Il dono di Alain
Parte Prima

 

Questa ff è frutto solo e soltanto delle fantasia, e cerca di vedere Alain dopo la Bastiglia senza tuttavia narrare solo di lui…D'altronde Alain è un uomo generoso! Forse il vero protagonista della ff è lo sguardo della narrante, nata della mai fantasia e forse un po' da Cosette de "I miserabili" ( leggete il libro, non guardate il film!) La storia è tristina, spero che sia comunque commestibile. Le eventuali sciatterie linguistiche sono volute.

"Era è un momento davvero strano, per me. Il mio corpo è laggiù, e io sono qui sopra. Voi penserete che dovrei essere davvero arrabbiata per quello che mi sta succedendo1 e in un certo senso lo sono. Mamma mi aveva detto che, quando Dio ti chiama, vengono a prenderti gli angioletti con le guance paffute, perché da Gesù nessuno ha fame. Invece mi trovo da sola a guardarmi, e guardo il mio tata che grida contro il medico. Non è arrabbiato, in realtà: è solo triste. Mi dispiace per il mio tata…Lo chiamo così perché non è mio papà né mio fratello, né il marito che non ho mai neppure immaginato. Però noi siamo legati da molto amore. Dall'amore vero. Amarsi non vuol dire per forza baciarsi, né cullarsi. Noi ci siamo amati davvero, come padre e figlia, fratello e sorella, marito e vecchia moglie, come amici….C'era tanto amore, e visto che io sono nata per sbaglio e per sbaglio sono morta, l'unica cosa che posso fare è raccontarvi la storia di me e di tata. Perché anche se la mia vita è stata tutto un avvenimento strano e sbagliato, io ho conosciuto il vero amore.

Di questo, devo ringraziare il mio nome. Mamma si chiamava Sasha, e veniva da un posto lontano, dove "il mare era fatto d'erba" Mamma mi amava molto: ero nata da un errore professionale, ma lei diceva che ero l'unico fiore della sua vita. Poi è morta. Io ero troppo piccola per sapere cosa fare, ma abbastanza grande per capire che dovevo fare qualcosa. Così lasciai la mia casetta in Normandia e andai a Parigi, dove la gente ha le tasche scucite se chiedi bene l'elemosina. Non avevo davvero nulla, se non il nome che mi ha salvata. Io mi chiamo Diane."


