Desclaimer. I personaggi presenti in questa fanfic sono frutto dell'immaginazione di Ryoko Ikeda, appartengono alla sua splendida immaginazione. Io li prendo in prestito solo per far vivere ai protagonisti quello che non è stato descritto nel fumetto e nel cartone animato.
Se non amate le storie romantiche non leggete.
I personaggi di Christine e Jerardine gli ho inventati io.
Ringrazio le mie amiche Tina e Terry per i consigli e il sostegno.

LA ZINGARA


01° Giugno 1789


"Morirai giovane, bella signora, ma amerai e sarai molto amata."
Oscar continuava a ripensare alle parole che la giovane zingara le aveva sussurrato in quel caldo pomeriggio di giugno.
Lei e i suoi uomini avevano ricevuto l'ordine di scacciare un accampamento di zingari alle porte di Parigi. La città era già piena di soldati, il popolo poteva insorgere ad ogni momento, gruppi di persone esasperate, piene d'odio, si aggiravano per la capitale. Oscar lo sapeva bene, la brutta esperienza nella carrozza era solo un piccolo assaggio di ciò che il popolo poteva fare.
Al ricordo rabbrividì, l'idea di perderlo la faceva impazzire.
"Sarai molto amata…." Non era certo la profezia di una zingara a turbarla. Lei lo sapeva ormai, lo sapeva da tanto…. Erano anni che Andrè si era dichiarato, ma lei non era mai riuscita a capire cosa fosse lui per lei.
Era difficile per lei ammettere di saper amare. Le mancava il coraggio, non riusciva a farsene una ragione. Aveva un carattere schivo, riservato, non pensava di riuscire a liberare i propri sentimenti. Erano rinchiusi nel suo cuore. Non aveva il coraggio di liberarli come una colomba che vola libera nel cielo. L'amore, i sentimenti….. Aveva provato a dichiararsi. Ci aveva provato con Fersen, ma lo aveva perso per sempre come amico, amante lo era stato solo nei suoi sogni. Rivederlo non le aveva causato nessun effetto strano, nessun batticuore. La prima cosa che le era venuta in mente era stata "Sono viva, mi sento a pezzi ma sono viva. Andrè perché non è qui? Lo hanno portato via?!" Il cuore le si era fermato, il sangue non scorreva più nelle vene, il suo corpo era diventato di ghiaccio. Aveva raccolto tutte le sue energie, per gridare in faccia a Fersen che doveva andare a salvarlo. Finalmente lo aveva detto. "Il mio Andrè…" Tre semplici parole. Le avevano fatto capire tutto. "Il mio Andrè è in pericolo, lasciatemi" Era rimasta immobile, esterrefatta. Rivedeva uno stranito Fersen che le diceva "Andrò a salvare io il vostro amico." Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Finalmente dopo anni d'incertezze se essere o no un uomo e vivere come tale, Oscar aveva finalmente ammesso a se stessa che era una donna e poteva amare come una donna.
"Comandante il campo è stato sgomberato." La voce alle sue spalle la fece trasalire, si girò. I suoi soldati erano perfettamente allineati sui loro cavalli. Le armi in spalla, stanchi. "Grazie Alain, torniamo in caserma."
Mandare via gli zingari non era stato semplice, ci avevano impiegato tutta la giornata. I gitani erano un popolo fiero e indipendente. Non si facevano comandare da nessuno. Sorrise al ricordo, Oscar incontrava sempre uomini che non si facevano comandare da nessuno, ma finivano sempre per ubbidirle. Sorrise tra sé. Girodel era uno di questi uomini, Alain anche.
Aveva parlato con il capo, un uomo sui cinquanta, con capelli e barba brizzolati, la pelle scura, bruciata dal sole, il corpo solido e massiccio. Un uomo imponente. Oscar non aveva esitato, come sempre. Era scesa da cavallo, lo aveva guardato negli occhi nocciola. Gli aveva chiesto, in tono autoritario, non irriverente, di andarsene. Gli altri zingari l'avevano circondata minacciosi, sguardi ostili, fucili e pugnali in mano.
"Se mi attaccherete i miei uomini reagiranno. Nel vostro campo ci sono donne e bambini. Collaborate, non ho nessun'intenzione di usare la violenza e spargere il vostro sangue o quello dei miei uomini." Disse a voce alta e sicura.
Il capo alzò una mano, facendo segno ai suoi uomini di ritirarsi. Quella donna in uniforme blu aveva coraggio da vendere. Si giro verso i suoi compagni. "Ce ne andiamo, questa giovane donna parla come un saggio." Prepariamoci a partire. Nessuno dovrà morire fuori dalle porte di Parigi."

I soldati erano visibilmente sollevati. Contenti di non dover combattere. Seduti sui loro cavalli guardavano il via vai di donne, uomini, bambini preparare le loro cose per riprendere il viaggio verso sud.
Un bimbetto di tre anni si avvicinò incerto a uno dei soldati. André gli sorrise, vedendo che il bimbo cercava di allungare le manine verso il muso dell'animale, scese da cavallo, lo prese in braccio e lo avvicinò. Il bimbo tutto contento si mise a ridere. Non aveva mai visto dei cavalli così grandi e tutti dello stesso colore. Una donna minuta con gli stessi occhi nocciola del bimbo si avvicinò ad Andrè ringraziandolo. Il bimbo ritornò tra le braccia della madre tutto soddisfatto.
Era come se il tempo si fosse fermato e subito rimesso a scorrere. Gli uomini sempre all'erta avevano smesso di attorcigliare corde, caricare casse, smontare tende per vedere come reagiva il soldato. Poi tutto era ripreso.
Anche Oscar aveva visto la scena, si sentiva onorata di essere amata da un uomo così gentile. La madre del bambino le si avvicinò, "Dammi la mano, bella signora." Oscar voleva replicare, non credeva a certe cose, ma senza rendersene conto gli e la porse. L'espressione della zingara da serena diventò preoccupata. Gli occhi tristi fissarono quelli di Oscar, per nulla sorpresi. "Morirai bella signora, ma forse questo lo sai già." Oscar le sorrise, sapeva di avere la tisi, il viso pallido, spento, la tosse secca che non le dava tregua, il sangue, la sensazione di avere sempre la febbre, la spossatezza che l'accompagnava fin dal mattino quando si alzava per tutta la giornata. Erano sintomi chiarissimi. Per sicurezza sarebbe andata dal medico, appena avrebbe avuto un po' di tempo.
La zingara continuò. "Ma in questa breve vita, ti sarà concesso di amare, amare molto e di essere molto amata." La zingara dai lunghi capelli corvini si voltò per guardare l'uomo che poco prima aveva preso suo figlio tra le braccia. Poi guardò Oscar. "Sarai molto amata."
