K&K
Capitolo 14
INSPIEGABILE



La superficie lucida del tavolo rispecchiava il cielo plumbeo che, oltre la vetrata del bar, ricopriva la città di Fujisawa di una coltre malinconica e grigia. La gente camminava frettolosa, stringendosi nei cappotti per non sentire il freddo pungente e fermandosi raramente di fronte a qualche vetrina illuminata. Solo i termosifoni del locale, posti sotto le grandi finestre, sembravano donare un po’ di calore in tutta quella gelida tristezza, in quel desolante, statico pomeriggio di inizio novembre.
Le mani di Kris, appoggiate su uno di essi, risultavano quasi bianche sotto la forte luce al neon delle lampade poste sopra ad ogni tavolino.
La bocca serrata, era immobile, impassibile. Fissava il vuoto. O forse, più probabilmente, un’immagine nella sua testa…
Tom Becker, seduto di fronte a lei, chinò il capo.
“Kris…devi finire di raccontarci come sono andate le cose”.
La ragazza alzò il palmo sinistro dalle tubazioni di ferro, ma non parlò. Jude, arrivando in quel momento con due caffè espressi nelle mani, si sedette di fronte all’amica, di fianco a Tom, e appoggiò le tazzine sul ripiano. Becker avvicinò a sé una delle due, ringraziando Jude.
“Allora?”, chiese poi, stringendo una delle braccia di Kris nel tentativo di farla girare verso di sé. “Cos’è successo dopo che hai lasciato l’ufficio di Nicole?”.
Kristine esitò ancora qualche secondo, poi sollevò il viso, guardando prima Tom, poi Judith.
La giovane ragazza bruna la guardò a sua volta, preoccupata. “L’altro giorno non me l’hai voluto dire. Forse è giunto il momento di confidarti, non credi? Magari potremmo aiutarti…”.
La musica da camera, di sottofondo nel locale, ripeteva di continuo lo stesso, conosciutissimo motivo. Kris richiuse gli occhi, poi sospirò.
“Ho incontrato Price che…mi ha invitata a fermarmi a dormire da lui”, disse con lentezza.
Becker, che stava avvicinando il caffè alle labbra, per poco non lo lasciò cadere. Judith, invece, spalancò gli occhi, incredula.
“Cosa ha fatto??”, chiese ad alta voce, sporgendosi verso Kristine. “Ma lui sa che tu sei…”.
“No, no!”, la interruppe l’amica, scotendo la testa. “Non è come pensate…ora vi dirò tutto…o, almeno, quello che ricordo”.
“Ciò che…ricordi?”.
“Già”.
Tom non disse nulla, limitandosi solamente a fare un cenno col capo. Lo stesso fece Judith, che, iniziando a girare il caffè con il cucchiaino, decise di lasciar parlare l’amica.
Anche se Becker non sapeva cosa fosse successo, le parole di Kris non l’avevano lasciato indifferente…un campanello d’allarme si era acceso già da tempo nella sua mente, e ora il suono continuava a farsi più forte. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto sentire uscire dalla bocca della ragazza.
Nonostante tutto, cercò di sembrare il meno agitato possibile.
“Raccontaci”.

Kris si portò una mano alla fronte, appoggiando il gomito sul ripiano del tavolo.
“Ecco tutto”.
I due ragazzi, immobili davanti a lei, la fissavano senza parole.
“E…e da quella mattina ha cominciato a trattarti così?”, mormorò Judith.
“Sì”.
Massaggiandosi le tempie, Kristine chiuse gli occhi. Naturalmente, nel raccontare cos’era successo quella sera aveva evitato accuratamente di narrare alcuni particolari, come i suoi pensieri sui sentimenti che provava verso Price…
Non era il caso di complicare la situazione. Di complicarla con Tom.
“Evidentemente” disse ad un tratto proprio il ragazzo, “deve essere successo qualcosa…ed è proprio quello che non riesci a ricordare”. Becker si appoggiò allo schienale della sedia, posando poi il gomito su quella dove era seduta Jude.
“Ma sicuro!” gridò subito dopo l’amica, battendo un pugno sul tavolino. “E’ chiaro cos’è successo!”.
Kristine tolse le mani dalla fronte, mentre Tom la guardò.
“Cioè?”.
Judith sospirò, e giocherellando con un ricciolo scuro dietro all’orecchio alzò le spalle.