Parigi, Ottobre 1789

Pioveva senza sosta sul fiume di folla che aveva invaso le strade e che i soldati della guardia cercavano faticosamente di diradare. La brigata di Alain era perfettamente nel mezzo, ma bloccata da due opposti flussi di gente.
- Maledizione, fateci passare!- sbraitava Alain. Dovevano raggiungere il marciapiede opposto, dove quattro giovani esaltati inneggiavano al fuoco "cauterizzatore delle ferite dello Stato"
- Meno male che piove, Alain…- disse Joseph, uno di sopravvissuti alla Bastiglia.
- Parla poco, e spintona di più!- gli ordinò. Ci volle più di un quarto d'ora per uscire da quel mare di teste che si passavano voci contraddittorie e incontrollate, quando arrivarono a destinazione i soldati di Alain non poterono che constatare quanto avvenuto. Una carrozza era rovesciata, invano si era tentato di bruciarla, ma comunque gli occupanti erano stati impiccati ai lampioni e oscillavano come un osceno trofeo.
- Dannazione…tenente, tira giù quei cadaveri a e fai rapporto. Noi torniamo agli alloggi, prima di putrefarci in bella compagnia…-
-
La giornata non era ancora finita, per la sua brigata. Parigi era come un formicaio quando un bambino, giocando, infila un bastoncino nell'ingresso. Una donna giovane raggiunse di corsa il gruppo de soldati, gridando terrorizzata. Era cerea, parlava di una sua amica e dei soldati della Royal Allmand.
- E' il caso che andiamo a vedere…-
Nel vicolo dove la giovane scarmigliata li guidò c'era un po' di gente curiosa che guardava. A terra un cumulo di stracci verde scuro da cui usciva un braccio candido2. Alain scese da cavallo e con la punta del fucile smosse gli stracci. Il viso di una donna morta…Il suo corpo pieno di sangue e lividi che si intravedevano dai vestiti stracciati.
- Le hanno sfondato la cassa toracica con i fucili…dopo averla violentata…- disse un uomo.
I tre soldati della Royal Allamnd cercavano, con l'arroganza del più forte, di allontanare la folla per coprire il loro gesto. Alain perse il controllo. Ne aveva viste troppe di quei tempi.
- No…capo…capo che fai? Capo dove vai?- mormorava Joseph, cercando invano di trattenerlo per una manica. Alain se lo sgrullò di dosso con violenza.
- Figli di cani!- urlava camminando verso i tre - non solo venite in Francia a schiacciare il popolo, ma fate anche cose così vergognose!-
- Noi figli di cani? Come ti azzardi? Tu, piuttosto. Tu e i tuoi compagni. Io sono un marchese…e mi ricordo di te, sotto la Bastiglia, e degli altri pezzenti che hai intorno…mi ricordo, si…vi facevate comandare da una bionda tutta scema…- ribatté uno di loro, puntando l'indice verso Alain.
- Non ti permetto di offendere il mio comandante!! Dici di essere qui a portare la pace? E allora perché hai ucciso questa ragazza?!-
- Non ci stava, gridava…Se voi francesi non facevate tutto sto casino io ora stavo a casa mia a godermi la mia donna: un pegno lo dovrete pur pagare…- sibilò il soldato.
- VERGOGNA! Io t'ammazzo!- Alain caricò il fucile e lo portò verso, l'uomo con cui stava litigando. La folla intorno era aumentata. Joseph sudava freddo…"perché mai Alain è tanto impulsivo? Santo cielo, succederà un macello…"
- Provaci, spara pure, pidocchioso! Tutto il mio plotone interverrà contro la tua pidocchiosissima brigata. Basta solo che io schiocchi le dita…- il soldato, ghignando, alzò pollice e indice e fissò Alain.
Era una guerra di nervi, Alain sudava freddo lacerato tra la sete di vendetta e l'eredità di una brigata intera, la responsabilità del militare e la sua natura di uomo.
- Io non lo farei, se fossi in te…- una voce conosciuta si rivolse ai soldati della Royal Allmand. Alain si voltò
- Sono Bernard Chatelet, vedete la gente che passa? Io ho un'arma che mi permette di trasformare ogni tranquillo cittadino in un vendicatore: è la mia voce. Ora vi ordino di allontanarvi subito di quì. Altrimenti griderò alla folla cosa avete fatto e vi garantisco che in pochi minuti vi linceranno.- avanzò sprezzante, pugnalandoli con lo sguardo sdegnato- Allora? Cosa preferite? Il disonore delle dimissioni o le unghie dei francesi? Sapete che non scherzo…c'ero anch'io, il 14 Luglio…-
I tre si guardarono negli occhi, sapevano bene cosa poteva accedere. Non sarebbe stata la prima volta, e dopo il 14 Luglio avevano perso un bel po' di sicumera. Erano demoni, i francesi, pronti a saltare su all'odore del sangue - maledetti pezzenti…- dissero, e giù altri insulti nella loro lingua mentre se ne andavano. La folla si diradò.
Alain si sentiva svuotato- Bernard, grazie…Li avrei uccisi davvero…Io non ho il sangue freddo di Oscar…-
- Anche Oscar avrebbe perso il sangue freddo, Alain. Vengono dall'estero, chiamati dalla Corona che noi non riconosciamo più, e ci opprimono…Alain, stai bene?-
- Io? Si…si…-
- Mh, tieni duro Alain…- disse Bernard allontanandosi.