Questa volta fu Oscar ad essere sorpresa, non si aspettava le parole della donna, tantomeno che guardasse Andrè. Distolse gli occhi dalla donna, imbarazzata. Proprio in quel momento arrivò il capo. "Dei soldati che si fanno comandare da una donna, dovete essere una persona speciale e un buon comandante. Ce ne andiamo, non perché ce lo avete ordinato voi, sia ben chiaro. Su questa città si stanno addensando nuvole nere, portatrici di morte e violenza."
Oscar guardò Parigi, da lontano si vedevano indistinti tetti e campanili; il cielo era limpido, azzurro intenso. Soffiava una lieve brezza che dava un certo sollievo a uomini e animali nella calura del pomeriggio.
Mentre guardava la carovana allontanarsi lentamente, Oscar ripensava alle parole della zingara: "Sarai molto amata."
Emise un sospiro profondo, trasalì, si rese conto che i soldati stavano aspettando l'ordine di rimettersi in cammino.
"Tornati in caserma, per oggi sarete liberi. Niente esercitazioni. Questa sera libera uscita per tutti…" Disse in tono serio, ma un sorriso le curvò le labbra sentendo le ovazioni di gioia dei soldati.
Doveva parlare ad Andrè, voleva dirgli quanto lo amava, sentire il suo caldo abbraccio. Quella sera avrebbe provato a parlargli. Aveva il coraggio di affrontare degli uomini armati, ma non riusciva a dire all'uomo più importante della sua vita due semplici parole. Dannata timidezza, avrebbe voluto essere spontanea come quel bambino gitano. Avvicinarsi a lui, dirgli quanto era importante per lei. Dirgli che senza di lui si sentiva persa, che la sua presenza le dava forza, la rassicurava. Belle parole pensò, avrò mai il coraggio di dirglielo?
I soldati ritornarono in caserma. Attraversando la città incontrarono altri reparti, vigili, ostili. Il popolo, gruppetti di persone, guardavano i soldati preoccupati. La tensione era palpabile, nell'aria. Ancora a nessuno era venuta la bella idea di armarsi, la gente se ne andava in giro senza fucili, forconi, piccozze pensò Oscar, ma quando sarebbe successo sarebbe stata davvero dura, calmare gli animi cercando di non far del male a nessuno. La tensione era palpabile nell'aria, la gente aveva paura e ce l'avevano anche i soldati. Oscar sapeva bene a cosa portasse la disperazione, lei e André avevano rischiato di morire. Ma per fortuna era passata.
Rientrando in caserma Oscar percorse il lungo corridoio, immerso nella penombra, dalle vetrate entrava una luce arancione, il sole era una palla rosso fuoco, arrivò nel suo ufficio. Sulla scrivania c'erano dei documenti da visionare e da firmare. Questa sera farò tardi, ma non sarebbe una cattiva idea tornare a casa con André, pensò. Prima di mettersi al lavoro decise di godersi gli ultimi istanti di un tramonto magnifico, si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Il sole era uno spicchio rosso, all'orizzonte si vedevano il rosso, l'arancio sfumando nel bianco, nell'azzurro sempre più scuro, nel blu notte. Verso l'alto le prime stelle della sera iniziavano a brillare. Rapita da questo spettacolo Oscar abbassò lo sguardo verso il basso. Notò che nel cortile un soldato parlava a una donna. Era André. Andrè le sorrideva e le parlava, ogni tanto metteva una mano dietro la testa, in atteggiamento imbarazzato. Dopo poco tempo un altro soldato si aggiunse ai due, era Alain. Salutò la giovane e le diede un pacchetto. Anche Alain le sorrideva. Sembravano entrambi rapiti da quella piccola donna. (Accanto a quei due anche la Shiffer è minuta) La giovane era carina, aveva di sicuro meno di vent'anni. Minuta ben proporzionata. Assomigliava a Diane ma aveva capelli rossi e un sorriso dolcissimo. Vedendo la scena ad Oscar si chiuse lo stomaco in una morsa, i battiti del cuore accelerati. Cosa mi sta succedendo, sono gelosa? Da quella distanza poteva sentire solo voci indistinte e risate. Oscar sospirò, allontanandosi dalla finestra, si sentì improvvisamente stanca. Decise di far chiamare André più tardi, visto che ora era impegnato.
Anche se le era difficile concentrarsi, ci provò. Il lavoro riuscì a non farle pensare l'episodio del cortile.
La sera era ormai calata, l'aria si era fatta più fresca, dando sollievo alla calura estiva che quell'anno il 1789, si era già fatta sentire dai primi di maggio.
Oscar sentì bussare, "Avanti" disse ad alta voce, ma il tono sembrava stanco. Lo vide entrare e mettersi sull'attenti. "André Grandier a rapporto. Come posso esserle utile?" chiese Andrè. Oscar stette al gioco e disse "Tornando con me a Palazzo Jarjayes questa sera." Andrè stava per ribattere ma lei lo bloccò continuando "Tua nonna è molto preoccupata per te, e da mesi che non ti vede, mi ha chiesto di riportarti a casa." Alzandosi in piedi, si udì lo stridio della sedia sul pavimento. "Qui ho finito, si parte tra cinque minuti, gli ordini del comandante non si discutono." André era rimasto stupito, ma sapeva che quel tono di voce, anche se per gioco, non ammetteva repliche. "Sì signore" le disse sorridendole, si voltò e uscì dalla stanza. Oscar si era riseduta, aveva appoggiato la schiena contro lo schienale. Sarai molto amata, ripensò alle parole della zingara per alcuni secondi. Controllò le ultime scartoffie, aveva finalmente finito. Si alzò, uscì dalla stanza.
