K&K

CAPITOLO 10
IL GIUSTO EQUILIBRIO

 


Nicole si avvicinò all'amica, e, con un sorriso tirato, mise una mano sul fianco.
"Scommetto che hai ascoltato tutto".
Kris non si spostò di un passo, rimanendo inchiodata nello stesso punto.
"Già, ogni singola parola".
La ragazza dai capelli rossi scosse il capo. "Mi dispiace".
"Voglio sapere la verità", esclamò decisa Kristine. "Cosa c'è…o cosa c'è stato tra mio fratello e Keith? Perché ora lei dovrebbe odiarlo? E poi…". Kristine si fermò un attimo, per cercare gli occhi preoccupati di Nicole, che stava tentando di guardare da un'altra parte.
"…è vero che Keith sta per ritornare?".
L'amica assentì col capo. "Sì…sì, fra pochi giorni tornerà…". Sospirò, e voltando le spalle a Kris, si affacciò da una delle vetrate, aprendola leggermente. L'altra ragazza, invece, rimase in piedi in mezzo all'ufficio.
"Mia sorella…ha studiato impegnandosi con tutta se stessa, laggiù, a Londra…ha sfruttato quella borsa di studio, costatale tanta fatica…e ora, finalmente…". Nicole respirò l'aria salata che il vento portava in alto, dalla costa.
"…Finalmente può realizzare il suo sogno".
Kristine si accostò alla scrivania di legno lucido. "Vuoi dire…diventare medico?".
"Sì. E' uscita dal college con il massimo dei voti. E questo gli permetterà di frequentare una delle più prestigiose università londinesi…". L'amica si girò improvvisamente verso Kris, guardandola entusiasta con i suoi luminosi occhi castani, dalle striature verdi.
"Ci pensi?".
L'altra sorrise, ripensando con affetto alla sorellina dell'amica. "Certo. E sono davvero felice. Ma…".
La sua espressione tornò seria. "…cosa ha fatto a mio fratello? O cosa ha fatto lui a Keith?".
Ci fu un attimo di silenzio. La segretaria guardò la moquette azzurra sotto i suoi piedi, indecisa su cosa iniziare a dire. Poi, sospirando, si sedette sulla scrivania, appoggiando le mani sul bordo.
"Tu…non ne hai mai saputo niente, ma dopo pochi mesi dalla mia assunzione alle direttive dei tuoi, mia sorella e Alex si misero insieme", cominciò.
Kris si sedette di fianco a lei. "Già, non ne ho mai saputo nulla…".
Nicole però continuò a parlare. "Dopo che ci conoscemmo, fra noi quattro si instaurò una bella amicizia…ricordi? Per un po' di tempo iniziammo a uscire tutti insieme…fu un bel periodo…". La ragazza chiuse gli occhi.
"Poi, sia a causa del mio lavoro che dei vostri studi, quelle serate diminuirono…Alex e Keith, però, continuarono a vedersi. Me lo disse mia sorella. Si era innamorata di Alex…e anche ciò che lui provava per lei era sincero. Anzi…entrambi sapevano che, nonostante la loro età, il loro rapporto era serio, e sarebbe durato. Keith non aveva dubbi sui propri sentimenti, ma…".
"…ma?".
"…ma non aveva dubbi nemmeno su quello che voleva diventare. Su quello che si stava costruendo con le proprie mani. Un futuro…un futuro brillante, a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Aveva conquistato quella borsa di studio, dopo averla desiderata per anni, e ora che finalmente aveva la possibilità di partire, di raggiungere Londra, beh…l'avrebbe fatto".
Kristine cambiò espressione. "Anche…anche a costo di lasciare Alex?".
Nicole la guardò grave. "Sì, anche a costo di lasciarlo. Vedi, il problema era che…ecco, Keith non aveva mai parlato a tuo fratello della borsa di studio. Lei sapeva da moltissimo tempo la data della partenza, avrebbe potuto dirgliela in qualsiasi momento…ma non l' aveva mai fatto. Non aveva abbastanza coraggio. Alex avrebbe potuto pensare che l'aveva preso in giro…che era stato con lui per quei pochi mesi solo per puro divertimento…per non sentirsi sola. Ma non era così…mia sorella lo amava molto, moltissimo. Sai…una sera…Keith ritornò a casa per l'ennesima volta in lacrime. Aveva ancora tentato di parlare ad Alex, senza riuscirci…ricordo che si mise a gridare, dicendo che non sapeva che cosa fare…era disperata. Lei lo avrebbe aspettato per cinque anni…anche se fossero stati venti, cinquanta o mille, ce l'avrebbe fatta. Ma Alex…era certa che lui non avrebbe mai sopportato tanti anni di lontananza…erano troppi. Lui, così…così possessivo, da avere il bisogno di vederla sempre, concreta, sorridente, accanto a lui…di poterla abbracciare, e sentire la sua presenza fisica, senza illusioni. Essere sicuro che lei c'era, che nessuno glie l'aveva portata via…capisci? Keith non poteva dirglielo…anche se sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto farlo".
Kristine aveva ascoltato l'amica in silenzio, gli occhi bassi.
