K&K

CAPITOLO 12
INIZIANO I GUAI


Kristine si rese conto di non essere nella sua stanza nel momento in cui, socchiudendo gli occhi, vide il pavimento…o meglio, il *tatami, alla stessa altezza del suo sguardo.
E, improvvisamente, uscendo da uno stato di semi-stato a metà tra il sonno e la veglia, si ritrovò seduta sul materasso del futon, con i grandi occhi castani spalancati. La luce entrava da una finestra alla sua destra, aperta su una porzione di cielo che tristemente, quel mattino, appariva coperto e grigio.
"Ma…ma dDove sono??", si disse, agitata. "Qualcosa…non quadra nei miei ricordi…".
Lei…la sera prima…
aAveva parlato con Nicole…all'hotel…era scappata via, aveva vagato per Fujisawa, e poi…poi…
"Ah, sei sveglio", notò una voce conosciuta, di fianco a lui.
Kris Grover si voltò. Benjamin Price la fissava senza una particolare espressione, in piedi accanto allo shoji aperto. Indossava una felpa verde scuro, con colletto a zip, e dei jeans neri un po' sbiaditi. Sul capo, il suo solito cappello portafortuna. Pensandoci bene, però, era da tanto che non lo indossava...
"P…Price?", balbettò quindi la ragazza, fissando l'amico, in preda all'amnesia più totale.
Era…aA casa di Price?
Nella sua stanza??
Cosa ci faceva lìa casa di Price??
Poi, ad un tratto…
Ad un tratto si ricordò dell'incontro con il portiere…e del suo invito…
Avevano passato la serata a parlare, in quel salotto…pioveva, e poi…Benji le aveva offerto da bere…vodka. Sì, era… stata vodka.
"Sono le nove e un quarto. E' sabato, sicuramente avrai qualcosa da fare. La tua giacca è sopra la sedia, e il bagno sai dov'è…".
Benji la fissò ancora per pochi istanti, poi si voltò, richiudendo il pannello scorrevole. Kris osservò esterrefatta l'ombra dell'amico allontanarsi dietro lo shoji, poi, sempre più incredula, si stropicciò gli occhi.
Era completamente spaesata…
Non riusciva a ricordare il momento in cui era salita nella stanza del portiere. Per quanto si sforzasse, non ci riusciva…
Cos'era successo?
Quei pochi bicchieri, la sera prima, e…
Stop. Nessun'altra immagine. Si ricordava solo di non essere stata molto bene…mh, sì, sicuramente su quello non si poteva sbagliare.
"Che confusione…e che mal di testa…", mormorò piano la ragazza, portandosi una mano alla fronte. Un dolore continuo continuava a martellarle le tempie, impedendole di pensare. No, no…
Non era possibile…come poteva non ricordarsi nulla?
Si alzò lentamente, per poi, però, sbilanciarsi. Per non cadere, si appoggiò contro un muro. Si sentiva ancora male…probabilmente si trattava di un calo di zuccheri…era da poco meno di ventiquattro ore che non toccava cibo.
"Che fame…", si disse, mentre cercava di avvicinarsi alla sedia sulla quale era appoggiata la giacca della sua tuta. Se la infilò, sospirando stanca.
"Nonostante tutto, però…mi pare che la situazione sia ok…per Benji sono ancora Kristian", pensò, tornando con la mente al portiere. Si avvicinò al pannello, e lo aprì con forza. Diede un'occhiata al lungo corridoio, ma dell'amico nemmeno l'ombra. Decise allora di andarsi a dare una rinfrescata…sì, lo avrebbe cercato poi.
Dopo alcuni minuti uscì dal bagno, e attraversò il piano per arrivare, parecchi metri dopo, all'elegante scalone di marmo che troneggiava in mezzo all' ingresso. Scese i gradini coperti da un morbido tappeto blu, e cercando con lo sguardo Price, lo notò in un angolo, fermo davanti a una vetrata a fissare un punto all'esterno.
Proprio come quella sera, la sera in cui lei era venuta a casa di Benji la prima volta, il suo sguardo era triste…
Ma quella mattina…
Quella mattina i suoi occhi nascondevano un altro sentimento.
"Benji…oggi è strano", pensò Kris, guardando il portiere pensierosa. "Sembra…lontano…".
Si avvicinò piano al ragazzo, e sorridendo come meglio poteva, lo salutò di nuovo.
"Ehm…senti…", disse quindi. "Volevo ringraziarti…grazie davvero per avermi ospitato e…beh, se c'è un modo con cui potrò ricambiare, in futur…".
"No, va bene così, non ce n'è bisogno. Non mi devi ringraziare", la interruppe bruscamente Price, senza spostare il viso.
Kris rimase un attimo senza parole, interdetta, poi, alzando le spalle, riprese a parlare.
"Oh…beh…ok…comunque…io volevo chiederti anche una cosa…ecco, ti sembrerà stupido, ma…credo di avere una piccola amnesia…non ricordo più cos'è successo ieri sera, e quindi se tu…".
Ma il ragazzo la bloccò nuovamente. Come irritato, si voltò, nascondendo il viso a Grover.
"E' meglio che tu vada via, ora. Io ho molte cose da fare, e visto che domani abbiamo un altro incontro, faresti meglio a riposarti. O ad allenarti, se lo ritieni necessario".
Price rimase fermo, di spalle rispetto a Kris che, incredula, lo fissava, cercando di convincersi che quello con cui stava parlando fosse davvero Benji. Il suo tono…sembrava…così duro. Ma soprattutto…scocciato.
"Ecco…posso allenarmi qui…se vuoi, io…".
"No".
La risposta secca del ragazzo risuonò nella sala, ripetendosi più volte. Un alito freddo, anzi, gelido, parve avvolgere Kristine, che si strinse nelle braccia. Cosa…cosa era successo a Benji?
"Non ti allenerai più qui. Lo farai solo al campo, anche se probabilmente lascerò che d'ora in poi ti aiuti Becker".
"Tom? Ma tu non avevi detto che…".