Il viaggio verso palazzo era stato tranquillo, entrambi erano rimasti in silenzio, erano andati al trotto per non stancare i cavalli. Arrivati a palazzo, André era rimasto nelle stalle ad occuparsi dei cavalli. Oscar era andata in cucina. "Ben tornata, Madamigella Oscar." La salutò la nonna. Prima che potesse dirle qualcosa di Andrè, "Ciao nonnina, ci sono anche io." Una voce alle spalle della governante la fece girare. "Tuu, e cosa ci fai tu qui? Ti hanno dato una licenza, o ti hanno sbattuto fuori dall'esercito perché sei un fannullone nato?" Andrè le sorrise in maniera birichina. "No ancora mi tengono, ma tu non mi aspettavi? Non sei stata tu a chiedere a Oscar di….?" In quel momento Oscar si vide gli sguardi di nonna e nipote puntati addosso. Si sentì in imbarazzo, non sapeva come fare per salvarsi da quella situazione così assurda. La nonna le venne in soccorso, "Ma giaa, avevo detto a Madamigella che volevo rivedere quel fannullone di mio nipote, ma non pensavo così presto." La vecchia governante sorrise al nipote, lo trattava sempre male, ma in realtà gli voleva un bene dell'anima. Era un ragazzo d'oro e lo sapeva. Aveva cercato di essere severa con lui, perché crescere un bambino da sola era difficile, forse lo era stata un po' troppo, ma il suo nipotino (si fa per dire) era diventato un bravo ragazzo, onesto e ligio al dovere. Andrè annusò l'aria, c'era un buon profumo di stufato. "Nonnina, sono contento di essere tornato a casa anche per i tuoi piatti. Ero stufo della cucina della caserma. Che buon odore, fammi indovinare, stufato con patate al forno." Andrè stava per aprire la pentola sul fuoco, ma la nonna gli si mise davanti bloccandolo, le mani sui fianchi. "Non ti azzardare sai? Prima vai a cambiarti e a lavarti, poi si mangia, fila!" "Sì signora, farò in un lampo, ho una fame." Poi aggiunse. "Sembra proprio che io sia nato per ricevere ordini." Rise uscendo dalla cucina. Oscar e la nonna lo seguirono con lo sguardo. Rimaste sole, Oscar ringraziò l'anziana donna e le disse: "Andrè ed Io non siamo più dei bambini, ormai siamo cresciuti. Ma ti devo ringraziare perché l'hai portato qui con te quando perse i genitori. Se non l'avessi fatto, la mia vita sarebbe stata diversa, forse più triste. Ormai lui fa parte della mia vita, non saprei cosa fare senza di lui e non avrei mai capito cosa significa essere amata. Ti ringrazio anche per questo." Alla nonna si riempirono gli occhi di lacrime "No, sono io che vi devo ringraziare perché mi avete permesso di portare mio nipote qui. Qui ha avuto una casa, del cibo dell'istruzione e ha avuto voi come compagna di giochi. Se è diventato la persona onesta che è, è anche grazie a voi." Oscar prese un respiro profondo "Allora sappi, ma che nessun altro venga a saperlo, che tuo nipote mi ha rubato il cuore con la sua dolcezza, con il suo amore, il suo coraggio. Lo ritengo migliore di tanti nobili che di nobile hanno solo il titolo e nient'altro." Oscar sorrise all'anziana donna, stupita da una simile confessione, ma contenta per suo nipote. "Ora è meglio che vada a cambiarmi anch'io se no André si mangia tutto lo stufato e a me non lascia niente." La giovane si congedò in questo modo. La governante ancora emozionata per la confessione, pensò "Com'è strano questo mondo, nobili che s'innamorano di servi e servi che s'innamorano di nobili. Per me sta andando tutto storto, l'unica cosa che m'interessa è che i miei due ragazzi stiano bene."
Dopo mangiato Oscar era andata nella sua stanza, la finestra era spalancata per far entrare un po' d'aria, le tende bianche mosse dal vento sembravano spiriti danzanti entrati nella stanza attirati dalla musica. Oscar si era seduta al piano, voleva rilassarsi, non voleva pensare a nulla. La musica l'aiutava, si concentrava sulle note di Mozart e le sue dita magicamente sfioravano i tasti, veloci, iniziando una dolce melodia. Oscar suonava da tanti anni, i movimenti erano mnemonici. Ma come le capitava spesso, all'inizio si concentrava sulle note riuscendo a non pensare, poi nella sua mente accanto agli spartiti di Mozart comparivano immagini. Le immagini della giornata. La zingara che le diceva del suo destino, André che avvicinava il bimbo al cavallo, Andrè che sorrideva alla giovane donna nel cortile della caserma. Sbagliò una nota, poi un'altra. Si fermò un momento per scacciare quell'immagine dalla sua mente. Un respiro profondo e riprese. La musica echeggiò in tutta la casa.
André seduto per terra, la schiena appoggiata al muro, aveva gli occhi chiusi, i capelli mossi dal vento. Stava ascoltando la musica dalla torre di Palazzo Jarjares, il suo posto preferito da quando era piccolo. Lì si godeva un panorama stupendo, in estate soffiava una leggera brezza, anche nelle ore più calde si stava bene. Andava lì quando aveva un po' di tempo libero, leggeva un libro, mangiava una mela, pensava. In inverno anche se faceva freddo amava sedersi in quel posto, guardava il panorama e pensava. Anche se ormai la sua vista era peggiorata, riusciva a distinguere i colori. E comunque erano talmente tanti anni che andava lassù che conosceva perfettamente ciò che lo circondava.