“Quasi certamente devi essere crollata, ubriaca. Oppure…oppure hai iniziato a dire e fare cose che non voglio nemmeno provare a ipotizzare…”.
Immediatamente, però, si pentì di aver pronunciato quella frase.
Becker, come colpito ripetutamente alla schiena da qualcosa di veramente doloroso, abbassò il capo, abbattuto, i grandi occhi nocciola concentrati su un pensiero facilmente intuibile…
Tom aveva da poco scoperto che la ragazza che amava da sempre aveva passato la notte a casa di Benjiamin Price…e per di più, ora c’era anche il sospetto che fra i due ci potesse essere stato qualcosa…qualcosa che però non si poteva sapere…verificare. E il dubbio faceva male più di qualunque altra certezza.
Judith rivolse un’occhiata dispiaciuta in direzione del calciatore. Era fin troppo chiaro che Tom aveva capito benissimo che Price non era un semplice amico per Kris…e di certo, Becker non sapeva nascondere al meglio i suoi sentimenti.
La ragazza dalla pelle ambrata sorrise, anche se con un velo di tristezza sulle labbra. Solo Kris non se n’era accorta…Tom Becker la amava, la amava in un modo totale, profondo, sincero. Ora, restava solo da chiarire in che modo il neoportiere nella New Team volesse bene al numero undici…
“Ehm…beh, naturalmente questa è solo una…vaga idea…”, mormorò Judith, tentando di rimediare all’errore. “Ecco, fate come se non avessi detto nulla, ok?”.
Ma Kris si era girata verso la vetrata, evitando di incrociare lo sguardo dei due amici. Se davvero…se davvero Jude avesse avuto ragione? Era una possibilità che non poteva essere esclusa. Sì, certamente era una di quelle più probabili…tra l’altro, la mattina seguente a quella serata si era svegliata con un mal di testa incredibile…
A dire la verità…
Lei…ci aveva…già pensato.

Ma non aveva voluto crederci.
Price…che ragioni aveva per comportarsi così con lei?
Cosa…era successo quella notte?
Che cosa? Più tentava di ricordare, più…stava male…
“Io…vado via”.
Kristine si alzò con uno scatto veloce, spostando indietro la sedia. Becker la guardò allarmato.
“Perché? Su, stai ancora un po’, poi ti riaccompagno io…”.
“No, non posso restare. E non preoccuparti, vado da sola, grazie”.
“Ma…”.
“A presto”.
Afferrando la giacca appoggiata sullo schienale e infilandosela, Kris salutò velocemente Jude e Tom. Percorse la sala, passando tra i tavolini abbastanza affollati, per poi arrivare alla porta e uscire.
Per qualche secondo solo la musica e il leggero brusio di sottofondo riempirono il silenzio che si era venuto a creare. Poi, dopo essersi passato una mano tra i capelli, anche Becker si alzò.
“Jude…ecco, andrei via anch’io…”.
Ma lei lo fermò. “Aspetta Tom”.
Il ragazzo faticò a voltare lo sguardo.
“Cosa c’è?”.
I profondi occhi neri di Judith erano colmi di tristezza, e lo guardavano, imploranti.
“Tu…devi dirglielo”. Si avvicinò a lui, afferrandogli un lembo della manica del maglione. “Non puoi continuare a soffrire in questo modo”.
Lui, incredulo, la osservò senza riuscire a parlare. “L’ hai…l’ hai capito?”, disse poco dopo.
Jude fece una leggera, dolce risata. “E chi non lo capirebbe? A parte Kris, naturalmente…”. Chiuse gli occhi, scotendo la testa.
“Lei non lo vuole capire. Si ostinerà a credere che, per te, è e sarà per sempre solo una carissima amica…”.
Becker evitò di continuare a parlare direttamente faccia a faccia con Judith, scostando la testa. “Lo so…”.
“No che non lo sai. Kris è molto confusa”.
“Cosa…vuoi dire?”.
Jude abbassò gli occhi, fissando il pavimento. “Senti…”, mormorò, fermandosi un attimo. Rialzò il viso.
“Io…non credo di dovermi intromettere in tutto questo, Becker. Penso che dobbiate risolvere da soli questa situazione…so che state soffrendo entrambi, e vorrei davvero aiutarvi. Ma…”.
La ragazza interruppe la frase, lasciando il braccio di Tom e abbandonando stancamente le mani lungo i fianchi.