"E…mio fratello…quando lo seppe…si arrabbiò, non è vero?", chiese, girando la testa verso la ragazza.
Nicole annuì. "Molto di più che arrabbiarsi…per alcuni giorni, addirittura, non volle nemmeno più vederla. Mia sorella aveva cercato di spiegargli le sue ragioni, aveva pregato Alex di capirla, ma…non ci fu nulla da fare. Lui si sentì tradito, respinto, non amato…proprio come Keith aveva previsto. E lei…diventò sempre più triste…mentre la data della partenza si avvicinava. Nessuno dei due cercava di riappacificarsi con l'altro. Si era come alzato un muro, e io…non sapevo come aiutarli…".

La ragazza, dopo qualche secondo, si girò improvvisamente per fissare Kris.
"Ad un certo punto, però, Keith seppe come comportarsi. Non mi disse niente…semplicemente, una mattina la vidi con un nuovo sguardo. Uno sguardo forte, deciso, determinato. Anche se…sapevo che quegli occhi avrebbero portato a un'unica conclusione. Una conclusione per niente felice. Conoscevo mia sorella, e conoscevo le vere ragioni per quel suo incredibile impegno nel cercare di realizzare i suoi sogni…".
Kristine inclinò la testa. "Le vere ragioni?".
"Proprio così…". La segretaria si passò la fronte con il palmo di una mano, e abbassando il capo, appoggiò il gomito su una delle gambe accavallate, per sorreggere il viso. Illuminati dai tiepidi raggi del sole pomeridiano che entravano dalle alte finestre dietro la scrivania, i lunghi capelli rosso scuro di Nicole assunsero del caldi riflessi color rame. Le ciocche ondulate le scendevano sulla schiena e sulle spalle, incorniciandole il bellissimo viso dalla pelle chiarissima.
Dopo aver sospirato un'altra volta, si voltò ancora a guardare Kris, che stava aspettando spiegazioni.
"Kristine, tu sai che io e Keith non abbiamo origini unicamente giapponesi, vero?".
"Certo…vostro padre era olandese, no?".
"Esatto. Però…non conosci…la nostra storia. E credo tu non sappia neanche perché siamo venute qui in Giappone…".
Sorpresa dalle ultime parole dell'amica, Kris osservò Nicole, scotendo la testa. "No…".
Nicole sorrise forzatamente, cercando di allontanare le immagini dei dolorosi ricordi che stavano riaffiorando nella sua mente. "Kris…ora…penso sia giunto il momento di raccontarti alcune cose…".
La ragazza scese lentamente dalla scrivania. Iniziò a camminare per l'ufficio, le braccia conserte, stette al petto contro l'elegante tailleur bordeaux. Il viso, teso, era immerso nel passato.
Kris, ancora seduta, guardava l'amica, preoccupata dalla sua espressione grave.
"Devi sapere", iniziò la segretaria, "che nostra madre, mia e di Keith, morì quando noi eravamo ancora piccole. Mia sorella era nata da poco più di un paio d'anni, io, invece, ne avevo appena compiuti tredici. Dopo la morte della mamma, nostro padre si ritrovò da solo a gestire l'impresa siderurgica a cui era a capo da vari anni, a Rotterdam…disgraziatamente, fu proprio in quel periodo che tutto iniziò ad andare a rotoli. In realtà, già da parecchi mesi le cose non stavano andando molto bene. La ditta stava fallendo e i soldi erano sempre di meno…papà fu, oltretutto, ingannato da alcuni soci disonesti, che fecero in modo di scomparire all'inizio della crisi economica, senza lasciare alcuna traccia. Mio padre si sobbarcò così ogni spesa, tentò fino all'ultimo di salvare l'impresa, ma…ad un certo punto non riuscì più a sostenere i mille problemi che continuavano, ogni minuto, a presentarsi davanti a lui…riuscì per miracolo a pagare la liquidazione a tutti gli operai, prima di licenziarli. Era evidente che l'unica cosa possibile da fare era chiudere, chiudere per sempre".
Nicole si fermò un attimo, alzando gli occhi.
"Non sapevo come saremmo andati avanti. Non c'erano più soldi, e mio padre non riusciva a trovare un altro lavoro…Keith era così piccola, e nostra madre le mancava…anzi, la mamma mancava a tutti, ma io cercavo di essere forte. Sai, mia madre…era una donna dolcissima…dolce e molto buona. Grazie a lei mio padre aveva sempre superato ogni difficoltà…sì, proprio grazie alla sua rassicurante presenza…e quando morì, lui perse la voglia di lottare. Si lasciò andare, giorno dopo giorno. Vedevo…vedevo che invecchiava…così in fretta…e io non sapevo, non sapevo assolutamente cosa fare. L'unica cosa fu di stare vicino a mia sorella…la crebbi con le mie forze…cercai di non farle pesare la tremenda situazione che stavamo vivendo…pensavo al suo futuro, a cosa ne sarebbe stato di lei…povera Keith. Di certo non se lo meritava. Mio padre si dimenticò perfino di noi…per la disperazione e la depressione, iniziò a bere, restando intere notti fuori casa. Alcune volte ritornava, altre no. Una volta, non si fece vedere persino per tre giorni. Io ero disperata…avevo poco più di 15 anni, e fui costretta a trovarmi un lavoro.