Alain non stava bene. Non ne poteva più. Chi avrebbe potuto riconoscere quel ragazzone dal sorriso pronto, generoso protettivo? Era diventato l'ombra i se stesso. Pallido, smagrito, era logorato dalla continua tensione della sua nuova responsabilità. Non poteva tradire il comandante Oscar, aveva promesso di prendersi cura dei suoi uomini. Ma andando avanti così li avrebbe portati alla malora…

Aprì la porta degli alloggi che cigolò terribilmente, l'aria puzzava di chiuso e di stantio ma non pensò si aprire le finestre Scalzò una seggiolaccia da sotto il tavolo e ci si sedette a cavalcioni.
- Allora, comanda'?- chiese Jean dal suo letto
- Non ne posso più. Sto impazzendo.-
- Mi spiace, Alain…avevo promesso di aiutarti…ma non è da tutti farsi finire una palla di cannone sul piede…- rise debolmente, alzando la sua gracilissima gamba fasciata- che tonto sono!-
Alain, con la testa bassa, sussultava. Pareva ridesse...
- Ma…capo…Tu piangi?-
- Io….Io non ce la faccio più, Jean…Io lascio...lascio l'esercito!...Che cazzo me ne frega, in fondo, dell'uguaglianza….Tanto ci ammazzano come porci…a che ti servono gli ideali se poi muori?…La morte è peggio della schiavitù…la vedo dappertutto, sempre…morte, morte, morte…Io non mi riesco ad abituare, non posso comandare…sangue freddo?! Io sto impazzendo! - Anche se si copriva il volto con le mani grandi, tra le dita filtravano lacrime.. Jean era desolato. Si alzò sui gomiti e cercò di allungare un braccio per accarezzargli la schiena…Alain sembrava invulnerabile agli occhi di tutti, il più forte e strafottente. Invece sapeva solo nascondere bene la sua profonda moralità, la sua sensibilità. Il suo carattere libero e impulsivo si adattava malissimo alle responsabilità del comando
- Alain, il comandante Oscar diceva che un ufficiale non si comporta mai secondo i sentimenti…-
Alain rise tristemente, e le lacrime gli entrarono in bocca. Si rivedeva il giorno in cui aveva preso a pugni un soldato svizzero, il giorno in cui aveva cercato in tutte le maniere di fregare dai dolci da una bancarella…E il suo comandante, con il sorriso di chi ti capisce e ti vuole bene, gli ripeteva quell'adagio.
- Ma lei non era convinta. No, lei mi ha detto che siamo esseri umani, non ufficiali…Che siamo esseri umani…! E infatti tra un po' non la mandavano alla Corte marziale anche a lei…Siamo esseri umani Jean.. Lei ce l'ha insegnato con i fatti, non con le parole….umani…- riprese a piangere forte , indifeso da spiazzare e far sentire male. Il grande Alain che sfoga anni di dolore-…e poi io non ho sangue freddo, non ragiono nel pericolo…non obbedisco agli ordini che non mi piacciono…Io do le dimissioni.-
- Alain?! Te ne vai…Ci lasci anche tu? Siamo rimasti così pochi, nel nostro gruppo…-
- Sarebbe troppo comodo impazzire…me ne vado ma tornerò, quando qui saranno meno matti…quando avranno versato tutto il sangue che gli va…La giustizia, quanto sangue costa? Lo sai tu, Jean? Per me troppo…Non mi tradire, Jean…resta come sei…- sorrise, guardandolo con coraggio mentre le lacrime non smettevano di scendergli -…L'atto più coraggioso che posso fare é andarmene: impazzire è troppo comodo. E poi ci rimettereste tutti. Oscar è d'accordo, ne sono certo…-
- Alain, ma dove andrai?-
- In un posto grande come me…dove non ci sia puzza di sangue…Ma non lo so…se un giorno verrò te lo farò sapere…ti tornerò a trovare…Jean, non ingrassare…sennò quel giorno non ti riconoscerò…- rise lievemente. Era tornato in lui. Ora che aveva deciso si sentiva più leggero. Jean pianse, guardandolo raccattare le sue poche cose.
- Alain…e il comandate Oscar? Che direbbe? -
Alain non rispose. Lo salutò con un gesto della mano e con il suo sorriso malandrino che aveva perso lo smalto di un tempo.
Mille immagini corsero nella mente di Jean. Alain che ama scavalcare i tavoli, Alain che passa le ora a parlare con Andrè e si muove con lui all'unisono, come fossero fratelli, Alain che sfida il comandante, che le parla con le mani in tasca, Alain distrutto dalla morte di Diane, Alain che fa a botte per sfogarsi….- Alain, ora che te ne vai tu il nostro gruppo è finito…mi mancherai; Alain. Uomini come te non si incontrano tutti i giorni…salvati almeno tu, e trova la giustizia in questa vita…fallo anche per me…-