"Ma ora ho cambiato idea".
"E' per colpa della gamba? Hai bisogno di altro riposo? Perché se…".
"No, non c'entra. E smettila di farmi domande".
Detto questo, Price si girò e, superandola, arrivò a passo spedito al portone.
Kristine non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi, per capire che Price lo aveva aperto.
Sì, Benji le stava gentilmente chiedendo di andarsene.
"Allora…ciao", mormorò a bassa voce la ragazza, fermandosi di fianco all'amico.
Ma Price non disse nulla. Lo sguardo, assente, era rivolto a lato, remoto, distante anni luce da lei...
L'atmosfera cupa e grigia di quel freddo mattino autunnale circondava i due ragazzi, come se niente ci fosse più, oltre a quella immensa tristezza, quel distacco. Oltre a quel dolore, che Kris sentiva crescere dentro di sé, e salire, come una marea inarrestabile…
Trattenendo a fatica le lacrime, corse via, attraversando il grande giardino della villa con gli occhi chiusi…
Basta…
Non voleva più piangere, no…
E quello…
No, no! Non era Price!
Lui non l'avrebbe mai trattata così…
Non avrebbe mai trattato in quel modo il suo…il suo amico Kristian…
Oltrepassato anche il cancello argentato, continuò a correre per qualche metro, per poi fermarsi. Si passò il dorso della mano sugli occhi. Cos'era successo? Cosa era successo a Benji? La sera prima…tutto…era andato così bene…lui…l'aveva consolata, le aveva parlato, come se davvero fosse preoccupato per i suoi problemi…
Perché allora…qual era il motivo di quel comportamento? Cosa gli aveva fatto? Cosa??
Rialzò piano la testa, e sollevò gli occhi al cielo. Minuscoli punti neri, uccelli lontani centinaia di metri, si muovevano senza fretta fra le nubi, tracciando archi continui sopra di lei. Kristine rimase a guardarli in silenzio, pensierosa.
Forse…forse aveva frainteso tutto…magari quello di Price era stato solo un momento negativo, o forse aveva ricevuto qualche brutta notizia…qualcosa di cui lei era all'oscuro. Ma sì…
Magari non era arrabbiato con lei, poteva essere stato solo un momento di nervosismo…
Certo, poteva capitare…
Iniziò a camminare. Doveva esser andata così…e, in fondo, era inutile agitarsi…avrebbe lasciato passare qualche giorno…e poi, certamente, anzi, sicuramente Benji sarebbe ritornato quello di prima, come se niente fosse mai accaduto…
Attraversò parte della città a piedi, poi, ad un angolo di una via, salì su un autobus. Si sedette in fondo, e appoggiando il capo al vetro, rimase ad aspettare, immobile, la partenza. Aveva talmente sonno, fame, e tanto, tanto mal di testa…
"Come farò ad affrontare la partita domani?", disse a se stessa, conscia di non sentirsi fisicamente ed emotivamente pronta ad un altro incontro. Socchiuse gli occhi, stanca.
"Alcune volte vorrei solo…lasciar perdere tutto…tutto e tutti…".
Il conducente attese qualche minuto, poi accese il motore. Proprio nel momento in cui stava per chiudere le porte, però, qualcuno salì di corsa e, dopo essersi scusato, si avviò a cercare un posto. Kristine, che ormai aveva chiuso gli occhi da diverso tempo, sentì solamente la voce dell'individuo…una ragazza.
Questa arrivò a metà, poi, improvvisamente, si accorse della presenza di Grover in fondo alla fila dei sedili, riconoscendola.
"Ma…ma…allora sei qui!!", gridò quindi, indicando Kris con un dito.
Lei aprì stancamente gli occhi, con la sensazione di conoscere quella voce…
"Eh?", disse, passandosi una mano sulla fronte per scostare i ciuffi castani dagli occhi. "…Judith?".
La sottile ragazza bruna davanti a lei indossava dei panta-jazz neri e attillati, e un corto maglioncino blu e azzurro, leggermente aderente. In piedi fra le due file di sedili, la fissava con i suoi grandi occhi, neri e luminosi come perle rare.
Sì, un bellissimo sguardo, che sapeva però trasformarsi anche nel più severo mai visto…proprio come in quel momento.
"Ero preoccupatissima per te!", escalmò. "Ma si può sapere dove sei stata stanotte? Ti stavo cercando per tutto il paese, e solo per pura fortuna ti ho vista seduta qui, da dietro il vetro!".
Kristine sgranò gli occhi, e, terrorizzata, si raddrizzò, ignorando completamente le parole dell'amica.
"Non dirmi che Alex ha telefonato a casa tua?? Cosa gli hai detto? Cercava me, vero? Oddio, e ora…", iniziò a disperarsi, portandosi per l'ennesima volta in poche ore le mani sugli occhi.
"Calmati, Kris, tuo fratello non sa nulla", disse invece Jude improvvisamente calma. "Stamattina, è vero, ha chiamato chiedendomi di parlare con te, ma ho capito immediatamente che dovevi avergli raccontato una balla…gli hai detto che avresti dormito da me per la notte, giusto? Ho ragione?".
"Beh…ecco, sì".
"Sai, non è che io sia perspicace. Solo, non c'erano molte ipotesi. Come al solito hai lasciato spento il cellulare, eh? Beh, comunque…ho mentito, dicendogli che al momento eri in bagno e che stavamo per uscire…".
Kristine guardò l'amica negli occhi, prudente, per paura di un rimprovero.
"…grazie. E…cosa voleva dirmi?".
"Che oggi si ferma a pranzo da un suo compagno d'università, e che quindi non tornerà prima delle tre".
"Ah, ok".
Jude sospirò, per poi avvicinarsi a Kris. Si sedette accanto a lei, e aprendo le braccia, appoggiò gli arti affusolati color ambra sulle spalliere dei sedili. Incrociando le gambe, girò il capo verso la ragazza.
"Eh già, proprio una bella balla, Kristine. Sai, credo proprio che tu debba raccontarmi qualcosa".