Quando Oscar sbagliò l'accordo (ma si dice così?) André chinò il capo verso destra come per ascoltare meglio e aggrottò le sopraciglia. Oscar non sbagliava mai in questo punto, chissà a cosa sta pensando, pensò. Poi sorrise ripensando a quella sera in cucina. Si era accorto che Oscar si era inventata una frottola per portarlo a casa, era uno strano comportamento da parte sua, ma questa piccola bugia gli aveva fatto un enorme piacere. Era da tanto che non passava un po' di tempo con sua nonna e soprattutto con lei. Pur facendo lo stesso lavoro si vedevano veramente poco, erano sempre in giro; a volte non si vedevano per giorni, o se si vedevano non avevano il tempo per salutarsi o chiaccherare. Oscar riprese a suonare, André aprì gli occhi, appoggiò la testa al muro, continuando a pensare. Anche se vivevano nello stesso luogo, sia in caserma sia in casa, era sempre difficile incontrarsi e parlare. La vita era diventata troppo frenetica, troppi impegni, troppi doveri. Era talmente assorto che non si accorse che Oscar aveva smesso di suonare, sentì dei passi provenire dalle scale a chiocciola, passi leggeri, conosceva talmente bene quei passi, li conosceva da più di vent'anni. "Oscar sei tu?" le chiese. "Sì André sono io." In mano aveva una bottiglia di vino rosso e due bicchieri. Non riuscendo più a suonare era corsa in cucina e non facendosi vedere dalla nonna aveva preso il vino e i due bicchieri. Poi aveva provato a bussare nella stanza di Andrè, ma non l'aveva trovato, aveva provato nelle stalle, ma non c'era neanche lì. Poi si ricordò della torre e, infatti, lo trovò lì. Nel buio della notte aveva visto un uomo di profilo, guardare il cielo stellato, i capelli mossi dal vento, assorto nei suoi pensieri. Quando la sentì arrivare, trasalì e disse, "Oscar." La ragazza sorrise, riusciva a riconoscerla anche dai passi. "Che bel venticello, vieni sempre qui a prendere il fresco." Esordì, mentre gli si sedeva accanto. André si scostò per farle posto. "Qui si sta bene, fa fresco e c'è calma. Questa notte c'è una luna stupenda." La guardò "Non avevi più voglia di suonare?" Lei gli sorrise, "Ho portato qualcosa di buono, senza farmi vedere da tua nonna. E no, non ero abbastanza concentrata, forse il troppo caldo." Mentì. Gli porse un bicchiere e gli versò il vino, poi anche lei si versò da bere, si appoggiò al muro. "Il troppo caldo o troppi pensieri?" André ora continuava a guardarla. Sapeva che Oscar era turbata da qualcosa, gli e lo leggeva in faccia, voleva sapere. Oscar lo guardò di traverso, sorseggiando il vino dolce. Gli sorrise, "Non ti si può nascondere niente." Gli disse. "Sono troppi anni che ti conosco…C'è qualcosa che vuoi dirmi, ma non riesci a trovare le parole." Oscar rimase a bocca aperta, ma che impertinente pensò, la cosa le dava parecchio fastidio, André la conosceva fin troppo bene. "Si è vero. Ti devo dire e chiedere delle cose." "Chiedi, sono qui apposta." André fissò il bicchiere di vino, sapeva che se l'avesse guardata, se ne sarebbe andata via. Assaggiò un po' di vino e attese. "Oggi ti ho visto nel cortile con una donna, volevo sapere…chi era" Oscar disse questa frase lentamente, un po' imbarazzata. Andrè questa volta, la guardò. Oscar si sentì il suo sguardo addosso, si sentì arrossire, ma nella notte neanche lui poteva accorgersene. Le sorrise. "Ah, la piccola Christine. Una ragazza molto dolce." Lo stomaco di Oscar si contrasse, il vino le si era bloccato sullo stomaco. "Io e Alain l'abbiamo conosciuta, in circostanze poco felici." Oscar distese le gambe. "E' successo in inverno un anno e mezzo fa, non ricordo bene quando. Una notte eravamo di guardia, avevamo visto una figura accanto a un ponte, si stava sporgendo un po' troppo. Era Christine, voleva suicidarsi. Si buttò nel fiume gelido, Alain fu il primo a buttarsi. Riuscì a prenderla per miracolo. La riportammo a casa sua, quando si fu ripresa ci raccontò la sua storia e il perché del folle gesto. Si era sposata con l'uomo che amava da sempre, erano cresciuti nello stesso quartiere, si conoscevano da sempre. Il matrimonio era durato poco, in meno di un anno era diventata già vedova. Suo marito era morto in fabbrica, un incidente sul lavoro. La cosa più straziante per lei fu lo scoprire di aspettare un bambino e non averlo potuto dire al marito." Fu Oscar a parlare "Poveretta." André continuò "Era da sola, non aveva un lavoro stabile e per di più, anche in cinta. Non era certo una bella situazione." Alain si era subito affezionato a quella ragazza, forse gli ricordava Diane. Si offrì di fare da padrino al bimbo quando sarebbe nato. E io non potevo certo tirarmi indietro." André sorrise ripensando agli avvenimenti di mesi prima. "La cosa più strana è che dovrei essere io il padrino di Jerardine, perché l'ho fatta nascere io." Oscar lo guardò con gli occhi sbarrati. "Coosa? Hai fatto nascere un bambino?" André si mise una mano dietro la testa, era imbarazzato, non voleva sembrare un eroe. "Eh già, è accaduto tutto molto in fretta." Oscar appoggiò il bicchiere sul pavimento, era contenta, perché Christine non era importante per André o almeno lo era ma da un altro punto di vista. Oscar si stava rilassando, per tutta la serata era stata sulle spine e gelosa, molto gelosa di quella donna. Ma non avrebbe dovuto. "Racconta sono curiosa" Oscar aveva incrociato le gambe e lo guardava sorridendogli, più rilassata. Andrè allungò il braccio per prendere la bottiglia che era accanto ad Oscar, le sfiorò il braccio, ma lei non disse niente. Il giovane si versò da bere e riprese il racconto. "Circa sette mesi fa, eravamo andati a trovare Christine. Sapevamo che era quasi a termine. Ma a casa non c'era. Eravamo ritornati in strada, c'eravamo diretti verso il mercato, speravamo di incontrarla lì. Infatti, dopo poco tempo la incontrammo. Era andata a fare la spesa. Stavamo chiacchierando tranquilli Alain la stava sgridando in maniera bonaria perché i pacchi erano troppo pesanti, io gli e li presi, quando Christine fece una smorfia di dolore, le si erano rotte le acque." Andrè rise al ricordo "Io e Alain non sapevamo cosa fare, sembrava che noi dovessimo partorire, non lei, ma la più tranquilla era proprio lei, continuava a dirci di stare calmi. Alain decise di andare a chiamare il medico, io mi occupai di Christine." Andrè sorseggiò il vino, pensando alle parole da dire. "Ci dirigemmo verso casa lentamente, ma sempre più spesso avvertiva delle contrazioni molto forti." Andrè guardò Oscar continuando "La gente per strada ci guardava, pensavano che fossi io il marito. Ma purtroppo non riuscimmo ad arrivare a casa. Il bambino voleva nascere a tutti i costi per strada." "E allora?" Chiese incuriosita Oscar "Beh, devo dire di essere stato molto fortunato, perché il bambino, anzi