Mi presero come fotomodella, e anche se questo si rivelò un lavoro che detestavo, dovetti farlo, pur di guadagnare quei pochi soldi che ci permettessero di vivere, o almeno, di dare da mangiare a mia sorella. In realtà, contrariamente a quanto puoi pensare, non fui pagata molto bene… ".
La ragazza socchiuse tristemente gli occhi, immersa nei ricordi di quel difficile periodo. Poi guardò Kris che, muta, continuava ad ascoltarla.
"Tutto questo", riprese Nicole avvicinandosi, "andò avanti per un po', fino a che, una sera, mio padre ritornò a casa con una montagna di denaro, felice come non mai. Gli chiesi da dove provenisse, ma lui mi rispose di non preoccuparmi, dicendo che i nostri guai sarebbero finiti. A dire la verità, quei soldi ci permisero di vivere senza problemi per un po', è vero, ma…naturalmente, finirono. Dopo qualche tempo, però, si ripeté la stessa scena: mio padre ritornò nuovamente a casa con quel misterioso denaro. La cosa continuò per svariati mesi, fino a che, una notte, un paio di uomini suonarono alla porta, chiedendo di vedere nostro padre. Io e Keith rimanemmo nell'altra stanza, ma io capii chiaramente che qualcosa non andava. Papà aveva mille debiti con quella gente, ed era stato coinvolto in uno strano giro…ancora adesso non ho idea di cosa si trattasse…".
Nicole appoggiò le mani sulla scrivania, fissando la sua sagoma riflessa sulla superficie lucida. La sua voce si fece più bassa e flebile…
"Papà…", mormorò. "…papà fu ferito gravemente da un colpo di arma da fuoco qualche settimana dopo…la polizia disse che si era trattato di una banda terroristica ma…ma io sapevo che non era la verità…quello era stato un piano premeditato, e attuato da persone che conoscevano molto bene mio padre, coinvolte in quel giro…". Si fermò, la voce rotta.
Portandosi una mano al viso, cercò di nascondere le lacrime che avevano iniziato a riempirle gli occhi, scivolando poi sulle guance pallide.
"…e infatti…lui…morì durante il trasporto in ospedale…per una emorragia interna…impossibile da fermare", riuscì a concludere, prima di scoppiare in un pianto disperato. "Per qualche motivo…papà era diventato un personaggio scomodo, e così…decisero di eliminarlo…"
Kristine, di fianco a lei, sollevò lentamente una mano per appoggiarla sulla sua schiena.
Aveva fissato Nicole per tutto il tempo, sconvolta. Né Keith, né Alex…nessuno le aveva mai raccontato il passato delle due sorelle Henger. Un passato…così…così terribile.
Perché doveva essere accaduto proprio a loro?
Perché…perché lei invece era stata così fortunata?
Ti capisco, sai? So cosa è significato per te stare da sola, e crescere senza dei punti di riferimento…
Si sentiva…un verme. Sì, un verme.
Un verme cresciuto nella bambagia…
Non sai cos'è la vera sofferenza, Kris.
E osi anche sentirti una vittima?
Saresti cresciuta da sola, senza affetto?
Ma non farmi ridere.
Non sai nemmeno cosa vuol dire, realmente, essere sola…
Alcune volte pensa a chi non è fortunato come te.
Pensa a chi non ha nulla, oppure a chi non ha neanche una famiglia. Sono queste le persone che soffrono veramente…
Quella sera Nicole si era tenuta tutto dentro…
E si era invece sorbita quel suo stupido sfogo…
Kris, non sai nulla della vita.
Non sei certo tu ad avere dei problemi!
Sei solo un'idiota…una bambina viziata…
"Nicole…io…mi dispiace…non sapevo…".
La ragazza dai capelli rossi alzò il capo, e asciugandosi il viso con il dorso della mano si girò verso l'amica, cercando di sorridere.
"No, non…non devi scusarti. Non avrei dovuto raccontarti tutto questo…mi sono…lasciata andare. Comunque, ormai…è passato tanto di quel tempo…". Si tirò i capelli indietro.
"Dopo la morte di nostro padre, io e Keith siamo vissute per un paio d'anni con un assistente sociale, e precisamente fino al compimento dei miei 18 anni. Infatti quell'anno ci è stato riferito che una nostra lontana e anziana zia, in Giappone, parente di nostra madre, era morta sola lasciando in eredità la sua villa di Kyoto…quella casa andò a me e a Keith, in quanto uniche nipoti rimaste.
Fu un colpo di fortuna, un miracolo…sì, un vero e proprio miracolo. Finalmente potevamo andarcene da Rotterdam, una città in cui eravamo cresciute, sì, ma alla quale erano legati anche ricordi che preferivamo entrambe cancellare dalla memoria per sempre…soprattutto, io non volevo che mia sorella vivesse in quel paese. Volevo ricominciare tutto da capo…da un'altra parte, lontano…".
