Kodomo no Omocha: Escape from reality

Cap.3: Tornerò presto, mamma



Sana rimase qualche secondo abbracciata a lui, o meglio, aggrappata a lui, come se fosse stato un’ancora di salvataggio in mezzo alla tempesta dei sentimenti e dei ricordi. Non disse nulla. Non trovava nulla di adeguato da rispondere.
Sentì la sua mano accarezzarle i capelli ancora umidi – Scusa, Sana – la sua voce era incrinata, ma si capiva che era riuscito a riprendere il controllo di se stesso – Non avrei dovuto chiederti una cosa del genere. Fai come se non avessi detto niente.
Akito si accorse che la ragazza stava ricominciando a tremare tra le sue braccia – Ora ti riporto a casa – disse – altrimenti domani ti verrà la febbre. Sei gelata.
- Akito – mormorò Sana, con il volto ancora premuto sul suo petto – saresti disposto a farlo per me… con me?
- A scappare con te? – chiese, rimproverandosi poi mentalmente per quell’esclamazione di poco prima, dettata dalla disperazione – Non si può fare… tua madre…
- Rispondi alla domanda, per favore. Scapperesti con me?
Dopo una lunga pausa, Akito sospirò – Sì. Ti mentirei se dicessi il contrario.
- Allora scappiamo insieme.
- Cosa? Sana, io l’ho detto senza pensarci…
- E io invece ci ho pensato – ribatté lei alzando gli occhi a guardarlo, e Akito vide che la sua espressione era terribilmente determinata – Sono pronta a scappare con te anche adesso… se tu non ti tirerai indietro, ovviamente.
Akito osservò il volto pallido della ragazza che aveva di fronte. I grandi occhi castani fissavano i suoi senza abbassarsi. In quel momento comprese, se possibile più chiaramente di quanto avesse mai fatto prima, con quanta forza l’amava. Dal profondo del cuore. Per sempre.
- No, Sana, non mi tiro indietro. Se tu lo vuoi, sono disposto a fuggire con te ovunque, e in qualunque momento.
Un sorriso riconoscente si dipinse su quel volto che lui amava tanto.
- Domani mattina – sussurrò Akito prendendole delicatamente il volto tra le mani – fatti trovare qui. Ci sarò anch’io. Ce ne andremo insieme.
Sana annuì, e chiuse gli occhi. Immediatamente dopo, le loro labbra si chiusero in un timido ma dolcissimo bacio.