no, la bambina si presentava giusta. Ha fatto tutto madre natura. Anzi Christine è stata molto brava. Sempre concentrata, spingeva nei momenti giusti. Pur essendo molto giovane, ha solo diciassette anni, era lei a dirmi di stare calmo, che sarebbe andato tutto bene. Si può dire che la bambina è uscita praticamente da sola. Io non ho fatto niente. L'unica cosa che mi ha preoccupato un po' è stato il cordone attorno al collo. La bimba non respirava. Gli e l'ho tolto, poi l'ho tenuta per i piedi le ho dato un colpetto sul sederino e con mio grande sollievo ha cominciato a piangere. Una gran bella voce. Mi sono tolto il mantello l'ho avvolto attorno al corpicino, faceva freddo. Proprio in quel momento sono arrivati Alain e il medico. Io tenevo la bimba, Alain aveva preso in braccio Christine e le abbiamo portate in casa. Il medico aveva visitato entrambe. Dopo averci detto che stavano bene abbiamo tirato un sospiro di sollievo." "Allora perché oggi Christine è venuta a trovarvi? Non era giorno di visite." Chiese Oscar. "Oggi la piccola Jerardine ha compiuto sette mesi, Alain, io e Christine ci siamo ripromessi di vederci a ogni primo del mese. Per fare un piccolo regalo alla bimba e per rivederla." Oscar era rimasta ad ascoltare, André sembrava davvero contento. "Devi vederla Oscar, è una bimba bellissima, ha gli occhi azzurri della mamma e i capelli scuri del papà. Io e Alain sembriamo davvero i suoi papà. E' così buona, mangia e dorme, ora ha anche iniziato a conoscerci, quando ci vede ride sempre." Oscar stava ad ascoltarlo e lo guardava, al mio André brillano gli occhi di gioia, sarebbe un ottimo padre, pensò e gli e lo disse. "Penso che saresti un buon padre, André. Severo quanto basta, ma non troppo." André rise. "Io invece penso che saresti una pessima madre, Oscar." Lei lo fulminò con lo sguardo. "E perché sentiamo?" disse in tono semi arrabbiato. "Perché sei troppo permalosa e non sai stare agli scherzi." André la guardava con il sorriso sulle labbra. "In realtà penso che saresti un'ottima madre, attenta e premurosa." Oscar pensò alle sue parole, se anni prima gli avesse fatto un discorso del genere, di sicuro gli avrebbe mollato un pugno in faccia, dicendogli che lei era un uomo e quelle cose non facevano per lei. Ma ora era diverso, lei era cambiata, si sentiva una donna, per la prima volta nella sua vita. Ora era André stupito "Oggi sei proprio strana, Oscar. Sei sicura di stare bene? A te non piace quando ti dico queste cose." "Le persone cambiano, André, io sono cambiata, non sono più la Oscar di una volta." Ora lo guardava. "Se sono cambiata lo devo a te. Sai, oggi quella zingara mi ha letto la mano. Mi ha detto che morirò…" André la guardava, un po' stupito. "Dai Oscar, tutti dobbiamo morire un giorno." Finì di bere il vino, appoggiò il bicchiere a terra. "Non crederai mica alle parole di una zingara?" Oscar era rimasta zitta. "Potrei leggerti anche io la mano." Gli e la prese, con l'indice della mano destra iniziò a sfiorarle il palmo. "Ci sono tanti modi per morire, potresti morire a causa di una malattia o ti potrebbero uccidere in duello o in battaglia. Quella zingara ha visto che sei un soldato, il nostro lavoro è rischioso, sempre a contatto con le armi e la delinquenza. Non ci vuole certo un veggente per capire che siamo in costante pericolo." "Allora sentiamo, cos'altro mi avrebbe detto quella zingara?" Oscar avvicinò il viso a quello di André. Lui si scostò un po', non era abituato ad avere il corpo di Oscar così vicino. Le teneva sempre la mano. "Non saprei, ma di solito dopo la morte, ci sono salute e amore." Oscar gli si era allontanata, tornando al suo posto "Bravo, hai un futuro da cartomante. La zingara mi ha anche detto che amerò, e sarò molto amata." Fece una pausa prima di ricominciare. "Ma quello che non sai, è che la zingara dopo questa frase si è voltata e ha guardato verso te." Andrè lasciò la mano di Oscar, il cuore aveva accelerato i battiti. Lei gli appoggiò la testa sulla spalla. "In questo avevi ragione, non ho certo bisogno di una zingara per sapere che sono amata, da un uomo meraviglioso come te." Gli si avvicinò e gli diede un lieve bacio sulle labbra. Dopo il bacio André si ritrasse, facendo cadere il bicchiere accanto a sé. "No, Oscar. Ti prego, io non voglio più farti del male, o farti soffrire. Se ti tenessi tra le braccia, io perderei quel poco di controllo che ho…. Rischiando di farti del male, ti perderei per sempre. E' già capitato una volta. Non voglio perderti, ora che tra noi si è riaperto un dialogo." Si era alzato in piedi. Si stava allontanando da lei. Oscar non capiva, ora era lui che fuggiva da lei, o non si era accorto di quanto lo amasse. Ora era lui che fuggiva, ma perché? Sentì un vuoto dentro di sé, freddo tanto freddo, non riusciva ad alzarsi, le tremavano le gambe, ma doveva fermarlo. Per la prima volta nella sua vita reagì d'istinto "Andrè, io ti amo." Oscar aveva finalmente trovato il coraggio di dirglielo. Era la verità, lo amava da tanto, ma che fatica tirare fuori queste parole. André si girò per guardarla, era ancora seduta a terra. Aveva gli occhi lucidi e spalancati, le guance arrossate. I capelli toccavano terra. La mia Oscar è bellissima, forse perché è innamorata, pensò. Oscar aveva paura che lui non l'avesse sentita. André aveva capito bene. Le si avvicinò, si chinò verso di lei, appoggiando un ginocchio a terra, con il dorso della mano le accarezzò una guancia. La mano era grande e calda, dava alla donna una sensazione di calore e sicurezza. La mano scese verso il collo, Oscar chinò la testa verso destra, prendendo la mano tra le sue. Andrè si accorse che era ghiacciata. Ora si era seduto, aveva attirato Oscar a sé, abbracciandola. Aveva sognato questo momento da sempre, ora che poteva tenerla tra le braccia, non sapeva cosa dire. Oscar gli mise un braccio intorno al collo, erano così vicini…. Sempre più vicini, le loro bocche si sfiorarono, si unirono in un tenero lungo dolce bacio.
Le sue labbra sono calde e morbide, la lingua ha un buon sapore di vino, pensò Oscar. Emise un sospiro, "Cosa c'è, Oscar?" Lei lo guardò sorridendogli "Non sono abituata a tutto questo, ma è bello." Appoggiò la testa sul suo petto, i battiti del suo cuore erano ritmici e calmi. André la teneva stretta delicatamente come una cosa preziosa, piccola indifesa. "Rimarrei qui pero ore con te. Non mi stancherei mai. Sono felice, l'uomo più felice del mondo. Se in questo momento mi chiedessero di scegliere se diventare il re di Francia o poterti tenere stretta tra le braccia….Beh sceglierei di diventare re di Francia." Oscar gli diede un'occhiataccia. "Ti sto già abbracciando. E mi sembra di essere in paradiso." Le diede un bacio sulla punta del naso. Risero contemporaneamente.