"E così…vi siete trasferite qui?".
"Sì. Sai, il giapponese era la nostra seconda lingua, visto che nostra madre aveva origini orientali, quindi non avemmo molti problemi, e ci ambientammo subito. La casa lasciataci da nostra zia era davvero enorme, e per iniziare a guadagnare qualcosa decisi di affittare delle stanze…".
Il viso della segretaria iniziò finalmente a distendersi.
"Direi che da quel momento tutto cominciò ad andare per il meglio. Io ripresi a studiare, scegliendo la facoltà di economia…mia sorella, invece, continuò il normale ciclo di studi, fino a che…".
"Cosa?".
Nicole sospirò. "Beh…gli insegnanti e io stessa…ci accorgemmo tutti che Keith possedeva un'intelligenza fuori dal comune. Era…un piccolo genio…portato allo studio in modo stupefacente. Amava imparare, più di ogni altra cosa". Guardò Kristine.
"Già allora aveva il sogno di diventare un bravo medico…una persona che aiutasse la gente, che alleviasse le loro sofferenze. Mia sorella…è sempre stata così sensibile…però, vedi…lei preferiva rimboccarsi le maniche e fare concretamente qualcosa per gli altri, piuttosto che piangere per loro. Diceva sempre che le lacrime non avrebbero mai cambiato nulla, e che quindi era inutile disperarsi".
Sorrise.

"Penso che Keith sia stata molto temprata da ciò che abbiamo dovuto passare durante la nostra infanzia…ecco da dove proviene la sua forza d'animo. Io l' ho sempre ammirata per questo suo incredibile coraggio. E anche Alex…".
Entrambe non dissero nulla per qualche secondo, poi Kristine alzò lo sguardo verso l'amica.
"Dimmi, Nicole…", mormorò Kris. "Perché…alla fine Keith ha litigato con mio fratello?".
L'amica contrasse le labbra chiuse, sapendo di dover spiegare la parte peggiore…
Girò intorno al tavolo di legno, tornando a sedersi sulla poltrona di pelle nera dietro alle vetrate. Incrociò le dita delle mani appoggiate in grembo, e accavallò le gambe con un sospiro.
"Mia sorella sapeva bene cosa voleva. Lo sapeva molto bene…dopo tanta sofferenza, finalmente aveva la possibilità di realizzare i suoi sogni. Per questo motivo litigò amaramente con tuo fratello…".
"In che senso?".
"Nel senso che…le parole che Keith gli rivolse furono davvero molto, molto dure. Quella mattina famosa…gli chiese di incontrarlo. Mancavano davvero pochissimi giorni alla partenza per Londra, e lei era decisa a dire ad Alex cosa aveva scelto di fare, in modo definitivo. Naturalmente, Keith voleva raggiungere l'Inghilterra, ma quando lo disse ad Alex, lui si rifiutò di lasciarla andare. Iniziarono a litigare e Keith, in un momento di rabbia, urlò a tuo fratello cose che non avrebbe mai dovuto dire…".
Kris fissò Nicole tesa. "Che…cosa?".
"Gli disse…che lui non poteva capire, e non sarebbe mai riuscito a capire a causa della vita ricca, facile e senza preoccupazioni che aveva sempre fatto…gli gridò che era un bambino viziato, che non sapeva cosa voleva dire lottare per costruirsi un avvenire, per realizzare i propri sogni. Lei, che non aveva mai avuto nulla per nulla…che aveva dovuto passare fra dolori e sofferenze…ora aveva lì, a pochissima distanza, qualcosa che aveva sognato da tanto…una grande possibilità per il suo futuro. E lui, invece di incoraggiarla, di esser felice per lei…la voleva tenere legata a sé, come un oggetto di sua esclusiva proprietà…da non spartire con nessuno.
Ma questa fu solo una minima parte delle cose che Keith gli disse…molte altre, né mia sorella, né tuo fratello, me le confessarono mai. Lei non tornò più sull'argomento, dopo che giunse a Londra. Le rare volte in cui ci sentivamo, parlavamo naturalmente d'altro…non mi chiese mai di Alex. E all'aeroporto, lui non venne a salutarla, se ben ricordi. Non ce la fece…non se la sentiva più nemmeno di guardarla negli occhi. Quel…quel periodo fu davvero terribile per tuo fratello. Si sentiva meschino, e…in colpa, tremendamente in colpa. Anche se amava Keith, non aveva capito nulla di lei…non aveva mai riflettuto su quello che aveva dovuto passare. Tu, Kris, hai sempre creduto che fra di loro c'era solo amicizia, vero? Beh, entrambi non ti hanno mai detto nulla perché ti volevano bene. Alex, come avrai sentito, oltre a non voler rovinare l'amicizia che c'era tra te e Keith, non voleva neanche che tu ti preoccupassi per lui, e anche per questo ha tenuto nascosto il suo dolore per così tanto tempo e così bene…Keith, invece, non voleva perderti, ed è comprensibile".
Nicole abbassò gli occhi, triste. Poi li rialzò, sporgendosi oltre la scrivania per cercare il viso dell'amica.