Sana aprì l’armadio e tirò fuori tutta la roba che poteva servire, poi appoggiò la pila di vestiti sul letto per fare una scelta.
Lei e Akito si erano messi d’accordo di partire la mattina seguente, molto presto, perciò doveva preparare le sue cose in quel momento, di sera, quando sua madre e Rei stavano davanti alla televisione e probabilmente non sarebbero saliti in camera sua.
La scelta dei vestiti da portare, molto meditata, cadde su roba semplicissima e comoda: jeans, maglie larghe, magliette dai colori uniformi e non troppo sgargianti. Era meglio non attirare l’attenzione di nessuno.
Infilò tutto nella borsa a tracolla che aveva deciso di utilizzare, grande ma non gigantesca. I vestiti scartati finirono nuovamente nell’armadio.
Sana poi pensò alle scarpe, e optò per degli scarponi neri impermeabili, non troppo belli da vedere, ma caldi e sicuri nella difesa dalla pioggia che continuava a cadere; inoltre mise nella borsa, dentro un sacchetto di plastica, dei mocassini più leggeri.
A quel punto nascose la borsa sotto il letto e si lasciò andare su di esso, spossata da una giornata intensa e anche piuttosto strana. Dolceamara, si sentiva di definirla.
Rimase per parecchi minuti distesa sul letto, con lo sguardo al soffitto, ma che in realtà vagava tra le immagini del giorno trascorso.
Ripensò a Rei, il quale, dopo che l’aveva ritrovata a casa, le aveva fatto una tremenda scenata, certo dettata dallo spavento che gli aveva fatto prendere con quella fuga improvvisa e inaspettata; in ogni caso la reazione non era affatto piaciuta a Sana, che dopo avergli risposto per le rime era corsa a rinchiudersi in camera.
Un po’ le dispiaceva… ma se l’era voluta. Ed era anche per lui, per la sua fissazione di riempirle la giornata di impegni, che aveva preso la decisione di scappare con Akito.
Akito.
Il suo migliore amico, fino a poco tempo prima.
Quasi suo fratello, fino a qualche ora prima.
Il suo ragazzo, ora.
Il volto di Sana andò in fiamme, e lei nascose improvvisamente la testa sotto il cuscino: non si era ancora abituata all’idea, e ogni volta che ripensava a lui le ritornava sulle labbra il sapore del suo bacio, il che la turbava ancora tantissimo, ma nonostante questo, o forse proprio per questo, ogni volta la sua decisione di fuggire con lui ne usciva rafforzata.
Com’era stato diverso il bacio di quel giorno da quello che le aveva dato tanto tempo prima, sulla torre, quando lei gli aveva rovesciato la limonata sulla testa!
Pensando a quell’episodio, Sana finì per ridacchiare, ma poi ritornò subito seria.
Si alzò dal letto e, uscita da camera sua, andò in bagno. Si guardò allo specchio.
Il problema, per lei, era che la sua immagine era ben nota a tutti. Tutti conoscevano Sana. Tutti l’avevano conosciuta nel programma “Kodomo no Omocha”, i suoi fans avevano seguito anche molti sceneggiati in cui era comparsa, e moltissima gente aveva visto le pubblicità in cui era stata testimonial.
Il suo volto conosciuto non solo rischiava di far riconoscere lei, ma metteva in pericolo anche Akito.
Certo non poteva cambiare faccia, ma qualcosa si poteva fare.
Sana rifletté molto, prima di agire, giocherellando pensosamente con una ciocca dei lunghi capelli castani.
Poi, convintasi che non c’era alternativa, aprì un cassetto e ne estrasse un paio di forbici molto grandi e affilate. Raccolse i capelli nella mano sinistra e con le forbici nella destra diede un taglio netto.
Si accorse solo in quel momento di tenere gli occhi chiusi con forza… dopotutto le dispiaceva molto, ma non c’era stata altra scelta.
Aprì gli occhi e guardò l’immagine allo specchio: i capelli, tagliati piuttosto corti, le incorniciavano il viso non arrivando nemmeno alle spalle, e il taglio non rifinito era fin troppo irregolare.
Sana cercò di dare una linea almeno accennata, e in parte vi riuscì, ma fu costretta a tagliarli ancora più corti. Ora sembrava quasi un maschio. Anzi, sembrava proprio un maschio.
Sana raccolse le ciocche di capelli e le gettò nel cestino, coprendo poi tutto con della carta igienica.
Tornò in camera e si buttò di nuovo sul letto, infilandosi sotto le coperte.
Era ora di dormire.
Regolò la suoneria della sveglia alle cinque, quando era sicura che tutti in casa dormissero ancora, e sul suono più basso, in modo che potesse sentirla solo lei.
Poi spense la luce della lampada sul comò e cercò di rilassarsi, tentando di trovare un sonno che arrivò solo molto tempo dopo.

Non erano ancora le sei della mattina, e una nebbia autunnale copriva la città che cominciava in quel momento a risvegliarsi dal torpore della notte.
Sana, quasi nascosta dentro il suo giaccone imbottito, il più caldo che fosse riuscita a trovare, e con la testa coperta da un berretto di lana blu, correva per la stradina principale del parco, provocando uno scricchiolio di ghiaia sotto gli anfibi neri e ampie volute di vapore che a ogni respiro uscivano dalla sua bocca, contrastando con l’aria fredda dell’esterno.
Correva non perché fosse in ritardo, ma perché non vedeva l’ora di avere Akito al suo fianco: con lui si sarebbe sentita di sicuro più protetta, mentre in quel momento, sola, suggestionata dall’azione che stava per compiere e dagli incubi della notte precedente, si sentiva assolutamente indifesa, e le sembrava sempre che qualcuno la seguisse.
Aveva cercato di cacciare la paura di avere sbagliato l’ora e il luogo dell’appuntamento, di non trovare Akito, di un ripensamento da parte del ragazzo, ma erano dubbi che non riusciva a cancellare; invece, la facevano correre più veloce, mentre la borsa a tracolla le colpiva la gamba sinistra a ogni passo.
Arrivata vicino al gazebo, cercò freneticamente Akito con lo sguardo, e lo vide, con grandissimo sollievo, già seduto ad aspettarla.
- Akito! Sono arrivata! – lo chiamò agitando la mano e ricominciando a correre verso di lui.
- Sana! – esclamò lui alzandosi, con un sorriso che gli illuminò il viso pallido per il freddo.
Nell’attimo in cui Sana entrò nel gazebo, lasciò cadere a terra la borsa e gli gettò le braccia al collo con tanta foga da ributtarlo sulla panchina.
- Akito! Akito! Non sai come sono contenta di rivederti!
- Anch’io! Devo confessati che avevo paura che ci avessi ripensato, che non venissi…
- Aveva la stessa angoscia pure io!
Poi l’attenzione di Akito venne attirata dal berretto blu di Sana – Hai raccolto i capelli dentro al cappello? – le chiese non vedendo la folta chioma della ragazza.
Lei scosse la testa, e si tolse il berretto.
Akito rimase di stucco. Sana aveva i capelli cortissimi, come un maschio! Erano solo leggermente più lunghi dei suoi!
- Sana! – esclamò portando la destra alla nuca dell’amica – Ti sei tagliata i capelli!
- Sì. Così sembrerò quasi un ragazzo! – poi, vedendo che Akito era un po’ contrariato, spiegò – Non avevo scelta. La mia faccia è troppo famosa per non essere riconosciuta.
- Hai ragione – sospirò Akito. Poi, in un impeto d’affetto per quella ragazzina che gli dimostrava di avere fegato da vendere, la strinse tra le braccia e la baciò – Ora andiamo – disse poi – dobbiamo prendere un treno.