“Ma?”. Becker afferrò uno dei polsi della ragazza.
Jude scosse il capo. “No, Tom. Dovete capire da soli quale è la cosa migliore da fare. Io non posso aiutarvi a scegliere i…vostri sentimenti. Non posso proprio”.
Il ragazzo contrasse le labbra, comprendendo, almeno in parte, il significato delle parole di Judith. Con un ennesimo sospiro, lasciò la mano della ragazza bruna.
“Non puoi chiedermi di confessarle che la amo…”, mormorò solamente, tornando a sedersi. “Io so…che la perderei…e non voglio…è l’ultima cosa che vorrei. Kris…è troppo importante, e… ”.
“E quindi ti accontenti della sua amicizia? Vuoi lasciarla a Price?”.
“No, ma…”.
“Come fai ad essere sicuro che la perderesti?”.
La domanda di Jude si udì distintamente in tutto il locale, in un attimo di silenzio assoluto. Alcuni clienti si girarono verso i ragazzi, commentando a bassa voce qualcosa. I due si guardarono, poi Tom allungò le braccia sul tavolo.
“Non lo sono, infatti. Per niente”.
“E allora?”.
“Ho paura. E mi rendo conto di non aver mai avuto tanta paura in vita mia”.
“E’ naturale”.
Judith si appoggiò con una mano sul tavolino, posando l’altra sulla spalla del ragazzo.
“Nelle partite dai tutto te stesso. Corri, combatti, lotti. Rischi. Non è forse vero?”.
L’altro annuì. “Certo”.
La ragazza sorrise. “E non vale la pena di farlo anche in amore? Gli obiettivi da raggiungere sono ugualmente importanti di quelli di una partita, mi pare…e forse anche di più. Lo sai bene”.
Becker lanciò un’occhiata stanca a Jude, sconfitto.
“Forse…sì”.
Senza aggiungere nient’altro, il numero undici restò fermo ad osservare la strada oltre la vetrata, alla sua sinistra. Improvvisamente però, scoppiando a ridere, si girò ancora verso l’amica.
“E meno male che non potevi intrometterti in tutto questo, eh? Sei proprio un bel tipo…”, esclamò.
L’altra ridacchiò a sua volta, incrociando le gambe e mettendo una mano sul fianco.
“Oh, ma dai, ho fatto solo una piccola eccezione per metterti sulla ‘giusta via’…eh eh…puoi considerarmi il tuo angioletto custode o qualcosa di simile, no? E poi voi ragazzi siete così poco svegli…ci vuole una donna per farvi capire certe cose…”.
Becker allargò un braccio, fingendosi offeso. La fissò, accigliato.
“Ah, ma sentila…”.
“E’ la pura verità!”.
I due ragazzi continuarono a ridere ancora per un po’ poi, dopo aver pagato il conto ed essere usciti dal bar, iniziarono a camminare l’uno di fianco all’altra. Jude assunse nuovamente un’espressione seria.
“Qualunque cosa sceglierai di fare”, riprese, “comunque…io non ti criticherò, Tom. Figurati, tu sei libero di prendere qualunque decisione…non ho alcun diritto di dirti come comportarti”.
Becker infilò le mani nelle tasche della giacca di pelle lucida, color seppia.
“Stai tranquilla, lo so perfettamente”, annuì con un sorriso. “Ma direi proprio che mi hai…illuminato. Non so esattamente come mi comporterò con lei, ma…di una cosa sono sicuro. Kris ora sta male, e sta male per qualcosa che non sa. Non approvo il comportamento di Price, e qualunque cosa Kristine gli abbia fatto le deve, in ogni caso, una spiegazione”.
Judith si strinse nel cappotto. “E quindi?”.
“Quindi ora andrò da lui, e lo costringerò a raccontarmi cos’è successo. Anche se…la risposta dovesse farmi male…”.
L’altra lo guardò, non troppo convinta. “Sicuro?”.
Becker socchiuse gli occhi, assorto. Ma dopo pochi secondi rialzò il capo con decisione.
Il cielo, sempre più grigio, prometteva altra pioggia. Il calciatore sentì l’aria fredda sul viso.
“Sì”
.

Price abbassò il cordless. Per un po’ lo tenne in mano, poi, sospirando, lo riposizionò sul tavolino in corridoio.