Tom richiuse l'anta dell' armadietto con insolita violenza. Si sentiva nervoso…stranamente nervoso…ma era più che certo che l'incontro che stava per iniziare con la Artic non c'entrava con il suo stato d'animo. Sì, non era da lui agitarsi prima di una partita. Girò la testa per cercare Holly.
Il fuoriclasse, seduto su una panca, si stava allacciando gli scarpini. Il viso era come sempre disteso e tranquillo, e gli occhi scuri non tradivano alcuna preoccupazione. Becker guardò l'amico, indeciso se parlare, ma dopo pochi istanti abbassò il capo, girandosi nuovamente.
"Tom, oggi mi sembri teso", disse però inaspettatamente Hutton, che nonostante tutto si era accorto del comportamento del ragazzo. "Cosa c'è? E' per la partita?".
Becker tese un braccio, appoggiando la mano sull'armadietto di ferro. "A te non si può nascondere niente, eh?".
"Ti conosco meglio di chiunque altro, lo sai".
"Sì…lo so. Comunque…no, figurati, non è per l'incontro".
"Mhh…infatti, mi pareva strano. E quindi…ah, aspetta. Forse…riguarda ancora il problema di qualche settimana fa?".
Tom volse lo sguardo all'amico. "Non lo so…sai, ultimamente mi sento in ansia, anche se non so esattamente per cosa. Mah".
Il calciatore sospirò, per poi sedersi a fianco del proprio capitano.
"Holly…dimmi, per caso hai parlato con Kris oggi?".
Hutton appoggiò i gomiti sulle ginocchia. "No…sul pullman si è seduto da solo, in un angolo. Non mi sembrava avesse voglia di parlare…e così non gli ho chiesto nulla".
"Già, anche a me ha fatto la stessa impressione", mormorò tristemente Becker, fissando il pavimento. "Sono certo che non sta bene…".
Quel mattino, infatti, quando l'intera squadra era partita da Fujisawa, Tom aveva notato che Kristine, dopo essere arrivata all'ultimo momento, si era seduta per conto suo, senza salutare nessuno. I suoi occhi avevano continuato a guardare fuori dal finestrino per tutto il tragitto, come se la sua mente fosse da un'altra parte…
Non aveva salutato nemmeno lui.
Holly si alzò, e, sospirando, mise le mani sui fianchi. "Se stesse male sarebbe un guaio…a proposito, ora dov'è?".
"Mi pare sia fuori dagli spogliatoi, con Judith".
"Mh…beh, speriamo davvero che giochi come sempre. Sai, Tom…Kris mi è sempre sembrato un tipo un po' introverso, a dispetto della sua apparenza aperta e vivace. Non ci ha mai detto molto di sé…ho sempre pensato che possa avere qualche problema, ma che non ne voglia parlare con nessuno…".
Tom evitò gli occhi del numero dieci.
"…già. Ecco…come ti avevo già detto…io l' ho conosciuto anni fa a, Kyoto. Ma anche per me è sempre rimasto un ragazzo un po'…strano…".
Spostò lo sguardo sul resto della squadra che, dall'altra parte della stanza, chiacchierava in attesa dell'inizio della partita.
Becker si stava lentamente, dolorosamente rendendo conto di quanto gli mancasse Kris…anche se non lo voleva ammettere a se stesso. Si era ripromesso, infatti, di non pensare a lei…per non rovinare la loro amicizia…e…per non scoprire che Kristine potesse essersi innamorata…di qualcun altro.
Di qualcun altro…
Mio dio.
Era…così vigliacco.
Sì…aveva paura di un rifiuto.
Un rifiuto…
Si rigirò verso Holly.
"Senti…Benji oggi verrà ad assistere alla partita?".
Hutton assentì. "Sì, mi ha detto che lo accompagneranno in auto. Dovrebbe esser qui a momenti".
Proprio in quel mentre qualcuno aprì improvvisamente la porta degli spogliatoi, facendo calare per un momento il silenzio assoluto nella stanza.
"Ah, Benji!", esclamò poi Diamond non appena riconobbe il Super Great Goal Keeper. Il portiere era comparso davanti alla squadra con una strana espressione sul volto…inusuale, severa. Quasi oscura, come se un'ombra fosse scesa su di lui per nascondere il suo solito sguardo deciso e forte, il suo sorriso ironico ma sempre ottimista…
"Salve ragazzi", disse quindi Price osservando i compagni, fermo sulla porta. "Scusate se sono arrivato solo ora". Dopodiché entrò, passando in mezzo al gruppo di giocatori.
"Tutto a posto?" chiese il capitano della squadra avvicinandosi a Price insieme a Tom, dopo essersi accorto del viso dell'amico . "Oggi non hai un bell'aspetto…".
Il portiere, evitando di incontrare gli occhi di Hutton e quelli di Becker, sorrise tirato.
"No, sto bene".
"Forse…era meglio se seguivi la partita da casa…".
"Ti dico che sto bene, Holly. E' solo la gamba che è infortunata, non sono mica malato".
Il numero dieci e il numero undici della New Team si scambiarono un'occhiata stupita. Non era da Benji comportarsi in quel modo. Usare…quel tono.
"Ah, ok, ok…scusa, forse è stata solo una mia impressione…", si affrettò quindi a dire Hutton, sorridendo al portiere. "Sai, anche Grover oggi ci è sembrato un po' stanco…anzi, più precisamente…direi abbattuto".
Benji sbuffò, quindi rivolse lo sguardo al muro.
"Allora spero che si riprenda, e in fretta anche. Non possiamo assolutamente farci fare dei goal in una partita del genere, sarebbe davvero vergognoso".
Tom fissò il portiere. "Cosa…cosa stai dicendo?".
"Come cosa sto dicendo?".
"Vuoi dirmi che non t'importa se Kristian ha qualche problema? Ma…scusa, voi due non vi siete visti in queste settimane per il suo potenziamento? Dovresti conoscerlo bene ormai…".