"Piccola…tutto bene?".
Kristine, in piedi, teneva la testa piegata, lo sguardo fisso nel vuoto. Gli occhi erano lucidi, la bocca serrata.
"Kris…ti prego, non fare così…", mormorò la segretaria alzandosi velocemente dalla poltrona per avvicinarsi alla ragazza, abbracciandola.
"Non è colpa di nessuno…Alex non aveva capito, e nemmeno Keith…hanno sempre fatto parte di due mondi così diversi…".
La ragazza dai corti capelli castani continuava a stare immobile, come una statua di marmo. Poi, lentamente, aprì le labbra.
"E' questo…il punto…noi…siamo degli stupidi…viziati…ci lamentiamo della nostra situazione quando…quando…".
Non ce la fece più. Kristine Grover si abbandonò ad un pianto disperato, stringendo forte Nicole.
"Mi dispiace, mi dispiace…se solo avessi saputo, io…", singhiozzò, con la voce rotta.
L'altra cercò di calmarla, accarezzandole la testa.
"No, no…Kris, non devi scusarti…ci sono tanti, tantissimi problemi al mondo…e ognuno ha la sua gravità…nessuno è da considerarsi stupido, o da sottovalutare. Tu…non sei felice perché sei imprigionata in un mondo che non fa per te…hai bisogno di essere libera, e…".
"No, non è vero…non è vero…i miei non sono problemi…". Kris nascose il viso nella spalla dell'amica. "…sono solo le paranoie di una bambina che vuole esser compatita…una bambina che ha tutto, che ha sempre avuto tutto dalla vita, ma che non è mai contenta…ecco chi sono…un'egoista…".
Nicole la strinse a sé ancora un po', poi la allontanò, per guardarla negli occhi.
Scosse la testa."Ascoltami. Tu e Alex siete dei ragazzi fantastici, e non avete proprio nulla da rimproverarvi. E poi, vedrai…tutto si risolverà fra tuo fratello e Keith".
Kristine lasciò le braccia della segretaria. "Io…lo spero".
Detto questo, si girò. Fece un paio di passi, per poi fermarsi.
L'altra, dietro di lei, la osservò tristemente. "Kris…".
"Senti", disse piano la ragazza, senza voltarsi, dopo qualche secondo. "Keith…ha fatto la scelta più giusta decidendo di inseguire il suo sogno?".
Nicole incrociò le braccia.
"Beh…te l' ho detto…lei non aveva capito Alex e Alex non aveva capito lei…quindi non…".
"Intendo scegliendo di mettere in secondo piano i propri sentimenti".
L'ufficio rimase per un po' immerso nel silenzio. Anche la luce rossastra del tramonto inondava la stanza, entrando dalle grandi finestre che davano sulla costa.
Poi, lentamente, Nicole si avvicinò a Kris.
"No, non è giusto", spiegò, sorridendo. "Siamo prima di tutto persone, persone con un cuore che batte nel petto. Persone che hanno bisogno degli altri, sempre…Puoi conquistare il mondo, puoi essere l'uomo più ricco del pianeta, puoi possedere ogni tipo di bene materiale, puoi realizzarti come hai sempre sognato, ma…ma senza l'amore, Kris…senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo, e cioè esseri umani con un'anima, non potrai mai essere davvero felice. I sogni, sì…sono importantissimi…ma c'è bisogno di trovare un equilibrio…di includere in tutto questo ciò che spesso dimentichiamo…".
Kristine si girò. La guardò, gli occhi lucidi.
"…e cosa?".
"Il cuore".
La ragazza annuì piano, poi abbassò la testa .
"Ho…capito".
"Bene…ne sono felice. Sai, non penso che Keith…abbia dimenticato l'amore che provava per Alex. Non avrebbe potuto. E quel giorno…si pentì sicuramente di quello che aveva detto a tuo fratello. Nonostante tutto, lui la ha aspettata, e così avrà fatto lei. Vedi, mia sorella non ha mai avuto l' intenzione di scegliere tra il suo sogno e Alex…".
"Sì, lo so".
Nicole appoggiò un dito sotto al mento di Kris e, alzandoglielo leggermente, la guardò.
"Va tutto bene, piccola?", chiese, preoccupata.
L'altra strinse le labbra, riabbassando con riluttanza il viso. "Credo".
"Vuoi…parlarmi di qualcosa?".
"No, stai tranquilla. Io…ora devo andare".
"Ma…".
"Ci sentiamo presto. Dimmi quando arriverà Keith e non preoccuparti, non dirò ad Alex che mi hai raccontato tutto".
Così, senza dire nient'altro, Kristine uscì dall'ufficio di corsa, per dirigersi più in fretta che poteva agli ascensori.
Lì dentro, avrebbe potuto, finalmente, continuare a piangere.


Le giornate avevano iniziato lentamente a farsi più brevi. Il sole calava sull'orizzonte molto presto, e le strade di Fujisawa piombavano nell'oscurità già nel tardo pomeriggio.