A passi lenti, quasi stanchi, arrivò in camera sua e, avvicinatosi alla sedia, buttò con noncuranza la camicia sopra la spalliera, dopo averla pigramente sbottonata.
Si sedette sul piccolo divano nell’angolo della stanza. Portando le braccia dietro la testa, decise di sdraiarsi, lasciandosi cadere pesantemente fra i cuscini. Con gli occhi spalancati, fissava il soffitto.
Freddie l’aveva appena chiamato da Parigi per avere notizie sullo stato della sua gamba, sui risultati delle partite e…per avere notizie di Grover. Lui gli aveva mentito, assicurandogli che tutto stava andando perfettamente…Kris stava facendo grandi progressi, e l’incontro con la Artic era stata una passeggiata…
“Kristian è un grande portiere, Freddie. Farà molta strada…”.
Era questo che aveva detto. Aveva elogiato Kris.
Benji socchiuse gli occhi. Senza che se ne fosse accorto, la sua espressione era cambiata. Serrò le mascelle, voltandosi violentemente da un lato e portando vicino a sé un braccio per coprirsi il viso.
“Kristian Grover”, disse a voce alta. Il nome risuonò nella camera, disperdendosi però subito nell’aria ferma.
Rimase ad ascoltare, senza sapere bene cosa. Forse, aspettava solo di sentire un suono, un qualunque suono che lo facesse sentire meno solo. Già…il silenzio non era mai piaciuto a Benji. Perché nel silenzio si era costretti a pensare. Non sopportava il dover fare i conti coi propri ricordi, con le proprie colpe. E ora più che mai non avrebbe voluto farlo…
No, non avrebbe voluto pensare a nulla…
Perché gli risultava così difficile? Perché…perché tutto, ora, gli sembrava così…così dannatamente complicato?
Già…fare i conti con se stesso…con il vecchio Price…il Price che aveva trattato male Kristian.
Raccolse le gambe sullo stomaco nudo, stringendosi ancora di più la testa fra le mani.
Perché quella sera era accaduto?
Penso proprio che diventeremo buoni amici...
Chiuse gli occhi. Perché soffriva in quel modo?
Era rabbia? O…qualcos'altro?
Sono contento di averti parlato di queste cose...è strano, ma non sono mai riuscito a dirle a nessuno, prima di adesso. Non so perché, ma sento di potermi fidare ciecamente di te. Sarà dovuto al fatto che noi due ci somigliamo molto...
"Io credevo in te". Price strinse le dita, afferrando violentemente la stoffa del divano. "Io…mi fidavo".
…E’ vero, avevo i miei compagni di squadra, certamente erano miei amici, ma…mi ostinai a non affezionarmi a loro.
Non volevo…avevo sempre contato solo su me stesso, e volevo continuare a farlo.
Credevo di non avere bisogno degli altri.
Da solo…stavo bene. Ne ero assolutamente convinto
Un dolore lancinante iniziò a martellargli le tempie.
Allora…è stato tutto un errore? Tutto quello che sono diventato è stato…un errore?
L’isola…l’isola che ero…
Forse è davvero meglio restare soli?
“Tu mi avevi capito. E io…ti avrei dovuto capire, ma…è stata una delusione troppo, troppo grande…”, mormorò.
Price non credeva che il vecchio Benji, il vecchio Super Great Goal Keeper, potesse riprendere il sopravvento sul suo corpo. Non dopo tutti quegli anni…
E la cosa peggior e era che…non sapeva come liberarsi dalla sua influenza.
Non poteva scacciarlo ancora. Non poteva più, ormai. Perché non c’era più nulla che potesse farlo….
Delusione, orgoglio…forse rabbia. Ogni cosa era tornata ad avere il controllo su di lui, proprio come un tempo. Quel Benjiamin Price che credeva sconfitto da tanto, che credeva aver reso inoffensivo, ora era risorto.
Si accorse di odiarlo. Di un odio profondo, totale. Non aveva mai odiato tanto nessuno come, in quel momento, se stesso.
Le parole dette da Kristian quel pomeriggio gli tornarono in mente…
Non devi, non devi assolutamente pensare di essere una persona vuota, perché non è affatto vero.
“Ti sbagli”, mormorò il portiere, scotendo la testa. “Lo sono…lo sono…lo sono sempre stato, e nessuno potrà cambiarmi. Non l’ hai fatto tu, non l’ ha fatto la New Team, non l’ ha fatto il calcio…nessuno…nessuno l’ ha fatto…”.