Benji rimase fermo, gli occhi fissi sull'intonaco grigio della parete dello spogliatoio. Dopo pochi istanti li chiuse, inspirando profondamente.
"Tom, senti…".
Per la seconda volta in pochi minuti la porta della stanza si aprì. Kris, già pronta con indosso la divisa della squadra, entrò nello spogliatoio camminando lentamente. I soliti occhi dolci, vivaci e luminosi, questa volta apparivano spenti e stanchi, coperti da un velo di malinconica tristezza…
Nessun giocatore osò salutarla, o chiederle nulla…tutti avevano capito che qualcosa non andava nel loro portiere, quella mattina…proprio come se ne erano accorti Holly e Tom.
Kris aggirò la fila di panche per arrivare ad una vuota, in un angolo dello spogliatoio. Appoggiò la borsa, ma prima di sedersi, si girò, rivolgendo una profonda, tristissima occhiata al trio. Gli occhi castani della ragazza indugiarono poi su Price, che però non si girò nemmeno…
Tom, a sua volta, guardò preoccupato Kristine. La sua Kristine…
Ridotta così…
No, non sembrava nemmeno lei…
Così pallida, triste…
Sempre così bella, bellissima…ma offuscata da una malinconia che il numero undici non si ricordava di avere mai visto sul suo volto…
Una malinconia, e forse un dolore che cercava di nascondere.
Dopo aver atteso invano un'occhiata di Price, Kris socchiuse per un attimo gli occhi. Riaprendoli, essi incontrarono quelli di Becker.
I due ragazzi si fissarono a lungo, e Tom capì che doveva essere successo qualcosa…sì, ora ne era davvero sicuro. Nello sguardo di Kristine era evidente il bisogno disperato di confidarsi con qualcuno…qualcuno che la capisse, che la confortasse…che la stringesse…
"Ci sono qui io. Kris, ci sono io".
Tom la guardò intensamente. Voleva che quel pensiero la raggiungesse…
"Non sei da sola…io sono sempre stato accanto a te…e lo sarò sempre…anche se tu forse non te ne sei mai resa conto…anche se non sarò mai nulla per te…non m'importa…".
Anche la ragazza continuò a guardarlo. Poi, sulla sua bocca comparve per un istante un lieve, triste, quasi impercettibile sorriso. Si sedette, e prese i guanti dalla borsa.
Tom fece quindi per avvicinarsi all'amica, quando il mister comparve sulla porta.
"Forza ragazzi, è ora!", esclamò.
Mentre la squadra si riuniva per uscire in campo, gli occhi di Becker cercarono ancora una volta i due portieri. Era chiaro che qualcosa era successo fra i due…non una parola, non un'occhiata, un saluto da parte di Benji a Kris. Era davvero molto strano…e…quelle parole…le parole di Price…
In quel momento il portiere si avvicinò, passando davanti al ragazzo.
"In bocca al lupo, anche se so che come sempre ci stupirai, Tom", disse unicamente prima di uscire dalla stanza, senza curarsi di dare alcuna raccomandazione a Grover che, ancora seduta sulla panca, stava sistemando la borsa.
"Benji, io…".
"A fine partita, ok?".
"…Beh…ok".
L'alto giovane dai corti capelli scuri si avviò così per gli scalini che portavano al rettangolo di gioco, seguito da Carter, Mason e Harper, con cui iniziò a scherzare. Oliver arrivò invece alle spalle di Becker, battendogli una mano sulla schiena.
"Cerca di tirarti su, ok?", disse il capitano all'amico, guardandolo comprensivo. "Se Grover non dovesse essere al massimo della forma come sospettiamo, noi due dovremo dare il meglio…lo capisci?".
"Certo, Holly. Ma…mi chiedo cos'abbia Benji…sai…credo proprio che lui e Kris potrebbero aver litigato".
Hutton sospirò. "Già, lo penso anch'io. Ho notato il loro comportamento…beh, per adesso non possiamo farci nulla…e forse non sarebbe nemmeno giusto metterci in mezzo…in fondo, non sono fatti nostri".
"Non lo so. Sono seriamente preoccupato per entrambi". Il ragazzo si girò a guardare nuovamente Kris, distante da lui alcuni metri.
Anche Holly si voltò. "Anch'io…".
Il numero dieci attraversò lo spogliatoio. Giunto davanti a Grover, le sorrise affabilmente. La ragazza, che negli ultimi minuti era rimasta immersa nei suoi pensieri, a testa bassa, alzò lo sguardo non appena si accorse della presenza di Hutton.
"Kristian", disse quindi Oliver."Sei pronto?".
Lei lo fissò, tanto pallida e bianca da sembrare fragile, come una bambola di porcellana…
Rimase ferma, con la bocca serrata. Poi, stancamente, come scoraggiata, si alzò.
"Sì".

TRENTANOVESIMO MINUTO DEL SECONDO TEMPO…

"…Siamo giunti ormai verso la fine dell'incontro tra Artic e New Team. Entrambe le squadre si sono fino ad adesso comportate egregiamente, realizzando entrambe un ottimo gioco di squadra. Notevole davanti alla porta della Artic la prestazione di Ralph Peterson, che però, nonostante la strenua difesa dell'area, non è riuscito ad evitare i due goal messi in rete dalla formidabile coppia Hutton-Becker, come sempre padroni incontrastati del centro campo. Poco prima della fine del primo tempo, però, la partita ha preso una svolta sicuramente inaspettata da tutti i tifosi della squadra proveniente da Fujisawa, da molti considerata la favorita: Kris Grover, il neoportiere chiamato a sostituire per questo campionato il leggendario Benjiamin Price davanti alla porta della New Team, si è lasciato segnare due goal distanziati l'uno dall'altro da pochi minuti. E' davvero strano che questo ragazzo, da molti considerato un promettente atleta dotato di incredibile agilità e scaltrezza, abbia avuto questo momento di debolezza…in realtà oggi non ci sembra affatto nel pieno della sua forma, e tutti i tifosi della New Team stanno visibilmente iniziando ad agitarsi…la partita potrebbe infatti avere una conclusione davvero imprevista, contando anche dello sconforto in cui la squadra sembra sprofondata…".