Aveva smesso di piovere, ed Alain vagava per Parigi cercando di respirare la libertà nell'aria umida, senza pensare alla folla esagitata che non si decideva ad abbandonare le strade .Camminando teneva gli occhi bassi e guardava il mondo riflesso nelle pozzanghere, il cielo stracciato dalle nuvole temporalesche. Sentì un suono dolcissimo e malinconico che gli penetrò quasi nelle ossa. Un flauto3. La sua melodia era triste, era il lamento di un poeta , era la voce di un ricordo. Questo pensò , avvicinandosi alla fonte del suono.
Nell'angolo della strada, appoggiata al muro, c'era una ragazzina a suonare. Avrà avuto dodici o tredici anni, e portati male. Sembrava più piccola della sua età , me era il ritratto della miseria. Le sue caviglie ossute erano sporche di fango, aveva un vestitino giallo chiaro appesantito dall'umidità e uno scialletto liso posato sulle spallucce. I suoi occhi erano molto grandi, verdolini come quelli dei gatti, il mento e gli zigomi poco pronunciati, i capelli biondo scuro erano sfibrati e le ricadevano ai lati del viso come una bandiera zuppa di pioggia in un'aria senza vento.
La scrutò un po'. Era troppo piccola per fare quella vita!
- Ragazzina…hey, dico a te!-
Lei alzò lo sguardo intimorito e non proferì parola. Si vedeva che aveva paura di qualcosa.
- Guarda che non ti mangio mica…Volevo solo sapere che fa una bambina come te, con questo tempo ,in strada…-
Lei si portò una mano sullo stomaco, terribilmente incavato, e indicò il foglio di carta dove qualcuno aveva buttato delle monete.
- I genitori ce li hai?-
La ragazzina scosse il capo.
- Ah, meno male…nel senso che sennò li menavo: mandare una ragazzina così piccola da sola, per le strade buie…- Alain la fissò per un po' in silenzio. La piccola suonatrice aveva uno sguardo particolare, ricordava quello dei cani randagi abituati a prendere bastonate. Ma anche lo sguardo di chi non ha nulla per cui vivere, e che vuole solo andare lontano…Non era diverso dal suo sguardo.
- Come ti chiami, ragazzina?-
La piccola aprì bocca, esitante. Aveva una voce infantile e lievemente sgradevole - Mi chiamo Diane…- mormorò.
Alain sentì un coltello trapassargli il petto - Diane…- si ripeté sottovoce. Sentì il coltello lacerargli la vecchia ferita, ride il sorriso innocente, sentì la risata cristallina dell'amatissima sorella, i suoi occhi limpidi e dolci…la sua amata sorella, uccisa dall'ingiustizia di un mondo soffocante, una delicato cadavere riverso sul un letto pieno di fiori ormai appassiti. Ricordò Oscar, il comandante, che l'aveva preso a schiaffi per risvegliarlo dallo stato ipnotico in cui era scivolato lentamente, contemplando l'ingiusto, crudele disfacimento di quelle carni rosee , tanto amate…Aveva detto che non si poteva fare nulla, che si doveva affrontare la vita…
- Forse, questa volta, il mio comandante ha sbagliato…- sussurrò , mentre un pensiero folle gli si profilava in mente, e un sorriso ispirato si faceva strada sul suo viso stanco.
- Scricciolo, non voglio fari alcun male. Non avere paura. Tu ti chiami Diane, io non ti chiamerò mai con il tuo nome…non potrei …Tu non hai nessuno, né un lavoro né una casa…-
La ragazzina indicò un mucchio di stracci all'angolo - Casa.- disse
Alain pensò che la vita gli stava dando una seconda possibilità , aveva trovato un motivo per vivere.
- Ascolta, ti prego …io sto partendo…io ti posso dare una casa , se vuoi….Ti posso dare un tetto e un lavoro…Piccolo scricciolo, so che ti risulta difficile credermi e che fidarti è impossibile…Ma dimmi, sei felice?-
Diane si guardò i piedi induriti e sporchi, guardò il suo flauto un po' marcito - Boh…-
- Come "Boh"?-
- Io non sono molto intelligente…sono un po' scema…me lo dicono sempre. Io sarei felice se ci fosse ancora mamma, e abitassimo nella nostra casetta sul mare…-
- Io vado sul mare, scricciolo! Vado sul mare! Il mare accetta tutti, anche me e te…Vuoi venire scricciolo? Mi aiuterai!-
La ragazzina indietreggiò - che vuoi che faccia?-
- Chessò…il bucato!- Alain non aveva sinceramente pensato a cosa potesse fare, voleva solo poter offrire una vita migliore a una sconosciuta sfortunata che portava il nome dell'amata sorella
- Non sono capace!-
Alain la fissò in silenzio, sembrava giganteggiare sul quel mucchietto d'ossa. Lei incassò la testa tra le scapoline, come se si aspettasse uno schiaffo.
Alain scoppiò a ridere - Neanche io! Ma possiamo imparare…Tu sei cresciuta sl mare, no? Saprai fare un bel po' di cose!-
- I pesci. So conservarli. So snodare le reti.. So suonare la musica del paese di mamma e le canzoni dei pescatori…quelle tristi.-
- Affare fatto: tu mi insegni queste cose, e io ti do dove mangiare e dove dormire! Va bene?-
La piccola Diane guardava spaesata quell'uomo grande e grosso, sbucato fuori dal nulla , che le offriva una vita. In quel momento , la ragazzina non aveva neppure paura: cosa le sarebbe mai potuto accadere, peggio di quello che le succedeva? Non aveva niente da perdere, nessuno da salutare. Guardò negli occhi l'uomo che le tendeva la nano. Gli porse la sua , ossuta e nodosa. L'uomo gliela strinse vigorosamente.
- Allora andiamo, scricciolo!- esclamò contento, come se avesse trovato un regalo.