Silenziosa e ferma, l'aria, quella sera, avvolgeva ogni cosa ricoprendola da una leggera seta invisibile.
Kris camminava per le vie quasi deserte, con la testa abbassata, gli occhi fissi sul terreno. Non sapeva nemmeno dove stava andando, le bastava camminare. Camminare, via, lontano da tutti.
Girò un angolo, ritrovandosi accanto a una piccola bancarella illuminata, che vendeva *okonomiyaki. Si fermò, e guardò con un po' di invidia il venditore che stava ridacchiando con i due clienti seduti davanti a lui.
Le sarebbe piaciuto un okonomiyaki. Un buon, caldo okonomiyaki.
Ma…non se la sentiva di fermarsi alla bancarella. Non con quell'umore.
Non con le lacrime che le riempivano gli occhi, non facendole vedere più nulla…
Corse via. Si sentiva male…ma non era solo un dolore fisico…
Magari fosse stato solo quello…ah, sarebbe stato consolante.
Nicole e Keith…Alex e Keith…

Aveva saputo…aveva saputo cose che non avrebbe mai voluto ascoltare.
Cose che forse non avrebbero toccato e sconvolto altre persone…ma…per lei…era diverso.
E non si trattava solo del doloroso passato delle due sorelle Henger, ma di tante, tante altre cose. E, prima fra tutte, il comportamento di Keith.
La ragazza aveva inseguito il suo sogno…un sogno per il quale aveva sofferto, aveva lottato…
Proprio come aveva fatto lei.
Certo, il caso di Keith era stato naturalmente molto diverso, ma…
Non aveva necessariamente fatto una scelta. Non aveva deciso di diventare un'altra persona…di dimenticare quello che era stato…che aveva provato e vissuto…
Vedi, mia sorella non ha mai avuto l' intenzione di scegliere tra il suo sogno e Alex…
Era vero. Keith non si era mai imposta di non amarlo…di dimenticarlo. Sapeva che era sbagliato. Sapeva che non poteva farlo…
I sogni, sì…sono importantissimi…ma c'è bisogno di trovare un equilibrio…
Di includere in tutto questo ciò che spesso dimentichiamo…
Gli aveva chiesto di aspettarla. Ma lui non aveva capito…
"Nemmeno io avevo capito…". Kris continuò a correre, senza fermarsi.
"…ho cercato…di sopprimere i miei sentimenti…e adesso…adesso…".
Senza l'amore, Kris…
Senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo, e cioè esseri umani con un'anima, non potrai mai essere davvero felice.
Nicole…

Oh, come aveva ragione…
Ma perché solo ora si era resa conto di aver sbagliato?
Aveva aspettato troppo…
Tom…Benji…
Kris si fermò, appoggiandosi violentemente contro un muretto di pietra, in fondo a una via. Le mani lungo i fianchi, aperte, sentivano la fredda superficie ruvida dei sassi.
Si accasciò, iniziando a piangere sommessamente.
Ecco che cos'era. Quel vuoto…
Ora sapeva…
Sapeva cosa le mancava.
Cosa le era sempre mancato.
Ma adesso, forse… era…troppo tardi.
Pianse a lungo. Pianse per Nicole, per Keith, per Alex.
Pianse per se stessa.
Versò tutte le sue lacrime, finché non rimase, immobile e in silenzio, a guardare nel vuoto.
Ormai si era fatto tardi. Forse erano le dieci…
Guardò l'orologio al polso, alzando lentamente il braccio. Sì, erano le dieci e venti.
Suo fratello era sicuramente preoccupato. Avrebbe dovuto tornare a casa.
Ma non poteva.
Come lo avrebbe guardato negli occhi?
Come sarebbe riuscita a salutarlo?
E se poi fosse nuovamente scoppiata a piangere davanti a lui? Che cosa gli avrebbe raccontato? No, non voleva che scoprisse che Nicole le aveva detto tutta la verità…non voleva più che suo fratello si preoccupasse per lei.
Era meglio tenere tutto per sé. Sì, era molto meglio soffrire da sola.
Chiuse gli occhi, nascondendo il viso tra le ginocchia, ma proprio in quel momento sentì il cellulare che teneva in tasca suonare. Lo prese, e guardò sul display.
Fissò il nome lampeggiante per qualche secondo con aria triste, poi, schiarendosi la voce, si decise a rispondere.
"Pronto?", disse mascherando la voce tremante per il pianto. "Sì…scusa, ti stavo per telefonare…Jude mi ha pregato di rimanere a dormire da lei…già…non preoccuparti…mh…va, bene, ok…sì, sì, scusa…la prossima volta ti telefono subito. Grazie…va bene, ciao!".
Scostò il telefonino dall'orecchio, e spinse con il pollice uno dei tasti, terminando la telefonata. Alex…
"Uff…", sospirò, guardando per qualche secondo il cielo scuro, senza stelle, sopra di lei.
Rimise il cellulare in tasca, poi si rialzò. Non sapeva cosa avrebbe fatto quella notte…magari avrebbe potuto camminare per tutto il tempo. Ma forse, non era una buona idea.