Tom correva. Correva più che mai, veloce come il vento, di fianco a Holly…dietro a loro, l'intera Artic era lanciata all'inseguimento della coppia d'oro, decisissima a fermare ogni tentativo della New Team di passare in vantaggio.
"Tieniti pronto, Tom", gridò Hutton all'amico, ricevendo nuovamente il pallone dal ragazzo. "Ci dobbiamo provare ancora!".
"Sì!", rispose l'altro, annuendo con il capo.
Una grossa nuvola coprì per un momento il sole, mettendo così in ombra il rettangolo di gioco. Il tempo era instabile da quella mattina, e un alito di vento freddo era sceso già da parecchio tempo sullo stadio gremito di gente.
"Questa partita non doveva andare così", pensò il numero undici, mentre continuava ad avanzare verso l'altra metà del campo, gli occhi che continuavano a muoversi prima sul pallone, poi su Hutton e sugli avversari. "Se Kris…se Kris non fosse stata in crisi, sono certo, anzi, certissimo che le avrebbe parate…".
Il capitano della New Team, intanto, aveva superato senza difficoltà un altro giocatore ma, giunto a metà dell'area avversaria, venne bloccato da Peterson, insieme a altro paio di difensori.
"Hutton, di qui non passi", disse l'alto ragazzo bruno dal viso ovale e dai lineamenti eleganti, fissando Holly negli occhi. "Il risultato è deciso…sarà un pareggio! Forse non segneremo più, ma di certo non ti permetteremo di superarci!"
L'altro deglutì. "La vedremo".
Tom, accorgendosi della situazione, si avvicinò al gruppo, cercando un modo per aiutare il numero dieci.
"Accidenti…e adesso…", mormorò, preoccupato.
Ma Peterson non si muoveva. Ogni tentativo di Hutton di liberarsi del giocatore risultava vano, e l'incontro sembrava davvero destinato a finire così…
No…non poteva rassegnarsi a un due a due…
"Non posso mollare in una partita del genere…sono ben altri gli avversari che potrebbero mettermi in difficoltà…non Peterson, no…", pensò Oliver, madido di sudore per l'enorme tensione, più che per lo sforzo. "Il vero Oliver Hutton troverebbe una soluzione…non è da me comportarmi così!".
Mentre la folla urlava sempre più, non rassegnandosi a un finale del genere, i minuti passavano.
Ormai…ne mancavano poco più di quattro alla fine…
"Holly…Tom…", mormorò Harper, dall'altra parte del campo, guardando abbattuto la situazione da lontano. Anche Denver, poco distante da lui, sospirò scoraggiato. "Non è mai successa una cosa simile…".
Il numero dieci, intanto, continuava a trattenere la palla sotto a un piede, impossibilitato a muoverla. Non sembrava che ci fossero vie d'uscita questa volta…era marcato in tutte le direzioni, e un passaggio a Ted, a Johnny o a David era impensabile…
"Non avete fatto un buon affare con quel Grover", esclamò ad un tratto Ralph, ridendo. "E purtroppo Price può solo restare a guardare…avrebbe dovuto allenare meglio quel novellino!".
Holly guardò l'avversario, conscio che non poteva dargli torto…non capiva, non sapeva cosa fosse preso a Kristian…due tiri…due tiri così semplici da parare…se li era lasciati sfuggire, non movendo addirittura un dito durante il primo goal, calciato a pochi metri dalla porta.
No, quello non era il Kristian Grover che, settimane prima, si era presentato, sorridente ed entusiasta, davanti a lui, chiedendogli di avere l'opportunità di dare una prova della sua abilità…non era il Kristian Grover che si era sempre allenato con costanza e impegno, per cercare di diventare degno di chi sostituiva…
Non era quel Kristian Grover…e questo suo improvviso, inspiegabile momento di debolezza e insicurezza aveva evidentemente abbattuto il resto della squadra, purtroppo. E…Holly stesso.
Improvvisamente, però, qualcuno iniziò a correre alla loro sinistra, venendo verso lui e Peterson. Oliver spostò lo sguardo verso la figura, riconoscendo immediatamente Tom.
"Reagisci, Holly! Dobbiamo vincere, e lo sai!", gridò quindi il ragazzo castano, con una nuova, rinnovata sete di vittoria nei decisi occhi color nocciola. "Noi siamo la coppia d'oro, non devi dimenticarlo!".
Detto questo, sotto gli sguardi sorpresi degli atleti, compreso quello dello stesso Hutton, Becker passò fra i due giocatori, portando via in un attimo la palla dai piedi di Holly . Poi il numero undici, dopo aver aggirato il resto del gruppo impietrito dall'inusuale azione, percorse la fascia laterale, dirigendosi quindi verso la porta della Artic.
Anche il capitano della New Team scattò senza attendere altri secondi, comprendendo che non c'era tempo da perdere…Tom aveva sbloccato quella situazione di stallo togliendo il pallone al suo stesso capitano…una mossa ai limiti dell'assurdo, ma che si era rivelata più che efficace!
"Bravo, Tom!", esclamò così Hutton, rivolgendo al compagno un grande sorriso. "Non finirai mai di stupirmi!".
"Lo so!", rispose scherzando l'altro, ridacchiando.
Ormai solo un minuto separava la Artic dal pareggio. I due ragazzi giunsero a pochi metri dall'area di rigore, sguarnita dalle difese che erano rimaste indietro, dove prima avevano bloccato Holly.
Peterson strinse un pugno. "Insomma, ragazzi, muovetevi!", gridò quasi in panico al resto dei compagni, precipitandosi, intanto, verso i due attaccanti della New Team. I calciatori, però, non furono purtroppo abbastanza veloci per raggiungere e fermare la coppia d'oro, che riuscì ad attuare la sua azione…l'ultima possibilità di passare in vantaggio.