" Non credo in Dio. Dio non esiste. Forse esisteva tempo fa, ma poi vedendo noi uomini è morto di dolore. Oppure, se esiste, Dio è cieco. Ma questo bambina, non so perché, è un dono del cielo. Si chiama Diane, come la mia sorellina…non posso lasciare che un'altra Diane muoia sola…Non posso morire anche io…Devo mettere i fiori sulla tomba dei miei cari. Se non aiuto questa Diane, sarà come se non mettessi i fiori sulla tomba di mia sorella…il mio cuore non è sepolto con lei…batte ancora e lo fa per lei, la posto suo…perché è lo stesso cuore di mia sorella"
Mentre Alain pensava queste cose, fischiettava spensierato camminando lontano da Parigi, e scricciolo lo seguiva come un fedele gattino, silenziosa e curiosa.
- Sentiamo un po'…- le chiese - da quanti anni sei in strada?-
- Dunque…prima di questo inverno ce n'è stato un altro e un altro ancora…- disse a fatica.
Alain capì che quella ragazzina aveva problemi ad esprimersi, probabilmente era stata strappata ai genitori quando era ancora troppo piccola.
- Sai contare?-
- No.
- Leggere?-
- No, so suonare.- gli agitò sotto agli occhi il flauto vecchio che impugnava saldamente.
- Sei brava. Ti ho sentito. Chi ti ha insegnato?-
- Nessuno.-
- Che?!-
- Mamma me l'ha costruito e me l'ha regalato. Io l'ho provato un po' ho imparato. Faccio sempre così. Come gli animali selvatici.-
Alain rise. Evidentemente capire le armonie era un dono di natura, caduto sulla testa di una bambina senza né arte né parte. A volte capita che la natura si vendichi della vita in modi bizzarri - A me stanno simpatici, gli animali selvatici, sai scricciolo?-
- Perché non mi chiami con il mio nome?-
- Un giorno capirai. Non ti piace scricciolo?-
- Si, mi piace, signore.-
- Ah, no!- Alain storse il naso - a me non piace "signore"-
Gli occhi vuoti di Diane si riempirono della sua ingenuità - Tata- disse.
- E sia: tata!- Alain rise e la sollevò. Sembrava una bambolina di pezza , tanto era leggera. Si sentiva felice come un perfetto idiota. Felice per una cosa semplice: perché stava aiutando una sconosciuta col nome di sua sorella. Non sarebbe stato mai così felice, in un'altra situazione. Perché Alain aveva un cuore semplice e grande, e solo le cose semplici erano grandi abbastanza da riempirlo di felicità.