Rimase così, sdraiato e assolutamente immobile per diversi minuti. Lo sguardo era vacuo, le braccia dai muscoli perfettamente torniti leggermente piegate, a poco distanza dal viso. I profondi occhi neri, solitamente sicuri e fieri, illuminati da quella luce che solo Benjiamin Price da sempre possedeva, apparivano ora spenti, dominati da una tristezza che mai, mai era apparsa sul volto del portiere.
Ad un certo punto, però, girò lentamente il capo, rivolgendo un’occhiata alla camera. Il punto in cui, quella notte, erano stati stesi i due futon ora era, naturalmente, sgombro. Improvvisamente, il ragazzo si sollevò violentemente dal divano, fissando il tatami quasi in trance.
C’era anche un altro motivo.
Ed entrava in contrasto con il vecchio, insopportabile Price.
No, non poteva essere…
Benji spalancò gli occhi, coprendosi la bocca con una mano.
Era qualcosa che…
No…non era ammissibile. Non poteva neanche lontanamente essere considerato.
Non poteva…
Strinse i pugni, mentre gocce di sudore gelato gli imperlavano il viso.
Questo…questo non poteva essere vero!
“No! Mi rifiuto di crederlo!”, gridò nel silenzio. Si portò nuovamente una mano al viso, coprendolo. Non anche questo. E’ troppo, è davvero troppo…
“Tu…”, sussurrò a se stesso, cercando di convincersi. “Tu…sei Benjiamin Price. Sei Price. E tu…conosci Benji Price”.
Si avvicinò alla finestra, tentando di camminare senza perdere l’equilibrio. Si sentiva male…le forze gli venivano meno…cosa…cosa diavolo stava succedendo?
La fredda luce di quella triste giornata autunnale investì il corpo abbronzato del numero uno della New Team.
“Forse questa non è la realtà. Forse…questo non sono io…”
Gettò un’occhiata fuori. Il mondo sembrava quello di sempre, ma…le sensazioni…
Quelle…quelle no.
Erano…impensabili…
“Kristian Grover…chi sei?”.
Pronunciò la domanda quasi con timore, anche se cosciente che l’interlocutore non era presente, e che non gli avrebbe mai risposto. Abbassò gli occhi, rigirandosi verso la stanza. Qualcosa non andava…qualcosa…non quadrava…
Tutto si faceva sempre più complicato.
Perché si sentiva diviso in due?
E non si riferiva ai due Benji…no…
Era qualcos’altro.
Ma…si rifiutava di crederci. Era certo che non potesse essere vero…anche se…
Qualcosa gli suggeriva il contrario. Qualcosa che non poteva non essere attendibile.
Con un filo di voce, emise due sole parole.
“Mio…dio”.
Ormai il sudore gli stava colando giù per il collo. Cercò qualcosa per asciugarsi, ma, nonostante tutto, quella sensazione alternata di caldo e di freddo non accennò a diminuire. Si passò una mano fra i lucenti capelli neri, altrettanto umidi.
Basta…
“Ehm…mi scusi, signorino…”. Ad un tratto una voce conosciuta, proveniente da dietro lo shoji, scosse Price dai suoi pensieri. Il ragazzo alzò ancora il capo, ma solo dopo qualche secondo riuscì a rispondere.
“S…sì Rose?”, mormorò tornando in sé, anche se con molta difficoltà.
L’anziana signora fece capolino da dietro il pannello scorrevole, e dopo un breve inchino, parlò.
“Mi perdoni se la disturbo, ma ha una visita. Si tratta di Tom Becker, e mi sembra anche che abbia molta fretta di parlarle”.
Benji ci mise un po’ per comprendere le parole della governante. Poi, con un sorriso tirato, annuì.
“Sì…certo, digli che arrivo subito”.


Decine di coppe dorate e argentate, allineate su un’antica credenza presente nel soggiorno, brillavano sotto il chiarore delle luci artificiali. Tom Becker le osservava attentamente, rendendosi conto di non averle mai notate in tutte le volte che era venuto a casa di Price. L’amico era senza dubbio il migliore portiere che Tom avesse mai conosciuto, ma quei premi confermavano la superiorità di Benjiamin Price nel calcio giovanile, e non solo nazionale. Dappertutto l’appellativo di ‘Super Great Goal Keeper’ era già conosciuto come soprannome dell’imbattibile Benji Price…in Germania il ragazzo aveva conquistato una notevole fama, e in Giappone era considerato una vera e propria leggenda. Ma Becker era più che certo che la carriera del numero uno della New Team era solo agli inizi…
“Quante ne abbiamo passate…”, mormorò il calciatore, con un lieve sorriso dipinto sulle labbra. Sfiorò con le dita il vetro che proteggeva una foto incorniciata appesa al muro, poco distante dalle coppe.
