vorresti tu, ma si perdono nellaria
nellatmosfera.
Se davvero Mokuren si trasformasse nellaria della
terra incontrerebbe tutte le mie preghiere e dentro ad
ognuna di queste troverebbe Gyokuran
e un po
della mia speranza che lentamente ho perduto, sciolta e
divisa in piccole parti dentro tutte le mie preghiere, in
loro riponevo la mia fede, e con loro quella se ne andava
perché io sono stata capace di perdere davvero tutto
anche la speranza.
Si dice sempre che i sentimenti più forti, i sentimenti
che ti si attaccano dentro e non se ne vanno, i
sentimenti che non ti lasciano respirare, mangiare,
dormire, i sentimenti che non ti lasciano vivere sono
proprio quelli per i quali soffri
e io lo amavo, più
di ogni altra cosa nel mio piccolo universo, sopra ogni
altra cosa ero sua e allo stesso modo lui non sarebbe mai
stato mio
E soffrivo per lui, ma era una sofferenza serena,
qualcosa che mi appesantiva il cuore e allo stesso tempo
lo rendeva leggero come la neve
Come la neve di Shia
quella che cadeva dinverno,
imbacuccati dentro pesanti cappotti che ci riparavano dal
suo gelo, gli ombrelli bianchi, le giacche spruzzate di
ghiaccio e acqua
mi mancava linverno, mi resi
conto che il nostro pianeta scomparso non era mai stato
dimenticato
alzai gli occhi guardando fuori dalla
grande vetrata della stanza e mi ricordai il giorno in
cui arrivammo su questo satellite desolato, il giorno in
cui ci dividemmo le camere e Gyokuran scelse questa, con
la grande vetrata dalla quale si vede lo spazio infinito,
buio, per certi versi anche spaventoso e angosciante
solo più avanti, quando la nostra stella madre esplose,
compresi che Gyokuran aveva scelto quella camera dalla
grande vetrata che prendeva unintera parete perché
nel buio si vedeva un puntino luminoso, lontano lontano
Shia, la terra dove eravamo nati e cresciuti, la terra
che amavamo e che avevamo abbandonato per questa missione
che si stava rivelando la nostra salvezza e la nostra
condanna.
Guardai fuori e per un istante ebbi la sensazione, le
ferma certezza, che fuori da quella finestra stesse
scendendo la neve
ne percepii il freddo, la gioia,
lodore pungente, il candore
mi alzai in piedi
di scatto rendendomi conto che era solo un illusione, che
sulla Luna non poteva nevicare
<< Enjyu
>> il flebile suono della voce
di Gyokuran mi richiamò, mi voltai verso di lui spaesata
<< tutto a posto? >> socchiusi gli occhi e
gli sorrisi
<< Gyokuran
ho visto la neve
>>
FINE
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