"A te, Holly!", esclamò Becker, calciando con precisione il pallone verso l'amico, alla sua destra. Hutton stoppò la sfera, e si preparò finalmente a tirare, caricando la gamba di tutta la potenza che sarebbe servita per segnare…
"Non te lo permetterò!", gridò però ad un tratto Peterson, giungendo dietro il capitano della New Team. Si gettò quindi su di lui con una violenta scivolata, ma Holly, forse preparato al tentativo dell'avversario di fermarlo, saltò, passando al volo la palla a Becker, che già correva verso il portiere.
"Segna, Tom!".
Il ragazzo, esattamente sulla traiettoria del tiro, saltò a sua volta, a pochi metri dalla rete. Sovrastando il portiere della Artic, il numero undici colpì il pallone di testa, che finì il rete insaccandosi nell'angolo sinistro in alto, sotto la traversa.
Ci fu un attimo di silenzio.
Poi, improvvisamente, dagli spalti proruppe un solo, unico grido di gioia.
Ciò che sembrava impossibile, alla fine, era successo…la New Team, che pareva ormai sprofondata nello conforto più totale e in uno stato d'animo che non lasciava sperare in alcuna reazione, era passata in vantaggio all'inizio del quarantacinquesimo minuto del secondo tempo.
E tutto grazie all'incredibile coppia d'oro, che ancora una volta aveva ribaltato il risultato alla fine di una partita…
"Ce l'abbiamo fattaa!!", urlò Paul Diamond, dopo aver assistito quasi incredulo alle azioni dei due compagni. Anche gli altri giocatori imitarono il numero otto, esultando felici.
Trascorsero ancora pochi secondi, poi l'arbitro fischiò. Holly e Tom voltarono la testa, guardandosi negli occhi soddisfatti.
"Sei stato grande, Tom", disse Hutton entusiasta, sorridendo all'amico. L'altro ricambiò il sorriso, e alzò il pollice vittorioso.
"Dovevo segnare…altrimenti perché ci chiamano coppia d'oro? Ehe he!!", rise il ragazzo, disteso come Holly non lo vedeva da giorni. "Dobbiamo tenere sempre alto il nostro titolo!".
Il capitano si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. "Giusto!".
Ralph Peterson, accovacciato a terra, battè con rabbia un pugno sul terreno ricoperto dalla rada erba verde.
"Accidenti", mormorò a denti stretti, rendendosi conto dell'amara sconfitta. "Alla fine…non ce l'abbiamo fatta…". Gli altri giocatori della Artic, lentamente, si avvicinarono al loro capitano, delusi quanto lui.
"Ci dispiace, Ralph".
Il ragazzo scosse il capo in silenzio. Rimase fermo per alcuni istanti, poi si rialzò, deciso.
"La prossima volta andrà meglio", disse quindi, a testa nuovamente alta. "E poi è inutile quindi piangerci addosso. Voi siete stati tutti bravi, quindi non scusatevi. L'importante, adesso, è cercare di entrare fra le otto squadre finali…solo così potremo, magari, rincontrare la New Team, e avere la nostra rivincita".
I dieci ragazzi sorrisero, guardandosi l'un l'altro. "Ok, capitano".
Dall'altra parte del campo, ferma fra i due pali, Kristine Grover era immobile. Non riusciva ad essere felice, ad esultare come i suoi compagni di squadra. Gli occhi, fissi su Tom, erano spalancati, velati dalla paura e dall'angoscia, dalla tristezza e dal senso di colpa.
Se non fosse stato per lui…per Becker, il suo Tom Becker…la New Team, da sempre la squadra campione assoluta per anni di campionati, avrebbe fatto una bruttissima figura. E solo a causa di quei due, stupidi goal che lei non aveva avuto la forza, il coraggio di parare. E il suo stato d'animo aveva rovinato anche quello della squadra…
"Grazie", sussurrò così la ragazza, prima di crollare per terra sfinita, finalmente libera dalla tensione.
Un'altra partita era finita.

"Bravi, ragazzi". Il signor Gunnell era in piedi davanti alla New Team, e sorrideva soddisfatto. "Per un attimo ho creduto che vi foste lasciati andare, ma per fortuna vi siete ripresi…".
"E' tutto merito di Tom, poco ma sicuro", esclamò Carter, incrociando le braccia.
Becker, a destra del mister, sorrise.
"Grazie, ma non dimenticate Holly!".
I giocatori guardarono i due ragazzi, ma in quel momento Grover, che era rimasta in disparte rispetto al gruppo, si fece avanti, il capo chino.
"Mi…mi dispiace tanto", mormorò piano, senza alzare gli occhi. "E' stata tutta colpa mia…io…non so cosa mi è preso…scusatemi…la squadra si è lasciata andare solo a causa mia…".
La stanza rimase per un po' nel silenzio, quando Hutton si avvicinò a Kris.
"Ascolta…abbiamo visto tutti che oggi non eri al massimo della forma", disse il capitano, aprendo un braccio. "Certo, i due goal ci hanno messi in difficoltà, ma tutti possono sbagliare, specialmente se anche lo stato d'animo non è dei migliori…dico bene, mister?".
Il signor Gunnell assentì, ritrovandosi d'accordo con il capitano della squadra.
"Sì, Grover…da come hai giocato nei primi incontri, è assolutamente evidente che quello di oggi non era il portiere che tutti noi conosciamo. Quindi non devi preoccuparti…tra l'altro, anche se avessimo pareggiato, avremmo solo avuto meno punti. Non ci sarebbero stati grandi problemi".
La ragazza sollevò piano lo sguardo.
"…Dite…sul serio?".
"Certo. E sappi che se hai qualche problema e ne vuoi parlare con noi, siamo sempre pronti ad ascoltarti!", esclamò Holly.
Gli altri giocatori annuirono, offrendo la loro disponibilità, sinceri. Tom invece si accostò ad Oliver, e guardò dolcemente Kris che, accorgendosi dell'occhiata dell'amico, si sentì improvvisamente rincuorata da quell'affetto…
"Grazie…grazie davvero".