Un campo assolato. Un’estate…un’estate lontana. Holly, Bruce, Paul, Ted…e tutti gli altri…c’erano tutti…un gruppo affiatato, formato da dei ragazzini. Poco più che dei bambini…
Benji era in piedi a braccia conserte, di fianco a Marshall. Il sorriso ironico gli illuminava il viso, e lo sguardo, dagli occhi scuri, penetranti e pieni di aspettative verso il futuro, guardava fiero verso l’obiettivo.
E poi…c’era anche lui, inginocchiato di fianco ad Hutton. Sorridevano entrambi…sembravano…davvero felici…
“Sesto Campionato Nazionale di calcio giovanile, New Team, 1982”, riportava la targa in metallo, sotto l’immagine. Gli occhi nocciola di Tom si fecero più sottili, mentre la mente veniva pervasa dai ricordi.
Era passato così…così tanto tempo. Il suo primo campionato…il primo anno che aveva trascorso a Fujisawa…
“Eravamo così ingenui”. Abbassò la mano dalla foto, senza però smettere di guardarla. Dietro alla nostalgia per quegli anni spensierati, quando tutto era solo all’inizio, Becker avvertì, però, anche un retrogusto amaro.
“Adesso non può più essere come allora”, sussurrò tristemente, abbassando lo sguardo. “Ora non c’è più solo il calcio. E i sogni non sono più riposti unicamente in una sfera di cuoio…”.
Ad un tratto, un rumore di passi rimbombò nella sala silenziosa, costringendo Tom a voltarsi e ad abbandonare i suoi pensieri. Alzò gli occhi.
Benji stava scendendo i gradini dello scalone, le mani nelle tasche nei jeans azzurri. Indossava una felpa bianca con una riga orizzontale blu sul petto, sotto la cerniera del collo che terminava, sulla schiena, con un cappuccio.
I corti capelli neri erano un po’ scompigliati, come se si fosse appena svegliato. Il viso, insolitamente pallido, guardava nella sua direzione con un’espressione stranita, vagamente assente.
Appena Price sembrò accorgersi di Becker gli sorrise, anche se era evidente che qualcosa non andava come sempre. Tom lo notò immediatamente.
“Ehi, Benji”, lo salutò, alzando velocemente un braccio. “Scusa se sono passato senza avvisarti”.
Lo fissò per qualche secondo, tentando di capire cosa stesse pensando, cosa ci fosse oltre quello sguardo assorto. Ma proprio mentre stava per domandarglielo, il portiere si avvicinò, distogliendo gli occhi da quel misterioso pensiero.
“Ciao Becker”, esclamò, fermandosi a pochi passi da lui. “No, figurati…dimmi pure. E’ successo qualcosa?”.
Tom inclinò il capo, continuando a fissarlo.
“Non esattamente. Però…vorrei parlarti di una cosa. Ti dispiace se ci sediamo?”.
Il ragazzo, un po’ sorpreso nel vedere il numero undici della New Team così serio, annuì lentamente.
“Oh, no…no di certo. Accomodati”.
Si sedettero in salotto, lo stesso salotto dove, poche sere prima, Grover e Price avevano parlato. Per un attimo Benji sembrò esitante, poi si accomodò sulla poltrona, accavallando le gambe.
“Di cosa mi vuoi parlare?”.
Becker si sedette di fronte a lui. Non aveva idea di come affrontare la discussione, e in realtà non si era posto nemmeno il problema, prima di arrivare da Benji. Di certo non poteva esordire dicendo che non sopportava vedere Kris in quello stato…anche se…anche se avrebbe voluto farlo…
“Ecco…io…”.
“Sì?”.
“Vorrei…voglio sapere…perché ti sei comportato in quel modo, l’altro giorno”.
Price puntò gli occhi su Becker.
“Cosa intendi?”.
Tom deglutì. Era il momento di sapere cosa era successo…davvero.