Attraversò la strada, e proseguì per una delle vie laterali. Dopo qualche minuto, però, si accorse di trovare quella zona, in qualche modo, familiare.

"Qui c'è un sacco di verde…e tutti questi alberi…", si disse, alzando gli occhi verso l'alto. Si avvicinò ad una solida recinzione in mattoni, che circondava una proprietà molto ampia. Non riuscì però a scorgere nulla, perché il muro, alto circa due metri e mezzo, copriva l'intera visuale. Il buio, poi, non aiutava di certo le cose.
Camminò lungo il perimetro della recinzione, finché non arrivò ad un piccolo cancello, posto proprio alla fine della via.
Sembrava l'unica via d'accesso al grande giardino dietro al muro.
"Sì…mi sembra proprio di conoscerlo…", mormorò, cercando di vedere qualcosa oltre le sbarre, nell'oscurità. Molti alberi, un grande prato, una strana fontana sulla destra e, oltre a delle siepi, un portico in stile giapponese, illuminato da un paio di lampioni.
"Deve essere una bella casa", commentò Kristine sorridendo. "Magari ci vive una famiglia…numerosa e felice".
Rimase ferma, le mani sul cancelletto bianco. Poi, di scatto, abbassò la testa.
"Smettila…perché vuoi a tutti i costi fare la vittima?", gridò, serrando le dita intorno alle piccole sbarre lisce.
Credeva di aver esaurito tutte le sue lacrime…e invece, si ritrovò ancora con gli occhi annebbiati.
Perché piangere ancora?
No…non sapeva nemmeno questo. In realtà, forse, era solo confusa.
Stanca, nervosa…sfinita. In quelle ultime settimane…aveva dovuto fare i conti con troppe domande, troppe scelte, troppe verità.
E adesso, non ne poteva più.
Avrebbe voluto solo seguire il suo cuore…per cercare di colmare quel vuoto opprimente che non le lasciava pace…
Smettendo di mascherarsi, smettendo di essere chi non era realmente.
Improvvisamente, un rumore di passi la scosse dai suoi pensieri. Con il volto ancora rigato dalle lacrime, si girò di lato, verso la figura che stava avanzando speditamente dall'altra parte della stradina, immersa nell'ombra.
Kristine si appoggiò alla recinzione, e, socchiudendo gli occhi, cercò di riconoscere la fisionomia del personaggio. Sicuramente, per una ragazza sola, quella non era un'ora particolarmente adatta per camminare nelle vie…Kris non ci aveva proprio pensato, e pur sapendo di somigliare ad un ragazzo in tutto e per tutto, ebbe un attimo di paura.
Si voltò nuovamente, tentata di suonare al citofono della grande casa, quando lo sconosciuto si fermò dietro di lei.
"Ma…Kris?", domandò.
"Tu…?". La ragazza riconobbe i lineamenti dell'individuo. "Price!".
Sì, era proprio Benji. Indossava un lungo impermeabile grigio chiaro, e i suoi intriganti occhi scuri la stavano guardando stupiti.
"Cosa ci fai in giro a quest'ora, Grover?", domandò lui, mettendo le mani nelle tasche.
Kristine preferì evitare il suo sguardo. "Ecco…nulla di particolare".
Benji inclinò la testa, sospettoso. "Mhh…non credo proprio".
Cercò di vedere il viso dell'amico, che però girò di scatto il capo, per nascondere le lacrime.
"Ehi, Kristian…è successo qualcosa? Non mi pare che tu stia tanto bene".
"No…no, sto benissimo", rispose decisa Kris, continuando a guardare dall'altra parte.
Benji sorrise. "Piantala, si vede che stavi piangendo. Però, se non ti va di parlarne…".
Rimase per un po' in silenzio, in attesa di una parola dell'amico. Kris, però, rimase zitta.
Price la osservò preoccupato, poi le mise una mano sulla schiena.
"So che non sono fatti miei, ma…per caso, hai altri problemi con la tua famiglia?", chiese cautamente.
A quelle parole, Kristine rialzò la testa. Sentiva il calore della mano di Price sulla sua scapola. Un tepore che ora le sembrava irradiarsi per tutto il corpo, dopo tanto, solitario freddo…
"…Sì, ho avuto dei problemi…", mormorò.
Dio, come avrebbe voluto buttarsi nelle sue braccia. Stringerlo, sentire il battito rassicurante del suo cuore appoggiando la testa sul suo petto…anche solo per una volta. Solo una.
"Mi dispiace…", disse quindi Benji rammaricato. "E…come mai sei qui? Se non mi sbaglio, casa tua è quasi dall'altra parte della città…".

"Già. E per stanotte non penso che ci tornerò…", rispose tristemente Kris, senza pensarci troppo. Dopodiché, si appoggiò al muro.
Il ragazzo dai corti capelli scuri fissò Kris, non sapendo cos'altro dire. Poi, avvicinandosi al piccolo cancello bianco, tirò fuori dalla tasca sinistra dell'impermeabile un mazzo di chiavi, inserendone una nella serratura.
Kristine guardò la porta aprirsi, sorpresa.
"Ma…allora è casa tua?".