Non avrebbe mai creduto di ricevere tanta comprensione dai calciatori…da quei ragazzi, suoi compagni di squadra, che si stavano rivelando, giorno dopo giorno, i più cari amici che avesse mai sperato di avere. Amici che aveva per molto tempo sognato…amici che non la tradissero, che la sostenessero.
E fra loro, c'era Becker. Il suo…amico…
Sapeva che non l'avrebbe mai abbandonata, no. E proprio come quel giorno di quattro anni fa, a Kyoto, Kristine seppe improvvisamente che quella promessa non sarebbe mai stata rotta. Mai…
"I problemi personali, qualunque essi siano, si lasciano fuori dal campo", sentenziò però una voce proveniente dall'ingresso dello spogliatoio. "E Grover, non facendolo, mi ha deluso. Profondamente deluso!".
L'intera New Team si voltò, sorpresa da qual commento improvviso.
Benji Price, appoggiato allo stipite, fissava i proprio compagni, severo. Spostò gli occhi su ognuno di loro, lentamente, finché non arrivò a Kris, in piedi fra il Holly e Tom. Gli lanciò una durissima, fredda occhiata.
La ragazza sentì gli occhi di Benji ferirla, colpendola al cuore, dolorosamente…
Ancora…ancora quel viso gelido…
Perché…
Quel cambiamento?
Il Super Great Goal Keeper avanzò di qualche passo. Poi, fermatosi, si sistemò il cappello in testa, mettendo poi le mani nelle tasche dei jeans, come era suo solito fare.
"Quindi, non voglio assolutamente più vedere un simile, penoso spettacolo. Ti allenerai di più, se è necessario, starai al campo fino a tardi…non m'importa. Ma ricordati solo che questa squadra non accetta dei buoni a nulla".
Attese qualche istante, poi, sotto lo sguardo shockato dei presenti, si girò. Fece per uscire, quando si voltò un'ultima volta.
"Ah, i miei complimenti a Holly e a Tom e…Becker, ho deciso di lasciarti il compito di seguire Grover al posto mio. Se te la senti, ovviamente. Io non penso di essere più adatto come allenatore. Beh, ci sentiamo".
Il portiere si allontanò quindi silenziosamente, senza aggiungere più alcuna parola. Holly, Tom, Carter, Mason, Harper…tutti i giocatori della New Team, compreso lo stesso mister, fissavano senza parole il punto in cui, pochi secondi prima, c'era stato Price.
"Ma…quello era il Benji che conosciamo, ragazzi? Sembrava un alieno…", balbettò Bruce indicando con un dito la porta.
Holly girò la testa pensieroso, verso Harper.
"Già…il Price che conosciamo si sarebbe trovato d'accordo con noi…".
Mentre i calciatori chiacchieravano fra di loro, sorpresi dall'insolito comportamento dell'amico, Becker, di fianco a Kris, continuava a ripensare a ciò che Benji gli aveva detto prima di andarsene.
"Allenare Kristine? Seguirla…al posto suo? Ma per quale motivo non vuole più occuparsene?", si domandò. "Non posso credere che l'unico motivo sia la partita di oggi…".
Guardò la ragazza. Sembrava aver ripreso il pallore spettrale che aveva avuto sul viso prima della partita, e gli occhi, lucidi, fissavano il pavimento senza muoversi. Le labbra, quasi bianche dalla forza con cui erano strette, formavano una linea quasi indistinta.
"Kris…non prendertela…quello non era il vero Benji!", disse Tom addolorato, guardandola in faccia.
Lei deglutì. Chiuse gli occhi, e dopo aver fatto un respiro profondo per controllarsi, li riaprì.
"Lo so bene. Io…".
Ma non riuscì a terminare la frase. Improvvisamente corse via, passando violentemente in mezzo ai compagni, ancora riuniti a semicerchio, e uscendo dallo spogliatoio.
"Kris!", gridò subito Becker inseguendola. Anche Diamond e Carter fecero per imitare il compagno, ma Holly li fermò.
"No, lasciate che sia Tom a parlarle. Mi ha detto che conosce Grover da molto tempo, e penso che possa fare molto di più di noi…". I due ragazzi guardarono il loro capitano, poi annuirono, comprendendo che aveva ragione.
Nel corridoio, intanto, a pochi metri dall'uscita che dava sul campo, Tom aveva raggiunto Kris, e ora la stava trattenendo con un braccio.
"Kris…tu sai perché Benji si comporta in questo modo, non è vero?", chiese il ragazzo calmo, cercando di farsi ascoltare dall'amica. "Non…non è giusto che tu soffra così…confidati con me, ti prego".
Kristine, che fino a quel momento aveva cercato di divincolarsi da quella stretta, si fermò. Rimase a fissare il pavimento, non sapendo da cosa iniziare. Poi, lentamente, rialzò il viso, girandosi verso il ragazzo.
I suoi occhi la stavano guardando. Imploranti, preoccupati.
Dolci, dolcissimi…pieni di quell'affetto che la avrebbe potuta consolare, cullare…era…tutto ciò che in quel momento desiderava. Sì, qualcuno che la ascoltasse…
"Oh, Tom…", mormorò, con un nodo alla gola.
E prorompendo in un pianto disperato, si abbandonò sul suo petto, stringendo i lembi della t-shirt del ragazzo fra le dita.
Becker la strinse forte, circondandole la vita con le braccia, e accostando una guancia al suo capo.
"Ci sono qui io. Kris…ci sono io".

Lo stadio si stava svuotando. La partita era terminata ormai da più di quindici minuti, e solo poche persone erano ancora ferme sugli spalti di cemento. Il campo color smeraldo, ora deserto, si era ritrovato sotto ad un cielo scuro e grigio, che prometteva pioggia.
In alto, verso le ultime file delle tribune centrali, due ragazzi erano ancora seduti. Il primo di loro, un tipo abbastanza comune, dallo sguardo mite ma basso e minuto, portava i capelli a spazzola, scuri come gli occhi. Indossava una maglietta bianca e un paio di pantaloncini blu, e stava fissando l'amico di fianco lui.