Benji non si sarebbe potuto rifiutare di rispondere…o almeno, così credeva…
“Con Grover. Perché lo tratti in quel modo. Lo voglio sapere…non mi sembra giusto umiliarlo come hai fatto alla fine della partita con la Artic, e soprattutto senza una dovuta spiegazione”.
Strinse le dita appoggiate sulle ginocchia, chiudendole a pugno. Sentì i battiti del cuore farsi più veloci. Non aveva mai parlato in un modo simile a Benji…per un attimo, dubitò perfino che quello che stava agendo attraverso il suo corpo fosse davvero lui…
Adesso non può più essere come allora.
Già. Quegli allegri, innocenti undicenni…non potevano più tornare.
Siamo cambiati. Tutti…
Perché tutti desideriamo qualcosa che ci renda felici…
E spesso, per averla, bisogna saper lottare.
Ti accontenti della sua amicizia? Vuoi lasciarla a Price?
Kris…
“Non voglio più…vederti piangere…voglio tenerti con me…per sempre…”.
Bisogna rischiare in amore. Combattere e rischiare, ricordatelo.
Si schiarì la voce, cercando di allontanare le parole di Judith dalla mente. Sentiva lo sguardo di Price su di sé, ma non osava provare a sostenerlo. Tenne il capo basso, fisso sul tappeto della sala.
“Quindi…sarà il caso che ora me lo spieghi, oppure che tu vada a dirlo direttamente a lui, non m’importa. Devi però fornire una motivazione convincente, Price”.
Per parecchi secondi nella stanza non si udì nient’altro che il respiro dei due ragazzi, alternato al rumore delle lancette di un grosso orologio fissato al muro. Tom alzò piano gli occhi. Perché Benji non gli rispondeva?
“Becker…”.
Il portiere lo guardava. Ma non lo guardava né con rabbia, né con freddezza. Era…era uno sguardo agitato…agitato e….triste. Come…se fosse perso in qualcosa che andava al di là della sua comprensione, qualcosa…di cui non riusciva a capacitarsi…e che lo faceva soffrire…terribilmente.
“…tu conoscevi già Grover, vero?”.
Tom annuì, spaesato dalla reazione dell’amico.
“Sì…l’avevo…incontrato a Kyoto, anni fa”.
“E non hai mai notato qualcosa di strano in lui?”.
“Come?”.
“No…lascia perdere”.
Becker sentì un nodo formarsi in gola. A cosa voleva riferirsi, Price, con quella frase?
No, non poteva rinunciare adesso. Doveva arrivare fino in fondo a quella storia…doveva sapere…ora più che mai, doveva conoscere la verità…era indispensabile…
“Benji”, si decise quindi a continuare. “Kristian…ecco…lui mi ha raccontato di quella sera. Ma non ha saputo dirmi cosa è successo quella stessa notte, dice…di non riuscire a ricordarsene. E io…io sono sicuro che esiste un nesso fra ciò di cui non mi vuoi parlare, quella serata e il tuo comportamento nei confronti di Grover”.
Silenzio.
“Cos’è successo quella notte?”.
Ancora una volta. Silenzio.
“Price!”.
Tom si era alzato, e adesso, in piedi davanti a Benji, lo fissava con rabbia.

“Perché non vuoi parlare? Non capisci che Kris ora soffre a causa tua?”.
Il ragazzo, ancora seduto in poltrona, teneva un gomito appoggiato al bracciolo, e la mano, aperta, copriva gli occhi. Era immobile.
“Price…?”.
Stava…stava davvero male come gli era parso, allora?
“Tom…”, mormorò con un sussurro il portiere, non accennando però a muoversi. “Sei…sicuro di volerlo sapere?”.
A quelle parole, il numero undici della New Team si irrigidì.
Sicuro?
Anche Jude glie l’aveva chiesto. Ma…aveva già dato anche una risposta. Ed era quella definitiva.
“Sì”.
Price allontanò le dita dal viso, voltando la testa verso l’amico. Il pallore che Tom aveva notato prima non era sparito e, anzi, adesso sembrava addirittura essersi accentuato.
“Va bene. Allora…ti dirò tutto”.

Il Super Great Goal Keeper si appoggiò all’intelaiatura della vasta vetrata della sala. La poca luce che da dietro le nuvole scure, cariche di pioggia, riusciva a filtrare, passava attraverso la barriera trasparente.