Quando arrivarono al mare, c'era bufera. L'aria era satura degli schizzi delle onde , portati in alto dal vento. La salsedine si appiccicava ai visi, ma Diane rideva perché era cresciuta in un posto simile. La casa di Alain era vuota da anni, aveva le imposte sconnesse e la porta che si reggeva per miracolo. Ma era bella: piccola, bianca e scorticata dalla salsedine. Profumava di mare e di libertà. Sorgeva riparata ai piedi di una collinetta piccola, a picco sul mare. C'era un terreno incolto e , sulla sommità della collina, due croci. Facevano impressione , erano bianche e spiccavano sul colore plumbeo del cielo. Alain scaricò la piccola Diane e i pochi bagagli dentro la casa e uscì. Era come se la furia degli elementi non lo riguardasse, camminò ritto verso quelle croci e rimase in piedi, controvento. Lei lo guardò spaventata e poi, con la semplicità di una bambina non crescita, prese la prima cosa che le capitò, una coperta, e si fece coraggio.
Corse verso la c ima della collinetta, che sa lei sembrava infinita , per coprire Alain
- Tata ! Tata!- gridò - Copriti , la febbre fa male!!-
Alain non si aspettava quel gesto, e si girò sorridendo. Agguantò con le sue braccia grandi la piccola Diane e salutò con un sorriso dolce e triste le due croci della collina.
- Da che pulpito!- disse - e se la febbre te la prendi tu?-
L'ultima volta che qualcuno gli era corse incontro, chiamandolo a gran voce , con i capelli scarmigliati dal vento, era stata la sorella Diane. Ora c'era un'altra Diane, piccola e sfortunata, che qualche angelo aveva fatto imbattere nella sua strada …