André diventò improvvisamente serio. "Oscar, lo sai che non potremmo mai sposarci, tuo padre non acconsentirebbe mai al matrimonio con un…" Oscar gli mise due dita sulle labbra per impedirgli di continuare. "A me non importa quello che pensa mio padre. Io non sono la sua bambola, o un giocattolo nelle sue mani. Io voglio essere libera di amare un uomo dolce e premuroso come te. Un uomo, non un titolo nobiliare. Se tu avessi un titolo a mio padre non andresti bene lo stesso." Andrè aveva appoggiato il mento sui suoi capelli. "Non è vero, Girodel è nobile e tuo padre ha accettato la sua proposta…" "Ma sono io che non ho accettato. Lui per me rimane un amico di vecchia data. Sei tu l'uomo che amo." Le diede un bacio sui capelli. "Ho aspettato vent'anni, ma ora mi sento l'uomo più felice del mondo. Me lo hai già detto due volte in una sera. Vuoi recuperare il tempo perso in tutti questi anni?" Oscar rise, soffocando la sua risata nel petto di André. Gli piaceva stare con lui, anche se in tutti quegli anni erano stati sempre vicini, lo erano stati come amici. Ma da oggi le cose sarebbero cambiate. "Oscar, posso chiederti un favore?" "Sì André" "Farai tutto quello che ti chiederò di fare?" Oscar lo guardò un po' perplessa "Non avrai mica intenzione di fare l'amore con me questa notte stessa…." Ora il naso di Oscar toccava la punta del naso di André. Lui si mise a ridere "Ohh, lo vorrei tanto, non sai quanto. Ma per questa sera sono contentissimo di sapere che mi ami, per ora mi basta. Allora chiudi gli occhi." Oscar li chiuse "Sdraiati a terra" Oscar si sdraiò, il pavimento era freddo. Rabbrividì. Si sentì abbracciare e sentì tutto il peso del corpo di André su di se. André la stava abbracciando, aveva messo le sue mani sotto la schiena, tenendola come un cuscino; com'erano calde le sue mani. Aveva appoggiato la testa sul suo seno, l'orecchio sinistro sul seno sinistro, stava ascoltando il battito del suo cuore. Il loro respiro era sincronizzato perfettamente. Oscar accarezzava i suoi capelli scuri, André rimaneva in silenzio, gli occhi chiusi. Concentrato sul suono del battito, contento di poter stare così vicino ad Oscar, amava il suo seno, era così morbido. Rimasero così per parecchio tempo, poi André aprì gli occhi, la guardò. Si vide due stagni azzurri puntati addosso. Le sorrise "Grazie, Oscar. Era da una vita che desideravo ascoltare il tuo cuore." "Potrai farlo tutte le volte che vorrai." Gli disse, abbracciandolo forte. Le baciò il seno, maledetta camicia, pensò. A malincuore decise che era ora di andare a dormire, si alzò. Non avrebbe mai voluto ma ci riuscì. Porse una mano a Oscar, lei la prese e si alzò a sua volta. Prese la bottiglia di vino, André i due bicchieri, scesero le scale allacciati. Solo quando arrivarono giù si divisero. Si scambiarono un bacio veloce. Per la prima volta, il bacio della buona notte. Andarono a dormire nelle rispettive camere. Quella notte riuscirono a dormire. Dopo tanto tempo, si addormentarono subito e fecero lo stesso sogno. Un sogno privo di incubi e di brutti pensieri, sognarono di stare per sempre insieme, uniti in un unico amore.
Il giorno dopo Oscar si alzò molto presto, era così contenta di aver finalmente detto la verità ad André, merito di Christine. Quella ragazza aveva insinuato nella sua mente il tarlo della gelosia. Se non ci fosse stata lei, non avrebbe trovato il coraggio di dirglielo. Si vestì e scese nelle stalle, voleva fare una cavalcata, vedere l'alba sorgere. Quando entrò nelle scuderie, si stupì nel vederlo seduto accanto alle selle. "Buon giorno, Oscar. E' molto tempo che non cavalchiamo assieme, non ti pare?" Le disse alzandosi in piedi. Oscar si ricordò che una ventina di anni prima lui l'aveva accolta nello stesso modo. Quel giorno avrebbe dovuto scegliere se indossare la divisa delle guardie reali o vivere come una donna. La grande scelta era stata compiuta, ma quella volta André le aveva gridato " Oscar, non è ancora troppo tardi, fermati e diventa una donna. Oscar" Lei non gli aveva dato retta. Era fuggita a cavallo, aveva fatto finta di non sentire le sue parole. Era tornata a casa e aveva indossato la divisa bianca, non un vestito di pizzi e merletti, la divisa della guardia reale. Per Andrè fu un duro colpo, ma anche ora lei era convinta di aver fatto la scelta giusta. E se avesse ascoltato il cuore di André che la voleva donna, che fine avrebbe fatto? Di sicuro sarebbe andata in sposa a uno di quegli insulsi nobili che lei disprezzava tanto, come le sue sorelle. No, aveva fatto bene a vivere secondo la sua coscienza. Oscar gli si avvicinò, lo abbracciò e lo guardò. Si baciarono. "Che bel risveglio, la giornata inizia bene" disse André. "Andiamo a fare questa cavalcata, tra un po' sarà l'alba" Disse Oscar.
I cavalli erano già pronti, montarono in sella e uscirono. All'inizio corsero veloci nei campi. Prima Oscar e poi André come sempre. L'erba aveva un buon odore. Faceva ancora fresco, il sole non era ancora sorto. Quando arrivarono al laghetto fermarono i cavalli, per farli riposare e abbeverare. Era lo stesso stagno in cui da piccoli avevano rischiato di annegare. Era lo stesso luogo in cui avevano fatto a pugni e Andrè le aveva chiesto di rimanere donna. Questa volta si sdraiarono sull'erba vicini, si abbracciarono, Andrè aveva appoggiato la testa sul suo seno. "Ti ricordi, André?" lui la guardò, "Certo che mi ricordo, me le hai suonate per bene, quella volta. Eri davvero forte." Oscar se lo strinse al seno, "Oh no, diciamo pure che io ero molto arrabbiata e tu non avevi usato tutta la tua forza per paura di tua nonna." "Già, se fossi arrivata a casa con un occhio nero, la nonna poi me ne avrebbe fatti due." Oscar rise al solo pensiero. "Quando ridi, il tuo cuore aumenta i battiti. Ecco, ora stanno ritornando normali. Mi piace, mi da sicurezza, sentire il tuo cuore." "Non raccontare frottole, ti piace stare sul mio seno." Gli disse lei accarezzandogli i capelli. "Seno? Quale seno? Aayooo!" Oscar gli aveva dato un pizzicotto sul braccio. "Sto scherzando, è il più bel seno che abbia mai visto, è solo che con le camicie larghe e la divisa non si nota molto." Oscar gli sorrise "Così tu ne avresti visti altri." Lo stuzzicò. Lui si era alzato, ora era in ginocchio davanti a lei. Serio "No te lo posso garantire, non ne ho visti altri. Sei l'unica donna con cui voglio fare l'amore. Non ce ne sono altre e non ci sono mai state." La sua voce era sicura, priva di incertezze. Poi ripensandoci disse "Anzi no, l'unico che ho visto era quello di una mamma che allatta la sua piccola. Ed era un'immagine davvero bellissima." Oscar era veramente contenta. "Se è il seno di Christine sei perdonato." Gli disse, abbracciandolo. "Vorrei conoscerla anche io, mi porterai da lei?" Gli chiese. "Ma certo, quando vorrai, e avrai un po' di tempo libero, usciremo insieme e andremo a trovarla." Le disse André.