Rei si alzò a sedere sul letto appena sentì il suono della sveglia sul suo tavolino.
Non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto per tutta la notte, senza trovare pace. I sensi di colpa lo avevano perseguitato fino a quel momento, perciò la sveglia non era servita a destarlo, ma solo ad avvertirlo che erano le sette e quarantacinque, e bisognava alzarsi.
Si massaggiò le tempie dolenti mentre una folla di pensieri si urtavano nella sua mente, ma uno capeggiava su tutti: per prima cosa, avrebbe chiesto ufficialmente scusa a Sana per il suo comportamento. Sì, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto appena la sua piccola si fosse svegliata.
L’aveva trattata con troppa indifferenza negli ultimi tempi, pensando solo al suo lavoro e non rispettando gli spazi che le spettavano di diritto.
Rifiutarle di incontrarsi col suo amico storico… come aveva potuto?!
Dandosi dello stupido, si alzò dal letto e, dopo essersi vestito sommariamente, scese in cucina a versarsi una tazza di latte caldo con l’orzo.
Poco tempo dopo scese anche la signora Kurata, già perfettamente vestita e “addobbata” con uno dei suoi strani cappellini.
- Buongiorno Rei.
- Buongiorno signora.
- Ieri non è stata una giornata particolarmente favorevole, vero? – disse dolcemente, versando dell’acqua bollente nella teiera e immergendovi una bustina di tè.
- No, in effetti – rispose lui bevendo il latte – Ma ho riflettuto tutta la notte, e ho capito di essere in torto. Appena Sana si sveglia, mi scuserò con lei… a proposito, ma a quest’ora non è già in piedi?
- Sì, hai ragione. Forse è meglio che tu vada a svegliarla, non è bene che stia a letto fin dopo le otto. Cosa farà quando ricomincerà la scuola?
- Allora vado da lei, così ne approfitto per parlarle – disse Rei alzandosi dalla sedia.
Raggiunse la porta della camera di Sana, e bussò tre volte, ma non ottenne risposta.
Allora bussò ancora, chiamandola – Sana, stai dormendo? Sana, è meglio che tu scenda, alla tua mamma non fa piacere che tu dorma troppo.
Ancora una volta nessuno rispose.
- Senti, Sana – riprese Rei – se è perché sei arrabbiata con me, ti prego, apri, così ne parliamo. Sana!
Nessuna risposta. Rei, temendo che Sana stesse male o qualcosa del genere, si decise ad entrare senza permesso: spalancò la porta.
La camera era in penombra, la saracinesca mezza abbassata.
Il letto era rifatto perfettamente.
Nella stanza non c’era nessuno.
- Sana! – esclamò Rei allarmato, accendendo la luce ed entrando a grandi passi. Guardandosi attorno col cuore in gola, notò sul cuscino una piccola busta da lettera. Sopra c’era scritto qualcosa.

“Per la mamma e Rei”

Rei la prese e l’aprì con le mani che gli tremavano. Dentro trovò una lettera in cui c’erano poche righe, vergate con una scrittura frettolosa, quasi che Sana avesse deciso di scriverla all’ultimo minuto.

“Cara mamma, caro Rei
perdonatemi per questa mia decisione improvvisa che sicuramente vi addolorerà, ma io ho bisogno di andarmene per un po’ di tempo. Con questa lettera volevo dirvi di non stare troppo in pensiero per me: vi assicuro che avrò cura di me stessa per il tempo in cui sarò lontana da casa. Inoltre, con me c’è anche Akito, perciò non vi dovete preoccupare. Non ho alcuna intenzione di fare sciocchezze, ve l’assicuro. Solo di prendermi un po’ di libertà. Tornerò presto, ma resterò comunque in contatto con voi, vi telefonerò prima possibile.
La vostra affezionatissima
Sana


Rei sentì che le gambe non lo reggevano, e dovette sedersi sul letto. Rilesse ancora quelle righe, quasi per accertarsi che fosse tutto vero, che non fosse un incubo.
Poi, stringendo il foglio nella destra, uscì lentamente dalla camera per andare a dare la brutta notizia alla signora Kurata.



CONTINUA….