"Io e tata ci siamo conosciuti così. Ora che vedo le cose dall'alto, posso rendermi conto che tata ha il suo mucchio di difetti. Penso che sia molto possessivo, e molto istintivo…Ma a ma i suoi difetti non mi hanno mai dato fastidio, perché tata mi ha dato la possibilità di vivere. A dire la verità non saprò mai che uomo fosse veramente. Tata amava ridere, amava essere allegro, ma di rado ho visto i suoi occhi illuminarsi del tutto. Era come se, anche quando mi schizzava con l'acqua del mare, ci fosse in lui u qualcosa che gli impedisse di essere davvero felice. Ho intuito che forse è un qualcosa legato alle due croci sulla collina, ma non posso esserne sicura , perché non ne ha mai voluto parlare. Ho cercato di capire, ma lui diventava muto e scontroso. Tata non è mai andato a Parigi se non una volta, per vedere la morte dell'affamatrice - così diceva- per capire se una testa in meno avrebbe cambiato le cose Alle volte, davanti al fuoco, mi raccontava dei suoi amici…mi sembrava una leggenda, quella di Oscar e Andrè…Solo mentre ricordava, gli occhi di tata si illuminavano…. Allora ho capito che, per tata, le uniche cose per cui valesse la pena vivere erano il mare e i suoi amici. Altrimenti era schifato della vita, della stessa Rivoluzione. Tata era felice, a volte, ma i suoi occhi erano sempre disincantati, avevano una luce un po' amara. Ma erano occhi buoni, generosi. Tata era capace di fare pazzie per gli altri, era capace di fare a botte, non sapeva trattenersi dal dire la verità. Con gli anni questo aspetto del suo carattere si è smussato, ma è rimasto sempre lui.
Guardava il mare, tata, poi chiudeva gli occhi e respirava a fondo. Mi diceva che, se avesse potuto scegliere il luogo dove morire, avrebbe voluto fosse l'orizzonte. Perché lì c'è solo il blu e l'aria, e la vita è giusta e libera. Forse un po' pensava alla morte.
Vi chiederete che tipo do amore era il nostro…tata con me era molto dolce e protettivo, come un padre, un fratello, uno zio. Però gli piaceva scherzare, giocare con me, e non mi lesinava il lavoro. Alle volte io gli facevo un po' da mamma. A furia di umidità gli erano venuti i dolori alle gambe, e io gli accendevo il fuoco e inventavo soluzioni per farlo dormire con i piedi lì vicino. Ero contenta, perché tata era nelle mie mani: dipendeva da me, era come se per una volta rovesciassi i ruoli. Poi iniziavo a guardare la sua faccia, mentre dormiva...pensavo che era bello…. Ero cresciuta, ormai…Ma non avevo mai pensato ad un marito: non ho mai saputo la mia età, sono cresciuta male, anche brutta. A me bastava, però, avere tata vicino…Una mattina, però è successa una cosa odiosa. Mi sono alzata, ieri, che non parlavo bene e avevo male alla testa. Tata non si è preoccupato , e nemmeno io perché non sono mai stata brava a parlare. Poi mi sono ritrovata bloccata a letto, tata andava in escandescenza con il dottore. E ora sono qui, pronta a raggiungere mamma. Come ho detto , sono seccata: non sono venuti gli angioletti paffuti a prendermi! Spero che in Paradiso non ci sia fame…Comunque, prenderò io tata, ma per allora voglio diventare paffuta…tata ha smesso di arrabbiarsi con il dottore. Lo sapevo che avrebbe pianto, mi sento in colpa…non vado via a cuor leggero…come posso ringraziare tata della sua capacità di dare amore? Chissà se lui si è accorto di quanto buono e dolce? Lui che ha sempre detto di essere una persona dura e forte, in realtà è una persona così piena d'amore…lui non crede in Gesù, ma io so che Gesù vuole bene a tata…GlieLo racconterò io, quanto sei stato dolce e simpatico, quando abbiamo imparato a fare il bucato e ci siamo lavati noi, invece dei panni. Mi hai strofinato l'asciugamano sulla testa, come un papà buono fa alla figlia…Gesù queste cose le sa…ti conosce…Peccato che tu non te ne accorgi, tata…Chissà se ora saprò anche il mistero del mio nome…per quale motivo tu mi hai amato così tanto… "

 

CONTINUA....

1 L'idea di questa ff mi è venuta ripensando al l finale di American Beauty. Solo che lì dicono "incazzato"
2 Ricorda un po' (diciamo pure parecchio) Svetonio, quando i tre schiavi portano Cesare ucciso a casa, e sembra un mucchio di stracci da qui pende un braccio. Preferisco sempre la Vita scritta da Plutarco, ma quando uno ci prende bisogna rendergliene merito.
3 Penso all'attacco di "My heart will go on"