Il sole stava sorgendo. All'inizio c'era un piccolo spicchio all'orizzonte, i campi, gli alberi stavano iniziando ad illuminarsi. I colori stavano diventando sempre più brillanti. In pochi minuti il sole irradiò con la sua luce e il suo calore la terra e i suoi abitanti. Oscar e Andrè guardarono quello spettacolo, che avevano già condiviso insieme per parecchi anni. Ma questa volta era più bello. Erano così vicini, uniti dalla consapevolezza del loro amore.
Era trascorsa una settimana dalla dichiarazione. Entrambi erano tornati alla vita frenetica di sempre. Non riuscivano quasi più a vedersi. Ad Andrè mancava il corpo di Oscar, il suo seno, i battiti del suo cuore. Ad Oscar mancava il corpo di André, la sua forza e insieme la sua dolcezza. Non potevano farci niente. Dovevano mantenere una maschera di indifferenza, di fronte ai soldati e soprattutto di fronte al generale. La cosa non era poi tanto difficile, perché avevano davvero poco tempo per stare insieme. Solo una persona si era accorta della nuova complicità tra i due. Alain aveva capito che qualcosa era successo. Non solo dagli sguardi furtivi che i due si lanciavano ogni tanto, ma dai sorrisi che spesso incurvavano le labbra del comandante. Inoltre l'amico sembrava meno triste e rassegnato del solito. "André, c'è niente che mi vuoi raccontare?" Gli chiese un giorno curioso. André lo guardò, era sicuro che aveva già capito, ma volle farlo rimanere ancora sulle spine. "No Alain, nulla. Oggi voglio chiedere al comandante se ha un po' di tempo per andare da Christine, vuoi venire anche tu con noi?" Alain aveva stampato sul viso uno sguardo interrogativo "Il comandante vuole conoscere Christine?" "Si, mi ha chiesto di incontrarla, allora vuoi venire anche tu?" La risposta fu positiva. Era contento di rivederla e di rivedere quel piccolo angioletto dagli occhi azzurri. Alain si sentiva un uomo nuovo da quando aveva incontrato quella piccola, forte donna prima e la sua bimba poi. All'inizio gli era sembrato di vedere sua sorella. L'orrore che aveva provato vedendo gli occhi spenti della giovane. Sentire il suo racconto, la disperazione. L'aveva presa per le braccia, stringendola, solo dopo si era accorto che squotendola, le stava facendo male. Le si era inginocchiato davanti, stava piangendo. Piangendo le aveva chiesto di continuare a vivere, almeno lei doveva vivere per se stessa e per il bimbo che portava in grembo. E anche per lui e sua sorella. Si sentiva angosciato, non poteva sopportare che un'altra donna gli morisse tra le braccia, senza che lui potesse fare qualcosa. Lei finalmente capì la sua disperazione. Quando gli sorrise, lui si sentì un uomo nuovo. Il legame che si era creato tra di loro sarebbe durato per tutta la vita. Alain ne era certo. Le sarebbe stato vicino per proteggerla e darle tutto l'affetto che non era riuscito a dare alla sorella. Sentiva che Christine non era come Diane. Lei forse grazie anche a lui e ad André era diventata più forte, più sicura. Aveva avuto il coraggio di non cedere alla disperazione, di continuare la gravidanza, di partorire la sua bambina. All'inizio era stato difficile, lui e André cercavano sempre di starle vicino, di farle coraggio, nonostante gli impegni. Poi poco per volta, lei si era abituata a vivere da sola, a riaffrontare la vita con dignità. Aveva trovato lavoro da un'amica fioraia. I turni non erano troppo pesanti, si dividevano i compiti. Una andava al mercato e l'altra faceva le consegne. Aveva deciso di andare a lavorare pochissimo tempo dopo che era nata Jerardine, le aveva dato il nome del marito. Aveva trovato, dopo tanti mesi di disperazione, la forza in se stessa. Quando stava con loro, le poche volte che si incontravano le sue parole erano. "Voi siete tutta la mia vita, io vivo grazie a voi due. Siete la mia forza, i miei due angeli custodi, anche se devo ammettere che pensavo che gli angeli fossero un po' più piccoli, biondi, con le ali bianche." Dopo questa battuta finivano sempre per ridere.
"Alain, André c'è una visita per voi." Lasalle era andato a chiamarli, sembrava preoccupato. I due uomini corsero verso il cortile, ad aspettarli c'erano proprio Christine e la bimba. Christine, aveva in braccio la figlia, piangeva, il viso pallido. Capirono subito perché. Jerardine piangeva ed era rossa in viso. Alain mise un braccio intorno alle spalle di Christine, André prese in braccio la piccola che pur continuando a piangere gli allungò le braccine, provò a sentirle la fronte, era bollente. "Aiutatemi vi prego. Sono andata dal medico, ma mi hanno detto che è dovuto uscire per un'urgenza. Ho pensato subito di venire da voi…" la donna era disperata. "Hai fatto bene." Le disse Alain "Sta calma, andrà tutto bene." André lo guardò, "Ha la febbre molto alta. Dobbiamo subito andare dal medico" "Si ma il suo medico è fuori." Disse Alain. Furono interrotti da Oscar, che aveva visto la scena dalla finestra dell'ufficio. "Comandante.." Alain voleva spiegarle la situazione. "Questa bambina è troppo rossa in viso. Forse ha la febbre." Disse Oscar ad alta voce. "Oscar, pensavo di portarla dal nostro medico." "Giusto, oltretutto dovrebbe essere orario di visita. Stia tranquilla signora, il dottor Lasonne è un ottimo medico, lo conosco da quasi vent'anni." Poi rivolta ad André "Pensaci tu, vi faccio un permesso speciale per uscire, io non posso venire, questa sera dobbiamo scortare il Generale Boujet all'Opera. Appena tornerai verrai nel mio ufficio, voglio un rapporto dettagliato." Gli disse, seria. "Grazie, comandante." Oscar rimase stupita, Alain non era il tipo dai ringraziamenti facili.