Ora…era venuta la parte più difficile…
“…poi…lui…mi ha continuato a toccare, e…mi ha detto…”.
Esitò. Di certo, raccontare a Becker quello che era successo con Grover non poteva non metterlo in imbarazzo…
Ma…se fosse stata solo quella la causa della sua agitazione…sarebbe stato consolante.
Deglutì, con uno sforzo estremo.
“…che…che mi amava”, concluse.
Ci volle un po’ perché l’effetto di quelle parole colpisse Tom, perché le comprendesse davvero. Ma quando queste entrarono nella testa del ragazzo, fu la fine.
Ciò che non avrebbe mai voluto sentire, alla fine era arrivato.
E gli era stato gettato addosso violentemente, come uno schiaffo…il più doloroso.
Fermo a pochi metri di distanza dal portiere, per poco non si sentì mancare. Si portò una mano alla testa, mentre tutto, intorno a lui, iniziava a girare…
Riuscì per fortuna ad avvicinarsi al divano, e a sedercisi, prima di credere di cadere a terra.
No…no…
No, non può essere vero…è solo un sogno…
“Kris…non puoi averlo fatto…non puoi…”.
Price, in piedi davanti alla finestra, si girò verso di lui.
“Tom…io…credo che ora potrai comprendermi. Scusa, forse è stato uno shock anche per te apprendere una notizia simile, ma…Kris non è quello che credevamo che fosse. E io…non posso fare finta che non sia successo nulla”.
Il ragazzo dai lisci capelli castano chiaro, però, scoteva il capo.
“Senti…”.
“Non puoi trattare così Grover solo per questo”.
“Che…che cosa?”.
Tom rialzò la testa con decisione, lanciando un’occhiata gelida in direzione di Price. L’amico lo fissò sorpreso, non sapendo cosa rispondere. Che…che cos’era quello sguardo sul volto di Becker?
“C’è qualcos’altro. Sono sicuro che non è l’unico motivo. Tu e Kristian eravate troppo legati, e nemmeno dopo una cosa simile potresti cambiare così radicalmente il tuo atteggiamento verso di lui. Riponevi tutte le tue speranze in Grover, e ancora adesso lo fai”.
Benji rimase in silenzio.
“Come mai sei così sicuro?”.
“Perché conosco bene sia te che lui. E ho visto quanto eravate diventati amici. E’ innegabile che fra di voi c’era un feeling…ma non parlo di un affiatamento che può legare una coppia. Era…qualcosa che andava oltre, qualcosa…che non ho mai visto prima fra nessuno”.
Tom si portò una mano alle labbra. Il sudore gli colava giù per il viso, mentre un caldo incredibile iniziava a farsi sentire, soffocante. Che cosa…che cosa aveva detto? Lui…aveva ammesso che tra Grover e Benji c’era sempre stata un’intesa che lui…non avrebbe mai potuto raggiungere con Kris?
Ma Price sembrava essere rimasto come trafitto dalle sue parole. Fece qualche passo in avanti, fissandolo.
“Hai ragione”.
Tom lo fissò a sua volta. Aveva sentito bene?
“Cioè?”.
Il ragazzo scostò lo sguardo, abbassandolo per un attimo. Sembrava indeciso.
“Ecco…fra me e Grover c’è qualcosa che ci lega, è vero…e me n’ero accorto già da tempo io stesso, ma…non è solo questo…”.
“E cosa ancora?”.
“Beh…il fatto è che…hai ragione nel dire che c’è un altro motivo per il quale ho trattato Kristian a quel modo”.
In quel momento, Tom non poteva sapere che la risposta di Price l’avrebbe completamente spiazzato. Nonostante tutto, infatti, poteva ancora sperare di riuscire a conquistare Kris…lei per Benji sarebbe stato solo Kristian dopotutto, e non Kristine. Lui non ricambiava i sentimenti della ragazza…come poteva? Kristian era un maschio…
“E quale?”.
Price si voltò. Non sarebbe mai riuscito a confessare la verità guardando in faccia Becker. E non avrebbe mai pensato che la verità potesse essere quella…
Batté con violenza un pugno sul vetro.
“Quella notte, quando Kris mi ha toccato, mi sono sentito…attratto da lui. E non posso negare che…che ancora adesso lo sono, ma…non riesco a capirne…il perché”.


FINE 14° CAPITOLO