Alto, slanciato, dal fisico muscoloso e tonico, con indosso un'attillata maglia grigia e dei jeans bianchi, il secondo giovane rideva senza alcun ritegno, una mano dalle lunghe dita abbronzate posata sullo stomaco. Rideva senza fermarsi, e dal capo piegato all'indietro, a poca distanza dal gradone di pietra della fila retrostante, scendeva una folta chioma di lunghi, lucidi e ribelli capelli corvini.
"Ahahaha! Ahaha! E questa…questa sarebbe stata…una partita di calcio?? Non ho mai visto nulla di più penoso in vita mia…ahaha!", esclamò fra le risate, quasi a fatica, Mark Landers, e agitando l'altra mano nell'aria.
"Kristian Grover è un vero e proprio incapace…a suo confronto, addirittura quel sacco di patate di Alan Crocker è migliore…".
Danny Mallow, che aveva guardato per tutto il tempo in silenzio il proprio capitano, alzò le spalle.
"Beh…questo potrebbe anche essere stato un caso…sai bene cosa hanno detto di lui nei precedenti incontri che ha disputato…".
A quelle parole, Landers si raddrizzò improvvisamente, gettando un'occhiata urtata al compagno.
"Danny, è più che evidente che Grover non è, non è stato e non sarà mai in grado di sostituire Price. Non mi importa quanto possano aver detto di lui degli stupidi giornalisti e cronisti. La New Team ha affrontato, fin'ora, avversari quasi ridicoli, squadre che non avrebbero spaventato nessuno…Kristian Grover non mi ha per niente impressionato, e oggi ho avuto la prova della sua inesistente preparazione".
Sorrise. Un sorriso odioso, fastidioso, divertito…sì, divertito dalle prospettive future, ben più che rosee.
Fantastiche.
Si alzò velocemente, con uno scatto felino, girandosi poi verso Mallow, ancora seduto di fianco a lui.
"Se la New Team riuscirà ad arrivare in finale, e contando che la gamba di Price ha avuto dei peggioramenti inaspettati", disse tranquillo il ragazzo, " penso proprio che vincere contro Hutton e soci sarà una vera passeggiata. Sì, la vittoria più facile in anni di campionati…certo, mi dispiacerà non incontrare Price, ma…sarà ancora più esaltante battere la New Team con Benji che guarda, impotente, la sua squadra andare allo sfacelo…".
Inspirò profondamente, per poi scoppiare a ridere di nuovo.
"Non credi, Danny?".
L'amico abbozzò un sorriso, un po' imbarazzato.
"Hem…sì, capitano. Però…".
"Però?".
"Beh…ecco…non vorrei interrompere i tuoi pensieri, ma…ho l'impressione che tu sia in ritardo ad un certo appuntamento…mi avevi chiesto di ricordartelo, quindi…".
Mark Landers fissò muto il ragazzo, gli occhi profondi e scuri spalancati. Poi, improvvisamente, alzò il braccio sinistro verso di sé, per controllare l'ora sull'orologio al polso.
Guardò nuovamente Mallow.
"Dannazione, Danny!".

In quello stesso momento, ad alcuni chilometri di distanza, all'interno dell'aereoporto internazionale di Narita, tre figure femminili stavano camminando lentamente. Cariche di borse e valigie, cercavano di farsi strada in mezzo alla fiumana di gente proveniente dall'uscita 19, dalla pista di atterraggio dove era appena atterrato il volo US 2336, partito 16 ore prima da S. Francisco.
La prima delle tre, sulla destra, era una ragazza di media statura, snella, dai lunghi capelli lisci e castani raccolti in una coda a lato, gli occhi vivaci nascosti dietro ad un paio di occhiali con la montatura argentata. Anche se non particolarmente carina, possedeva un'aria sveglia, intellettuale, furba…imprevedibile. Gli ampi pantaloni di cotone beige che indossava erano completati da una semplice giacca dello stesso colore, sbottonata sul davanti.
Di fianco a lei, la seconda ragazza appariva un tipo molto più sportivo, agile, slanciato, dalle gambe toniche e mediamente abbronzate. Nonostante la stagione, indossava infatti dei corti pantaloncini di jeans, e un top rosso, sopra il quale portava unicamente una leggera felpa grigio chiaro con zip. I grandi e decisi occhi scuri, dalle lunghe ciglia nere, circondavano un viso ovale, grazioso, insieme a una bocca dalle labbra leggermente carnose e ricoperte da un velo di lucidalabbra. I capelli erano corti, appena sotto l'orecchio, lisci e castano scuro, dai riflessi rossicci, e una frangia appena accennata ombreggiava la fronte da un lato.
L'ultima del trio, completamente diversa per fisionomia dalle due amiche, avanzava con passi eleganti ma sicuri, ed un portamento da indossatrice. Lucenti e folti capelli biondi le incorniciavano il viso perfetto, dai lineamenti un po' affilati, e due profondi occhi azzurri, dalle palpebre perfettamente truccate, guardavano fieri davanti a sé. Il corpo era fasciato da un corto vestito rosso, che le lasciava ampiamente scoperte le lunghe gambe…ai piedi, un paio di eleganti scarpe con un alto tacco, sempre rosse. Le curve prorompenti della ragazza catturavano l'attenzione di tutti gli uomini presenti nel raggio di miglia…
Camminarono ancora per un po', e arrivate a poche decine di metri dall'uscita dell'aereoporto, le tre ragazze si fermarono.
Dopo aver posato le valigie, quella in mezzo, vestita con il top rosso e i pantaloncini, alzò le braccia verso l'alto, stiracchiandosi dopo tante ore di viaggio.
"Beh, ragazze", disse con una mano sul fianco, guardando le amiche. "Siamo in Giappone!".

fine capitolo 12

NOTE:

*tatami: stuoie imbottite di paglia compressa e rivestite di giunchi intrecciati. Sono fissate su una cornice di legno e ornate da un bordo di passamaneria. Costituiscono il pavimento delle stanze in stile giapponese.