Corsero a prendere i cavalli. Alain fece salire con se Christine con in braccio la bimba, André corse davanti a loro per fargli strada.
Il dottor Lasonne era nel suo studio, fu sorpreso di vedere André, era da tanto tempo che non si faceva vedere per il suo occhio. Fu molto più sorpreso nel vedere quella giovane con la bimba di nemmeno un anno. All'inizio la bimba, sembrò spaventata dal signore con i baffi, ma il medico sapeva come trattare i neonati. Parlò a bassa voce, in tono dolce. Accarezzò la schiena della bimba, che smise di piangere. La visitò in braccio alla mamma. Capì che la bambina stava mettendo i denti da latte, ma la febbre così alta lo preoccupò. Decise che quella notte l'avrebbe trascorsa in ambulatorio ad occuparsi della piccola. Le somministrò malva e camomilla, per calmare l'irritazione. Per la febbre usò delle erbe medicinali, diminuendo le dosi, perché si trattava di un neonato. Le medicine e gli impacchi di acqua fredda abbassarono la febbre. Jerardine era salva. Il mattino dopo il dottore decise di mandare a casa André e i suoi amici. Ormai la bambina stava bene, non correva più alcun rischio. In caso di febbre alta disse alla donna di portarla immediatamente da lui. André ringraziò il medico. Accompagnarono a casa madre e figlia. Prima di andarsene Christine ringraziò i due amici e il comandante "Ringrazia il comandante Oscar da parte mia. Ora ho capito perché la ami così tanto." Disse sorridendo ad André. Si congedarono da Christine, la bimba dormiva tranquilla.
"Toc, Toc." Oscar sentì bussare alla porta. "Avanti" rispose, sapeva che erano Alain e André. I due uomini entrarono, stanchi ma felici. Oscar capì subito che era andato tutto bene. "Dalle vostre facce, devo supporre che la bimba sta bene." Sorrise ai due. "Si comandante. Grazie anche al suo aiuto." Rispose Alain. "Ho una brutta notizia da darvi." disse Oscar, ma il tono non era serio. "tra venti minuti inizieremo le esercitazioni e vi hanno cambiato di turno, dovrete fare il turno di notte." "Noo, un'altra notte insonne. Mi si stanno chiudendo gli occhi." Esclamò Alain, sospirò. "Pazienza, l'importante che Jerardine stia bene." "Giusto." Gli fece eco André. Non c'era più niente da dire, i due soldati si misero sull'attenti, girarono i tacchi e uscirono dall'ufficio. Oscar avrebbe voluto fermarsi a parlare con André. Ma decise di aspettare, avrebbe trovato il momento giusto.
Era passata un'altra settimana, frenetica. Le esercitazioni, gli incarichi di controllo della città. La vita continuava sempre uguale, ma una sera. Una sera Oscar fece chiamare Alain e André nel suo ufficio. "Ma ci devo venire anch'io?" Chiese Alain, stupito. "Oscar ha detto che voleva parlare anche con te." Bussarono, aspettarono l'invito ad entrare. Quando entrarono videro il comandante in piedi appoggiato alla scrivania, le braccia incrociate sul petto. Il suo viso era un po' stupito. Dietro di lei si intravedeva uno splendido mazzo di rose bianche. Il loro dolce profumo aveva invaso l'ambiente "Voglio una spiegazione." Disse Oscar, guardando prima André, poi Alain. "E' probabile che sia stata Christine, lavora in un negozio di fiori." Disse Alain. Oscar, sorrise "La devo ringraziare, sono bellissime." Si voltò per guardare le rose, ne annusò una.
Quella sera Christine aveva appena finito di fare il bagno alla sua bimba, quando sentì bussare. Non aspettava nessuno, ma forse era la vicina che le veniva a chiedere un po' di farina. Aprì la porta, con Jerardine in braccio, avvolta in un asciugamano. Fu davvero stupita di vedere i suoi due amici, ma soprattutto il comandante. Quella donna, perché sapeva che era una donna, visto che André parlava sempre di lei, l'aveva colpita fin dal primo momento che l'aveva conosciuta. Non si riferiva all'aspetto, alta, slanciata, capelli biondi, occhi azzurri; era davvero molto bella. No, l'aveva colpita la sua generosità, il suo modo di rassicurarla, quando la sua bambina stava male. Li fece entrare, li accolse con uno dei suoi splendidi sorrisi. Prima che Oscar potesse ringraziarla per le rose, lei disse rivolta alla figlia "Hai visto tesoro, un angelo biondo è venuto a trovarti." La bambina squadrò Oscar da capo a piedi, poi per niente intimorita, allungò le manine verso la nuova arrivata. Oscar fu davvero sorpresa nel vedere la spontaneità della bimba. André le mise una mano sulla schiena, spingendola delicatamente verso Jerardine. "Hai visto, è talmente facile volerle bene." Le surrurrò. Oscar la prese in braccio, all'inizio un po' a disagio, poi si abituò, aveva paura di farle del male, ma si rese conto della sua forza e vivacità. La bimba, toccò subito la spilla, incuriosita. Ma Oscar pronta, se la tolse per evitare che si pungesse. Alain e André rimasero stupiti del gesto, era la spilla che indicava la sua appartenenza alla nobiltà. Oscar guardò André, affidandogli la spilla. "Me la rimetterò dopo, non voglio che si faccia male." Rivolta alla bimba "Eh, no signorina, questa può farti male alle manine." Le sorrise e la bimba le rispose con un sorriso sdentato. Oscar con in braccio la bimba, parlò a Christine "Volevo ringraziarti per le bellissime rose." Le sorrise "Sono io che devo ringrazirti, la mia bambina non sarebbe qui ora, se non fossi andata dal medico." Ora la bimba si era concentrata sui capelli biondi, attirata dal colore, aveva iniziato a tirarli, Oscar le prese una manina e la baciò. "Guarda che così, mi fai maleee" Le disse in tono allegro. Jerardine, prima la guardò seria, la bocca diventò una piccola o, poi riprese il suo sorriso sdentato. Alain, fece il solletico al collo della piccola, lei si voltò, riconoscendolo, gli porse le braccine. Alain la prese in braccio, facendola volare e ridere.
In una sera di giugno, una giovane donna e la sua bambina, avevano scoperto che esistono persone davvero speciali. Avevano trovato tre angeli custodi, vestiti di blu, ma senza le ali.

FINE