Benji gli restituì lo sguardo, altrettanto sorpreso.
"Certo che lo è…non l'avevi riconosciuta? Questa è l'entrata sul retro. Sai, ero uscito per accompagnare Freddie al taxi che è appena partito per portarlo all'aeroporto di Narita. Deve prendere un volo per Parigi, dove incontrerà Kirk Parson…non so esattamente i motivi del loro incontro. Forse c'entrano i prossimi Europei…ma in ogni caso, credo che non si vedessero da molto tempo".
Kristine annuì. "Sì…Kirk Parson…ne ho…sentito parlare".
Price aprì il cancelletto, e dopo aver estratto la chiave, si rivolse ancora all'amico, dopo un attimo di esitazione.
"Senti, Grover…non pretendo che tu mi racconti cosa ti è successo, ma…di certo non me la sento di lasciarti vagabondare una notte intera a Fujisawa. Quindi, senti…perché non rimani a dormire da me? Non ci sarebbe alcun problema, te lo assicuro…e adesso che Freddie non c'è, mi farebbe piacere avere un po' di compagnia".
Kris si irrigidì.
Aveva…sentito bene?
"Dormire…da te?", ripeté, sentendosi avvampare il viso.
Improvvisamente, il cuore iniziò a batterle all'impazzata...
"Sì…davvero, mi farebbe solo piacere".
La ragazza si staccò dalla recinzione e si voltò, avvicinandosi all'amico.
Dormire da Price…beh, di sicuro non si sarebbe mai aspettata un invito simile. Certo, per Benji lei era solo il suo caro amico Kristian, quindi nulla di strano, ma…ma…
Ma lei…lei era una ragazza. E questo piccolo dettaglio complicava abbastanza le cose.
Ma non era solo questo…
Price…
Non gli era certo indifferente…
Era attratta da lui…perdutamente attratta.
Ecco, era un altro trascurabile, irrilevante problema.
"Kris? Allora, ci stai?". Benji la stava guardando, sorridendole cordiale.
La ragazza incrociò le braccia, tremendamente indecisa.
Se da una parte aveva una paura terribile di essere scoperta, dall'altra…
Beh…
Non le sarebbe dispiaciuto così tanto passare una notte da Price…
"Il mio cuore…non devo dimenticare il mio cuore…", pensò tra sé, ricordando le parole di Nicole. "Però…no, non posso di certo abbandonare i miei sogni".
Cancellò subito dalla mente i ragionamenti di qualche ora prima. L'amica, infatti, non le aveva certo detto di seguire i propri sentimenti non considerando la realizzazione personale…
Strinse le braccia al petto, poi abbassò lo sguardo.
"Ma…se…se potrò passare questi pochi momenti con Price, io…sarò…sarò felice così. Per adesso…mi basterà".
Kristine annuì.
"Va bene, Benji", esclamò quindi, mostrando, finalmente, un sorriso sincero. "Mi dispiace solo che tu debba disturbarti per me…".
L'altro scosse la testa, sorridendo a sua volta.
"Ma come te lo devo dire? Nessun disturbo! E poi, come posso non aiutare un amico in difficoltà? Forza, vieni dentro…ci faremo anche una bella chiacchierata".
La ragazza varcò il cancello e, felice, si girò verso Benji. Dietro di lei, il ragazzo lo richiuse, spingendolo leggermente con una mano.
Kris aspettò che Price la raggiungesse, poi iniziò a camminargli a fianco, attraversando il piccolo giardino del retro per arrivare al delizioso ingresso nel portico. Opposto allo stile dell'immensa villa, grandiosamente occidentale, possedeva però, proprio per questo motivo, un qualcosa di consolante e pieno di calore….
Dei piccoli pipistrelli passarono silenziosamente qualche metro sopra le loro teste, veloci e scuri.
Kristine taceva. Sapeva che stava andando incontro a un grande rischio. Ma in quel momento, nulla le importava più.
Benji era comparso davanti a lei ancora una volta.
E, ancora una volta, in un momento difficile, lei era arrivata davanti a casa sua, per caso…
Proprio come un angelo, Price la proteggeva, la rassicurava…
La ritrovava…sempre.
O forse…era lei a ritrovare lui.
Senza l'amore, Kris…
Senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo,
e cioè esseri umani con un'anima, non potrai mai essere davvero felice.

La ragazza salì il piccolo scalino di legno, e, seguendo il portiere, scomparve con lui dietro agli *shoji che dividevano l'interno della villa dall'intimo giardino avvolto nelle ombre di quella strana e muta notte.
E l'aria, proprio come quella trasportata dalla costa fin su, all'ufficio di Nicole, sapeva di sale.
Un profumo lieve e nostalgico. Così triste.


*NOTE

shoji: pannelli scorrevoli di carta di riso su un'intelaiatura di legno che dividono gli ambienti nella casa di stile giapponese.

okonomiyaki: specie di pizza cotta su piastra, ricoperta da vari ingredienti a scelta tra cui gamberi, calamari, carne di maiale o di manzo, verza, ecc. E' di solito cosparso di scaglie di tonnetto secco.